tag:blogger.com,1999:blog-79734671423253350342023-11-16T03:58:47.145-08:00AstronomicaMensLe idee degli scienziati sull'UniversoAnonymoushttp://www.blogger.com/profile/08305106977611057570noreply@blogger.comBlogger19125tag:blogger.com,1999:blog-7973467142325335034.post-12865609998453481512015-05-04T06:52:00.000-07:002015-05-04T06:52:10.198-07:00La nuova avventura di LHC<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nella fisica delle particelle, si sa, l’obiettivo principale è quello di studiare la <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Materia_(fisica)" target="_blank">struttura della materia</a>. Il <a href="http://home.web.cern.ch/topics/large-hadron-collider" target="_blank">Large Hadron Collider (LHC)</a> è proprio lo strumento più adatto, e il più grande che sia mai stato costruito, che come una sorta di microscopio gigante ci permette di esplorare le proprietà delle <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Particella_elementare" target="_blank">particelle elementari</a> e le loro <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Interazioni_fondamentali" target="_blank">interazioni</a> che insieme rappresentano lo scheletro della materia al livello più fondamentale. La comunità scientifica è in trepidante attesa per i nuovi esperimenti che caratterizzeranno il <i>Run 2</i> di LHC anche perchè potrebbero cambiare la nostra comprensione dell’Universo. Fisici ed ingegneri hanno già effettuato gli ultimi controlli dopo due anni di manutenzione che hanno portato il grande acceleratore a raddoppiare l’energia di collisione portandola al valore di 13-14 TeV. Al momento, nell'anello di 27 Km si stanno completando tutta una serie di test che termineranno con l'inizio delle vere e proprie collisioni a partire, secondo le previsioni, da questo mese di Maggio. Dopo il successo ottenuto a seguito della scoperta del <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Bosone_di_Higgs" target="_blank">bosone di Higgs</a>, o meglio di una <a href="https://astronomicamens.wordpress.com/2013/03/07/quella-particella-che-tanto-assomiglia-al-bosone-di-higgs/" target="_blank">particella che tanto gli assomiglia</a>, tra gli obiettivi che si propongono i fisici quello di trovare tracce di nuove particelle in una sorta di corsa contro il tempo che ha quasi del fantascientifico.</span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="text-align: justify;">
<b style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il 'nuovo' LHC</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgEvIOr-KQlRtZNms3hYaYoT6ql34iXdcOHnaoB_GneVrHRZdEkw_QY4HIAM9FgEiHfu_-6gxtf9k5X0Db4noX0iT-LN1qt_2iMOsaXXPvaZfSJtXzMoi2j8R-BSUrcNcRyLNT1OLkgbBpv/s1600/Fig1_ATLAS_CMS_Higgs.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgEvIOr-KQlRtZNms3hYaYoT6ql34iXdcOHnaoB_GneVrHRZdEkw_QY4HIAM9FgEiHfu_-6gxtf9k5X0Db4noX0iT-LN1qt_2iMOsaXXPvaZfSJtXzMoi2j8R-BSUrcNcRyLNT1OLkgbBpv/s640/Fig1_ATLAS_CMS_Higgs.jpg" width="265" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">I due grafici si riferiscono allo spettro di
massa<br />che mostra il 'bump', cioè l'eccesso di segnale
<br />associato al bosone di Higgs, così come è stato osservato <br />da ATLAS e CMS. E' un pò come se guardassimo il profilo <br />di un pendio in cui si vede emergere una collina. <br />Credit: CERN</span></td><td class="tr-caption"><br /></td><td class="tr-caption"><br /></td><td class="tr-caption"><br /></td><td class="tr-caption"><br /></td><td class="tr-caption"><br /></td><td class="tr-caption"><br /></td><td class="tr-caption"><br /></td></tr>
</tbody></table>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Per costruire il Large Hadron Collider (LHC), </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">l'acceleratore di particelle più grande e più </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">potente del mondo che sorge al CERN nei pressi </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">di Ginevra, ci sono voluti circa 10 anni, dal </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">1998 al 2008. Lo scopo è quello di rispondere </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ad alcune questioni fondamentali che riguardano </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">il <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Modello_standard" target="_blank">modello standard</a>, il quadro migliore che </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">descrive le proprietà delle </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">particelle elementari e di tre interazioni </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">fondamentali (è esclusa la <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Interazione_gravitazionale" target="_blank">gravità</a>). Ad una di </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">queste è stato possibile rispondere solo </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">parzialmente grazie alla scoperta di un bosone </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">scalare, che sembra avere le proprietà </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">consistenti con il bosone di Higgs del modello </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">standard e i cui risultati sono stati presentati al </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">CERN durante una conferenza nel Luglio del </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">2012 (<a href="https://astronomicamens.wordpress.com/2012/07/04/lhc-osservata-una-nuova-particella-consistente-con-il-bosone-di-higgs/" target="_blank">post</a>). Tuttavia, i fisici vogliono saperne di più </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">soprattutto per quanto riguarda le particelle che </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">dovrebbero costituire l’enigmatica <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Materia_oscura" target="_blank">materia </a></span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Materia_oscura" target="_blank">scura</a>, che rappresenta circa un quarto del </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">contenuto materia-energia dell'Universo</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">. Durante la chiusura </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">di due anni, un periodo noto come LS1 (<i>Long S</i></span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><i>top One</i>) iniziato il 14 Febbraio 2013, che </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">aveva lo scopo di correggere alcune falle del </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">progetto originale, tecnici ed ingegneri sono </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">stati impegnati per eseguire tutta una serie di </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">lavori di manutenzione che hanno permesso di </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">sostituire almeno 10.000 collegamenti tra le </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">diverse sezioni del collisore e di aggiungere </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">5.000 sistemi isolanti. Nel corso del periodo di </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">manutenzione, l’acceleratore è stato controllato </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">a fondo e ulteriormente ottimizzato al punto che </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">sembra quasi un "nuovo collisore". Più di un </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">milione di ore lavorative sono state spese per </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">operare il più vicino possibile al nuovo design e </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">alle richieste di energia e potenza che </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">caratterizzeranno i prossimi esperimenti. La </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">sostituzione di alcuni sistemi elettrici e </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">magnetici farà sì che la macchina potrà </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">raggiungere una potenza almeno doppia (13-14 </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">TeV) rispetto al <i>Run 1 </i>(7-8 TeV).Un tale </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">incremento di energia permetterà di svelare, </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">almeno così si spera, una sorta di nuovo </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">universo subatomico, ricco di dettagli che non </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">sono mai stati osservati prima. Diverse sono le </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">aspettative una volta che LHC entrerà in </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">funzione a regime e la speranza dei fisici sarà </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">quella di approfondire le proprietà della </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">particella di Higgs, capire se abbiamo trovato "il" </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">bosone di Higgs o se si tratta invece di "un" tipo </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">di bosone di Higgs, verificare se esistono </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">davvero le <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Supersimmetria" target="_blank">particelle supersimmetriche</a>, se ci </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">sono in natura altre particelle più esotiche del </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">tutto sconosciute e si cercheranno eventuali </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">segnali riconducibili all’esistenza di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Dimensione_extra" target="_blank">dimensioni </a></span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Dimensione_extra" target="_blank">spaziali extra</a>. Le indiscrezioni che circolano tra </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">i fisici suggeriscono che con il <i>Run 2</i> gli </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">scienziati tenteranno di vedere, se esistono, </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">evidenze di una “nuova fisica”. Durante i </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">prossimi tre anni, LHC dovrà analizzare </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">eventuali falle nel modello standard che, di </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">fatto, non spiega né l'origine della materia scura </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">né l'<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Energia_oscura" target="_blank">energia scura</a> senza considerare il fatto che esso non comprende l'interazione </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">gravitazionale. Si tratta di una sorta di “viaggio </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">di Colombo” verso l’esplorazione di un nuovo </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">mondo (subatomico) senza l’uso di alcuna mappa che possa </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">fare da guida. Non si sa quali strane </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">caratteristiche si troveranno ma sarà considerato </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">tutto quello che ci sarà da guardare, da </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">studiare e da scoprire, di questo i fisici ne </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">sono convinti. Insomma, possiamo davvero </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">affermare che riparte una nuova avventura </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">scientifica.</span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
<b style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; text-align: justify;">Un viaggio verso l'ignoto</b></div>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://astronomicamens.files.wordpress.com/2015/03/lhc_run2-2.png?w=474&h=755" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="400" src="https://astronomicamens.files.wordpress.com/2015/03/lhc_run2-2.png?w=474&h=755" width="250" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">Courtesy: Ufficio Comunicazione INFN</span></td></tr>
</tbody></table>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La cosa più eccitante è che non sappiamo </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">davvero cosa troveremo. Gli scienziati vogliono </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">svelare i segreti dell’Universo, capire come si è </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">originato andando a studiare i mattoni </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">fondamentali della materia e le interazioni che </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">le controllano. Durante il primo <i>run</i>, uno degli </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">obiettivi è stato quello di confermare quanto </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">fosse eccezionale la nostra teoria delle particelle </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">subatomiche. Le misure ricavate dagli </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">esperimenti di LHC hanno di fatto confermato </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">in ogni fase il modello standard. Ancora meglio, </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">due esperimenti (<a href="http://atlas.ch/" target="_blank">ATLAS</a> e <a href="http://cms.web.cern.ch/" target="_blank">CMS</a>) hanno trovato </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">il bosone di Higgs previsto dalla teoria e mai </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">osservato prima. Ma non è tutto così semplice. </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nonostante la teoria sia stata ripetutamente </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">verificata, con l’acquisizione sempre </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">maggiore di nuovi dati, i fisici si sono trovati di </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">fronte all’evidenza del fatto che non è proprio così: in </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">altre parole, non abbiamo ancora l’ultima </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">parola. Il modello standard non spiega alcune </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">caratteristiche fondamentali dell’Universo </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">come, ad esempio, la natura della materia scura, </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">l’<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Asimmetria_barionica" target="_blank">assenza di antimateria</a> e persino il </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">comportamento della gravità su scale </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">subatomiche, dove inizia il regno delle <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Meccanica_quantistica" target="_blank">regole </a></span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Meccanica_quantistica" target="_blank">quantistiche</a>. </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">In più, non sappiamo ancora molto </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">della particella di Higgs, tranne per il fatto che </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">“assomiglia” alle nostre aspettative, sebbene la </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">sua vera natura potrebbe essere molto più </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">esotica. Infatti, tra le domande aperte a cui fisici </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">dovranno dare delle risposte ci si chiede se questo </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">bosone scalare sia davvero l’unica particella del </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">suo genere, come prevede il modello standard, </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">oppure se si tratta del membro più “leggero” di </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">una famiglia numerosa di particelle di Higgs. </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ma se esistono altri bosoni di Higgs, forse </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">alcuni di essi potrebbero apparire a valori più </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">alti dell’energia di collisione oppure potrebbero </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">apparire altre particelle sconosciute che non </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">sono previste dal modello standard. Qualsiasi </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">deviazione minima che eventualmente si potrà </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">trovare nelle proprietà del bosone di Higgs, o in </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">qualsiasi altra particella del modello standard, </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">potrebbe rappresentare un chiaro segnale </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">dell’esistenza di una “nuova fisica”. Insomma, </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">trovare altri Higgs sarebbe fantastico ma trovare </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">qualsiasi cosa a noi sconosciuta sarebbe ancora </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">più interessante. Tuttavia, anche se non si troverà </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">nulla sarà ugualmente un risultato importante, </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">nonostante si speri ovviamente il contrario. </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Queste considerazioni ci fanno sospettare che ci </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">deve essere una descrizione migliore, ancora più </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">estesa e fondamentale della natura. Ma il fatto è </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">che non lo sappiamo. Esistono centinaia di idee </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">che vanno da semplici estensioni del modello </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">standard a delle bizzarrie francamente </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">stravaganti. Certamente, possiamo smentire la </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">teoria se saremo in grado di fare solo una misura </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">che non sia in accordo con il modello. Ma </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">finora, ciò non è successo. Questo è il motivo </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">per cui i fisici sono pronti a verificare i nuovi </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">dati di LHC con il <i>Run 2</i> perché è proprio in </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">questo modo che procede la nostra </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">comprensione dell’Universo.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b>L'angolo nascosto</b></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://astronomicamens.files.wordpress.com/2015/03/nuovi_orizzonti_lhc.png?w=474&h=655" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="400" src="https://astronomicamens.files.wordpress.com/2015/03/nuovi_orizzonti_lhc.png?w=474&h=655" width="288" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">Courtesy: Ufficio Comunicazione INFN</span></td></tr>
</tbody></table>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La supersimmetria è una estensione del modello </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">standard. Si tratta di una teoria molto elegante e </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">conosciuta nell'ambito della comunità dei fisici </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e potrebbe risolvere, si spera, alcuni punti </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">oscuri del modello standard, sebbene non sia </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">stata ancora verificata sperimentalmente. La </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">supersimmetria potrebbe spiegare, tra l'altro, </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">non solo le proprietà insolite del bosone di </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Higgs ma anche l'eventuale esistenza di altre </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">particelle di Higgs, come mai l'<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Interazione_forte" target="_blank">interazione forte</a> </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e quella <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Interazione_debole" target="_blank">debole</a> sono così differenti e poi l'origine della </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">materia scura, quest'ultima il mistero più </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">profondo della fisica moderna. Questa teoria </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">predice, per ogni particella nota, l'esistenza di </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">una corrispondente particella, denominata </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">“superparticella”, che ha proprietà simili alla </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">particella standard tranne per il fatto che è </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">più pesante. Tuttavia, dopo gli esperimenti </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">fallimentari di LHC che non hanno permesso di </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">rivelare le superparticelle, alcuni scienziati </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">hanno pensato di abbandonare definitivamente </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">la teoria. Infatti, alcune superparticelle, come il </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">“<a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Stop_squark" target="_blank">quark stop</a>” che è la superparticella del <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Quark_top" target="_blank">quark-</a></span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Quark_top" target="_blank">top</a>, dovrebbero avere una massa così leggera </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">che sarebbe stata già rivelata dal grande </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">collisore. Ma secondo alcuni teorici, le </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">superparticelle potrebbero essere, per così dire, </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">“nascoste” dal rumore dovuto al segnale causato da </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">altre particelle che si originano durante le </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">collisioni protoni-protoni. Non solo, ma una </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">delle proprietà di queste particelle pesanti non </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">permetterebbe di trasformarle esclusivamente </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">nelle particelle ordinarie e quindi di essere </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">osservate. Quando nell'anello di LHC verranno </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">realizzate le prossime collisioni con un livello di </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">energia superiore, i fisici sperano che esso </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">potrà fornire preziosi indizi sull’esistenza delle </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">superparticelle, anche se bisognerà tener </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">presente tutte le altre possibilità. I teorici hanno </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ipotizzato l’esistenza di tali particelle ormai da </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">decenni. Infatti, la supersimmetria sostiene che </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">una o più superparticelle, se esistono davvero, </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">potrebbero rivelarsi come i costituenti della </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">materia scura, quella enigmatica componente </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">che costituisce oltre l’85 per cento della materia </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">presente nell’Universo e che non è descritta dal </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">modello standard. Dunque, trovare queste </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">superparticelle, almeno quelle più “leggere” </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">previste dalla teoria, assumendo che non siano </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">troppo pesanti per essere prodotte ad energie </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">raggiungibili da LHC, sarà uno degli obiettivi </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">principali dei prossimi esperimenti. Ma, forse, la </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">supersimmetria non è la teoria giusta. Tuttavia, </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">la cosa importante è capire il modo con cui </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">funziona la natura realizzando tanti esperimenti </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e costruendo modelli alternativi. Insomma, </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">bisogna esplorare qualsiasi angolo senza </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">tralasciare alcuna teoria che possa essere </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">potenzialmente adeguata là dove si “nascondo” </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">le cose.</span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b>Un'avventura senza meta</b></span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Al momento, il collisore viene mantenuto ad </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">una temperatura di 1,9 gradi sopra lo zero </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">assoluto, ancora più bassa della temperatura dello spazio (2,7 gradi Kelvin). LHC opererà ad una potenza quasi </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">doppia, verificata di recente quando i </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">fisici hanno eseguito tutta una serie di test ai </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">magneti relativamente ad un particolare settore </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">del collisore. Con questo nuovo e potente </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">dispositivo, gli scienziati saranno in grado di </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">esplorare eventuali deviazioni, se esistono, al </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">fine di capire se ci troviamo di fronte ad un </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">livello più profondo della fisica che va oltre il </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">modello standard. Molti teorici stanno </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">prendendo sul serio la supersimmetria e se essa </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">si dimostrerà vera, il “nuovo LHC” potrebbe </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">essere in grado di creare le particelle </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">supersimmetriche, o almeno provarne la loro </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">esistenza attraverso altri metodi. È possibile che </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">il bosone di Higgs interagisca o si trasformi in </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">particelle di materia scura? Anche in questo </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">caso, se questa ipotesi si dimostrerà vera allora </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">le particelle di materia scura dovrebbero </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">letteralmente “volar via” dal rivelatore senza </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">essere osservate. </span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span>
<br />
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://astronomicamens.files.wordpress.com/2014/10/lhc_view.jpg?w=672&h=372&crop=1" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="221" src="https://astronomicamens.files.wordpress.com/2014/10/lhc_view.jpg?w=672&h=372&crop=1" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Una suggestiva vista del rivelatore ATLAS. Credit: CERN</span></td></tr>
</tbody></table>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Dai primi di Aprile, fasci di </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">particelle costituiti da miliardi di protoni hanno iniziato a circolare</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> nel lungo </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">anello di 27 chilometri</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">. Poi, a partire dalla fine di Maggio o </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">dai primi di Giugno, l’acceleratore sarà calibrato </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">per iniziare definitivamente le tanto attese </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">collisioni protoniche nei quattro principali </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">rivelatori (ATLAS, CMS, <a href="http://aliweb.cern.ch/" target="_blank">ALICE</a>, <a href="http://lhcb.web.cern.ch/lhcb/" target="_blank">LHCb</a>) e che </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">avranno una energia di 6,5 TeV per fascio. </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Raggiungere 13-14 TeV rappresenterà un nuovo </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">record che, si spera, aprirà una finestra verso </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">una nuova esplorazione e nuove scoperte che </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">consentiranno ai fisici di verificare teorie che </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">prima non era possibile mettere alla prova, di </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">cercare segnali dell'esistenza di particelle esotiche e </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">possibilmente di una “nuova fisica” che vada al </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">di là del modello standard. Diversamente dalla </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">fase iniziale, quando eravamo ragionevolmente </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">sicuri che avremmo osservato il bosone di Higgs </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">oppure che avremmo trovato qualche falla nel </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">modello standard, per questa nuova avventura di </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">LHC ora non c’è una vera e propria linea da </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">seguire. I fisici hanno bisogno di verificare ogni </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">parte del modello a più alte energie per trovare, </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">possibilmente, delle discrepanze nella teoria e </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">per vedere se esistono nuove ed inattese </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">particelle di cui ignoriamo l’esistenza. </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Insomma, tutto è pronto e qualunque cosa ci </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">sarà là fuori, vogliamo trovarla. Abbiamo </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ancora tante domande aperte sull’Universo e </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">tanto in sospeso che non possiamo pensare di </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">fermarci proprio adesso.</span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/08305106977611057570noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7973467142325335034.post-86957238927797497132015-03-29T10:58:00.003-07:002015-03-29T10:58:52.371-07:00I temi 'oscuri' della cosmologia<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il modello cosmologico standard, detto <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Modello_Lambda-CDM" target="_blank">Lambda-CDM</a>, si basa su 6 parametri che concordano con i dati osservativi. Nonostante sia alquanto semplice, il modello presenta delle stranezze poichè esso implica che la maggior parte della materia nell’Universo è presente sottoforma di <a href="https://astronomicamens.wordpress.com/?s=materia+scura" target="_blank">materia scura</a>, costituita da un tipo di particella subatomica che non è stata ancora rivelata in laboratorio, e che la maggior parte dell’<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Energia_del_vuoto" target="_blank">energia associata allo spazio vuoto</a> è presente invece in una forma di <a href="https://astronomicamens.wordpress.com/?s=energia+scura" target="_blank">energia scura</a>. L’esistenza di queste enigmatiche e oscure componenti richiede la necessità di utilizzare alcune estensioni del <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Modello_standard" target="_blank">modello standard delle particelle elementari</a>, come ad esempio la <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Supersimmetria" target="_blank">supersimmetria</a>, e indicano che la <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Relativit%C3%A0_generale" target="_blank">relatività generale</a> viene meno su scale cosmologiche. Una volta <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/John_Archibald_Wheeler" target="_blank">John Archibald Wheeler</a> andava riassumendo così la “geometrodinamica”, come egli preferiva chiamare la teoria della relatività: “<i>lo spaziotempo dice alla materia come muoversi e la materia dice allo spaziotempo come curvare</i>”. I cosmologi osservano il moto degli atomi, sia nella forma di gas che di stelle, oppure seguono le traiettorie della luce che si propaga nello spazio per derivare la sua geometria. Queste misure della <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Spaziotempo#La_curvatura_dello_spaziotempo_nella_teoria_della_Relativit.C3.A0_Generale" target="_blank">curvatura dello spaziotempo</a> vengono utilizzate per determinare indirettamente la distribuzione totale della materia e dell’energia. Ma il fatto più importante è che ad oggi la materia ordinaria, cioè la materia visibile composta dagli atomi, rappresenta solamente il 5 percento del contenuto materia-energia dell’Universo.</span></div>
<a name='more'></a><br />
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<br /></div>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><div style="text-align: justify;">
<b>Il modello standard funziona, ma a un prezzo</b></div>
<div style="text-align: justify;">
Le osservazioni della distribuzione delle <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Galassia" target="_blank">galassie</a> e dei <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Quasar" target="_blank">quasar</a> mostrano che l’Universo è all’incirca uniforme su larga scala e che la velocità di una galassia lontana dipende dalla sua distanza. La relatività generale implica che lo spazio si espande e che la sua origine è stata dovuta ad una grande esplosione iniziale: il <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Big_Bang" target="_blank">Big Bang</a>. Poiché l’Universo si espande, la luce viene arrossata, secondo un fenomeno noto come <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Spostamento_verso_il_rosso_cosmologico" target="_blank">redshift cosmologico</a>, perciò la luce che proviene da una galassia distante apparirà più rossa quando raggiunge i nostri telescopi. Le osservazioni che furono eseguite da <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Edwin_Hubble" target="_blank">Edwin Hubble</a> verso la fine degli anni ’20 mostrarono che esiste una relazione lineare tra il redshift di una galassia e la sua distanza. Il nostro attuale modello cosmologico standard assume che la relatività generale e il modello standard delle particelle elementari rappresentino una buona descrizione dei fenomeni fisici dell’Universo. Inoltre, il modello assume che la <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Forma_dell%27universo#Universo_piatto" target="_blank">geometria dell’Universo su larga scala sia spazialmente piatta</a>: in altre parole, l’energia totale dell’Universo risulta uguale a zero. Ciò implica che la geometria euclidea sia valida su scale cosmologiche. Nonostante la geometria dell’Universo sia molto semplice, la sua composizione è alquanto strana: l’Universo non è solo composto da atomi (la maggior parte dei quali sono idrogeno ed elio) ma esistono altre due componenti dominanti, di cui non conosciamo ancora nulla, che gli astronomi chiamano materia scura ed energia scura. Il modello cosmologico più comunemente accettato ipotizza che subito dopo il Big Bang l’Universo subì un periodo di rapida espansione esponenziale, detta fase dell’<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Inflazione_%28cosmologia%29" target="_blank">inflazione cosmica</a>, che diede forma e volume allo spazio. La <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Radiazione_cosmica_di_fondo" target="_blank">radiazione cosmica di fondo </a>rappresenta il calore residuo di questa fase di rapida espansione. Inoltre, secondo il modello dell’inflazione cosmica, le minuscole <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Fluttuazione_quantistica" target="_blank">fluttuazioni quantistiche</a> sarebbero state amplificate in variazioni di densità che sono “quasi invarianti di scala”, cioè hanno quasi la stessa ampiezza su tutte le scale spaziali. Queste variazioni di densità causarono l’emergere di onde sonore che si propagarono nello spazio lasciando una sorta di “impronta digitale” nella radiazione cosmica di fondo e nella distribuzione su larga scala delle galassie. Le osservazioni della radiazione cosmica di fondo rappresentano perciò una finestra nell’Universo giovane quando aveva una età di appena 380 mila anni dopo il Big Bang. Durante questa epoca, gli elettroni e i protoni si combinarono per formare l’idrogeno. Una volta che l’Universo divenne neutro, i fotoni del fondo a microonde furono in grado di propagarsi liberamente e le onde sonore determinarono una sorta di minima scala caratteristica che indica la distanza lungo la quale le onde acustiche si sono propagate nel corso di 380 mila anni. Questa scala spaziale caratteristica, detta “<a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Baryon_acoustic_oscillations" target="_blank">scala barionica acustica</a>”, viene utilizzata dagli astronomi come una sorta di "righello cosmico" che serve per misurare la geometria dello spazio e quindi per determinare la densità dell’Universo. Le osservazioni delle fluttuazioni della temperatura e della <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Radiazione_cosmica_di_fondo#Polarizzazione" target="_blank">polarizzazione nella radiazione cosmica di fondo</a>, sia dallo spazio che da terra, permettono di verificare il modello cosmologico standard e di determinare i suoi parametri fondamentali. Un modello che ha sorprendentemente sei parametri (l’età dell’Universo, la densità degli atomi, la densità della materia, l’ampiezza delle fluttuazioni di densità, la loro dipendenza dalla scala spaziale e l’epoca della formazione delle prime stelle) fornisce una descrizione dettagliata di tutte le proprietà statistiche delle attuali misure della radiazione cosmica di fondo. Lo stesso modello descrive inoltre le osservazioni della distribuzione delle galassie su larga scala, le misure della <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Legge_di_Hubble" target="_blank">costante di Hubble</a>, il ritmo dell’<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Universo_in_accelerazione" target="_blank">espansione cosmica (accelerata)</a> e la misura delle distanza delle <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Supernova" target="_blank">supernovae</a>. Ma il suo successo ha un prezzo: gli atomi costituiscono solamente il 5 percento della composizione dell'Universo; il modello standard assume che la materia scura domini la massa delle galassie e che l’energia scura, ossia l’energia associata allo spazio vuoto, tenga conto della maggior parte della densità dell’energia dell’Universo.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhbadW08VIdbehMqJU24miJIkd35g-So_aDW5Pt8pzYXjkTYx1WE0ZeIDrhbZPybVp2nNN93iAo_ZHWeNkRKraApM3Ksf8cfy4l0HDEf3RD_6FhyphenhyphenBV12fDCjxmtIupyjLPRc5m53-eig6RJ/s1600/componenti_universo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhbadW08VIdbehMqJU24miJIkd35g-So_aDW5Pt8pzYXjkTYx1WE0ZeIDrhbZPybVp2nNN93iAo_ZHWeNkRKraApM3Ksf8cfy4l0HDEf3RD_6FhyphenhyphenBV12fDCjxmtIupyjLPRc5m53-eig6RJ/s1600/componenti_universo.jpg" height="205" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Le componenti multiple che compongono il nostro Universo espresse in frazioni percentuali che evolvono nel tempo. <span style="font-size: x-small;"><span style="text-align: justify;">Le osservazioni astronomiche e la teoria cosmologica suggeriscono che la composizione dell’Universo sia sorprendentemente ricca e complessa allo stesso tempo. Come si evince dalla figura, l’energia scura comprende il 69 percento del contenuto massa-energia dell’Universo, la materia scura tiene conto del 25 percento e solo il 5 percento è dato dalla materia ordinaria. Esistono poi dei contributi secondari che sono dovuti a tipi diversi di neutrino (0,1 percento), alla radiazione cosmica di fondo (fino a 0,01 percento) e ai buchi neri (almeno 0,005 percento).</span> </span></td></tr>
</tbody></table>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>E' là fuori, ma non si vede</b></div>
<div style="text-align: justify;">
Nel 1933, <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Fritz_Zwicky" target="_blank">Fritz Zwicky</a> mostrò che le velocità delle galassie nell’<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Ammasso_della_Chioma" target="_blank">ammasso della Chioma</a> erano troppo elevate rispetto alle precedenti stime basate solamente sulla massa delle galassie, implicando l’esistenza di una certa quantità di massa aggiuntiva presente nell’ammasso di galassie. Negli anni ’50, altre osservazioni indicarono che il <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Gruppo_Locale" target="_blank">Gruppo Locale</a> di galassie poteva diventare dinamicamente stabile solo se conteneva una quantità apprezzabile di materia invisibile. Ma dagli anni ’70, gli astronomi sostennero che la massa sia negli ammassi che nelle singole galassie doveva aumentare con le dimensioni degli oggetti ed era indipendente dalla componente associata alla materia ordinaria. Studi successivi condotti da <a href="http://cwp.library.ucla.edu/Phase2/Rubin,_Vera_Cooper@931234567.html" target="_blank">Vera Rubin</a> sul moto del gas e delle stelle nelle regioni più esterne delle galassie a spirale fornirono l’evidenza definitiva dell’esistenza di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Alone_galattico#Materia_oscura_nell.27alone" target="_blank">aloni massicci di materia non visibile</a> che doveva essere necessariamente presente nelle galassie. Perciò, a partire dagli anni ’80 il concetto di materia scura è diventato parte integrante del paradigma cosmologico. La radiazione cosmica di fondo e la struttura su larga scala implicano che la materia scura sia 5 volte più abbondante della materia ordinaria. Le osservazioni implicano inoltre che la materia scura interagisca molto debolmente con i fotoni, gli elettroni e i protoni. Se oggi la materia scura fosse composta di atomi, rispetto alle fasi primordiali della storia cosmica, sarebbe composta di ioni ed elettroni e avrebbe lasciato una chiara “impronta” nella radiazione cosmica di fondo. Perciò, la materia scura deve essere di origine non-barionica e quindi “scura”, cioè invisibile. Le osservazioni della struttura su larga scala e le simulazioni della formazione delle galassie implicano che la materia scura debba essere anche “fredda”: in altre parole, le particelle che la compongono devono essere in grado di addensarsi su piccole scale. Le simulazioni della formazione delle strutture con materia scura fredda (ed energia scura) sono generalmente più consistenti nel riprodurre le osservazioni della distribuzione delle galassie su larga scala. Quando vengono combinate con le simulazioni idrodinamiche che modellano gli effetti della formazione stellare, le simulazioni possono riprodurre le proprietà osservative di base delle galassie. Gli ammassi supermassicci sono laboratori importanti per studiare le proprietà della materia scura. Si ritiene che questi ammassi siano dei “chiari campioni” dell’Universo dato che il rapporto misurato tra la materia scura e la materia ordinaria negli ammassi è molto vicino al valore cosmologico. Le osservazioni nella banda X dello spettro elettromagnetico permettono di tracciare direttamente la distribuzione della materia (barionica) ordinaria poiché la maggior parte degli atomi del gas presente nell’ammasso sono ionizzati. Così come venne discusso inizialmente dallo stesso Zwicky, le osservazioni del <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Lente_gravitazionale" target="_blank">lensing gravitazionale</a> relativo alle galassie di fondo, cioè quelle più distanti, permette di mappare direttamente la distribuzione totale della materia presente nell’ammasso. Oggi, dopo oltre 75 anni da quando Zwicky aveva suggerito questo metodo, gli astronomi utilizzano grandi fotocamere sul <a href="http://hubblesite.org/" target="_blank">telescopio spaziale Hubble</a> per realizzare mappe dettagliate della distribuzione di materia dell’ammasso. Queste osservazioni rivelano quantità considerevoli di sottostrutture di materia scura generalmente consistenti con le previsioni prodotte dalle simulazioni numeriche. Su scale più piccole, le <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Galassia_nana" target="_blank">galassie nane</a> rappresentano un altro banco di prova astronomico per verificare le teorie sulla materia scura. Il <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Energia_potenziale_gravitazionale" target="_blank">potenziale gravitazionale</a> di questi sistemi galattici dominati dalla materia scura è alquanto superficiale, cioè poco profondo, perciò le proprietà previste per gli aloni nelle galassie nane sono molto sensibili alle proprietà della materia scura. Diversi gruppi di ricercatori hanno sostenuto il fatto che le proprietà osservate delle galassie nane non sono consistenti con le simulazioni numeriche. Sebbene alcuni astrofisici sostengano che la costruzione di modelli più appropriati della formazione stellare possa eliminare queste discrepanze, altri suggeriscono che sia necessario tener conto delle auto-interazioni della materia scura per uguagliare le simulazioni con le osservazioni. Tutti gli argomenti astronomici relativi all’esistenza della materia scura assumono che la relatività generale sia valida su scale galattiche. Teorie alternative della gravità, come ad esempio le <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Teorie_MOND" target="_blank">teorie MOND</a>, permettono di descrivere la materia scura modificando la fisica dell’interazione gravitazionale. Anche se questi modelli descrivono bene le osservazioni su scale galattiche, tuttavia essi presentano delle difficoltà per spiegare le fluttuazioni della radiazione cosmica di fondo e le osservazioni degli ammassi, in particolare il caso del <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Bullet_Cluster" target="_blank">Bullet Cluster</a> (<a href="http://www.media.inaf.it/2015/03/26/materia-oscura-non-gravitazionale/" target="_blank">post</a>).</div>
</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>Superparticelle e particelle esotiche</b></div>
<div style="text-align: justify;">
L’esistenza di una forma non-barionica di materia scura implica che ci deve essere una nuova fisica al di là del modello standard delle particelle elementari. I fisici delle particelle hanno suggerito una serie di possibilità, alcune motivate dalle idee di fisica fondamentale e altre dal desiderio di spiegare i fenomeni astrofisici. L’Universo delle origini fu davvero un potente acceleratore di particelle. Alle temperature e densità estreme che caratterizzavano le fasi primordiali della storia cosmica, era presente un grande numero di particelle. Gli esperimenti sulla radiazione cosmica di fondo hanno permesso di rivelare le tracce di un certo numero di neutrini prodotti nei primi istanti di vita dell’Universo, durante i quali si sarebbero potute creare anche le particelle di materia scura. La supersimmetria, la teoria più accreditata come estensione del modello standard della fisica fondamentale, fornisce dei potenziali candidati della materia scura. Le particelle possono essere suddivise in due tipi: <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Fermione" target="_blank">fermioni</a> e <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Bosone_%28fisica%29" target="_blank">bosoni</a>. I fermioni seguono il <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Principio_di_esclusione_di_Pauli" target="_blank">principio di esclusione di Pauli</a>: solo una particella si può trovare in un singolo stato quantico. I bosoni, invece, si possono trovare nello stesso stato quantico. Gli elettroni sono fermioni mentre i fotoni sono bosoni. La supersimmetria sarebbe una sorta di nuova simmetria della natura che lega ad ogni bosone una particella partner di tipo fermione e viceversa. Questa simmetria implica una serie di nuove particelle: ad esempio, al fotone corrisponderebbe il “<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Fotino" target="_blank">fotino</a>” e all’elettrone corrisponderebbe la particella supersimmetrica “<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Selettrone" target="_blank">selettrone</a>”. Uno degli obiettivi del <a href="http://home.web.cern.ch/topics/large-hadron-collider" target="_blank">Large Hadron Collider (LHC)</a> con il prossimo <i>Run 2</i> sarà proprio quello di cercare queste superparticelle. L'esistenza della particella supersimmetrica più leggera (LSP) potrebbe essere verificata sperimentalmente. Queste particelle sarebbero state prodotte in grande abbondanza nei primi momenti della storia cosmica subito dopo il Big Bang. Per alcuni parametri della supersimmetria, l’abbondanza della particella LSP è proprio quella che è necessaria per spiegare la materia scura. Questo successo è un esempio del cosiddetto “<a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Weakly_interacting_massive_particles" target="_blank">miracolo WIMP</a>” della cosmologia: una particella massiccia che interagisce debolmente, cioè una particella che interagisce attraverso lo scambio di particelle che hanno masse confrontabili con la massa del <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Bosone_di_Higgs" target="_blank">bosone di Higgs</a>, avrebbe le proprietà giuste per essere la materia scura. Ma i fisici delle particelle hanno suggerito altri candidati, tra cui l’<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Assione" target="_blank">assione</a> e una materia scura “asimmetrica”, cioè particelle le cui abbondanze non sono fissate dalla loro sezione d’urto ma da una <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Asimmetria_barionica" target="_blank">asimmetria tra materia e antimateria</a> (<a href="http://www.media.inaf.it/2015/03/03/materia-oscura-intrappolata-nel-sole/" target="_blank">post</a>). Se le particelle WIMP sono la materia scura, allora esse potrebbero essere rivelate mediante diverse modalità: la materia scura potrebbe essere creata in un acceleratore o essere vista negli esperimenti sotterranei o ancora attraverso le osservazioni astronomiche. Queste possibilità hanno portato ad un intenso programma di ricerca sulla materia scura. Questa ricerca ha prodotto alcuni momenti eccitanti. Si tratta di una serie di segnali interessanti che potrebbero rappresentare, forse, le prime rivelazioni di particelle di materia scura: 1) l’<a href="http://people.roma2.infn.it/~dama/web/home.html" target="_blank">esperimento al Gran Sasso DAMA</a> ha osservato una modulazione annuale nel tasso degli eventi misurati dal rivelatore la cui forma è consistente con quanto predetto teoria; l’interpretazione di questo risultato è dibattuta dato che altri esperimenti hanno fallito nel rivelare la materia scura e sembrano essere in contraddizione con questo segnale; 2) ci sono stati altri segnali relativi ad un eccesso di raggi-gamma provenienti dal centro della Via Lattea che cadono in un intervallo di masse potenzialmente legate alla materia scura; dato che esiste una elevata densità di materia scura nel centro galattico, essa potrebbe rappresentare la sorgente più brillante di fotoni di alta energia che vengono prodotti attraverso un processo di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Annichilazione" target="_blank">auto-annichilazione delle particelle</a> di materia scura; tuttavia, il centro galattico contiene anche una serie di sorgenti astrofisiche che emettono fotoni di alta energia; tuttavia, le osservazioni di altre galassie hanno suggerito l’esistenza di materia scura con una massa ancora diversa; anche questo risultato sembra essere controverso e i cosmologi sperano di poter ottenere maggiori dati dalle galassie nane vicine per ricavare un segnale meno ambiguo; 3) il processo di annichilazione della materia scura nella Via Lattea potrebbe produrre positroni; gli esperimenti sui <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Raggi_cosmici" target="_blank">raggi cosmici</a> hanno cercato questi segnali; la sfida di questi esperimenti è quella di separare questo segnale dalle sorgenti astrofisiche di raggi cosmici, come le pulsar. Si spera che gli esperimenti futuri potranno verificare l'attendibilità di questi risultati. La scoperta delle particelle di materia scura potrebbe risolvere una volta per tutte un grande mistero della fisica moderna, fornendo preziosi indizi sul ruolo che essa ha nella formazione delle galassie, ed essere il primo segnale di una <i>nuova fisica</i> al di là del modello standard.</div>
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<b>L’energia del nulla</b></div>
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Quando <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Albert_Einstein" target="_blank">Albert Einstein</a> introdusse la sua teoria della relatività generale, egli aggiunse un termine: la <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Costante_cosmologica" target="_blank">costante cosmologica</a>. Questo termine aveva lo scopo di generare una forza repulsiva che controbilanciasse l’attrazione gravitazionale dovuta alla materia e mantenesse stabile l’intero Universo. Ma verso la fine degli anni ’20, Hubble scoprì che le galassie si allontanano le une dalle altre a grande velocità, implicando l’espansione dell’Universo. La scoperta indusse i fisici ad eliminare per sempre la costante cosmologica. Motivati dall’evidenza osservativa a favore di un Universo con bassa densità e da un pregiudizio teorico che favoriva un Universo piatto, l’entusiasmo per la costante cosmologica venne rivisitato dagli astronomi durante gli anni ’70 e ’80. I fisici riconobbero che il valore della costante cosmologica rappresentava davvero un problema di fisica fondamentale. Un Universo dominato da un termine cosmologico costituisce un luogo molto strano dove vivere. Noi pensiamo alla gravità come una forza attrattiva. Se lanciamo una palla verso l’alto, la forza di gravità della Terra la rallenta per poi farla cadere. Analogamente, la gravità (in assenza di una costante cosmologica) rallenta l’espansione dello spazio. Immaginate se lanciando la palla verso l’alto, vedessimo che essa accelera anziché rallentare. Questo è l’effetto che la costante cosmologica produce sul ritmo di espansione dell’Universo. Le osservazioni delle supernovae hanno fornito una evidenza sperimentale che l’espansione dell’Universo sta di fatto accelerando. Una particolare classe di supernovae, dette di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Supernova_di_tipo_Ia" target="_blank">tipo Ia</a>, servono come “candele standard” per determinare con grande precisione la loro distanza poiché la luminosità emessa è pressoché uguale per tutte. Determinando perciò la distanza in funzione del redshift della galassia ospite, le supernovae Ia permettono di ricavare il ritmo dell’espansione dello spazio in funzione del tempo. Verso la fine degli anni ’90, gli astronomi riportarono il risultato sorprendente che l’espansione dell’Universo sta davvero accelerando. Nel corso degli ultimi 15 anni, questa evidenza ha continuato a rafforzarsi sempre più. Le misure della scala acustica barionica, sia nella radiazione cosmica di fondo che nella distribuzione delle galassie in funzione della loro distanza, ha permesso di tracciare la scala dell’Universo fino all’epoca della ricombinazione, ossia quando l’Universo aveva una età di 380 mila anni. Inoltre, le misure del tasso di crescita delle strutture in funzione del redshift hanno rafforzato l'evidenza a favore dell’accelerazione cosmica. Il motivo per cui l’Universo sta accelerando si basa sul fatto che la costante cosmologica (o in maniera equivalente l’energia dello spazio vuoto) sta causando l’accelerazione cosmica. Esiste anche un’altra possibilità in base alla quale l’accelerazione dell’espansione dell’Universo sia, invece, causata da un <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Campo_scalare" target="_blank">campo scalare</a> che riempie tutto lo spazio (come il <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Meccanismo_di_Higgs" target="_blank">campo di Higgs</a> o l’<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Inflatone" target="_blank">inflatone</a> responsabile dell’inflazione cosmica). Entrambe le due possibilità vengono denominate con il termine “energia scura”. Dato, però, che tutte le evidenze a favore dell’energia scura utilizzano le equazioni della relatività generale per interpretare le nostre osservazioni relative all’espansione dell’Universo e alla sua evoluzione, una conclusione alternativa è che sia richiesta una nuova teoria della gravità per spiegare le osservazioni. Alcuni modelli includono teorie della gravità modificata con <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Dimensione_extra" target="_blank">dimensioni spaziali extra</a>. Le osservazioni future potranno determinare la sorgente dell’accelerazione cosmica e quindi far luce sulla natura dell’energia scura. Le nostre osservazioni possono misurare due effetti differenti: la relazione tra la distanza e il redshift e il tasso di crescita delle strutture cosmiche. Se la relatività generale è valida su scale cosmologiche, allora queste due misure dovrebbero essere consistenti. Inoltre, queste misure permetteranno di determinare le proprietà fondamentali dell’energia scura. Gli astrofisici stanno attualmente realizzando tutta una serie di esperimenti che hanno lo scopo di usare il grado di addensamento delle galassie e le osservazioni delle supernovae per misurare la distanza e il lensing gravitazionale per misurare il tasso di crescita delle strutture cosmiche. Queste osservazioni sono complementari con quelle della radiazione cosmica di fondo che fornisce misure indipendenti del lensing gravitazionale e misure più precise delle strutture cosmiche. Nella prossima decade, osservazioni ancora più precise e dettagliate permetteranno di mappare la struttura su larga scala dell’Universo nel corso degli ultimi 10 miliardi di anni e di tracciare la distribuzione della materia su un’area di cielo sempre più grande. Si spera così che tali osservazioni forniscano ulteriori indizi sulla sorgente che determina l’espansione cosmica accelerata.</div>
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<b>Conclusioni</b></div>
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Nonostante sia trascorso un secolo dalla pubblicazione della relatività generale, la teoria di Einstein rimane una idea potente, anche se dibattuta, nell’ambito della cosmologia. Si tratta di una delle assunzioni base del modello cosmologico standard: un modello consistente con le osservazioni ma che implica allo stesso tempo l’esistenza di due componenti "oscure". Ciò significa che la nostra comprensione della fisica è incompleta. Avremo perciò bisogno di nuove idee, così profonde come la relatività generale, e richiedere osservazioni ed esperimenti più potenti che possano risolvere, almeno così si spera, questi misteri della cosmologia moderna.</div>
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</span><span style="font-size: x-small;">Science: <a href="http://www.sciencemag.org/content/347/6226/1100.abstract">The dark side of cosmology: Dark matter and dark energy</a></span>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/08305106977611057570noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7973467142325335034.post-89422808109232677092015-02-22T10:16:00.000-08:002015-02-23T01:02:37.261-08:00METI, il dibattito sui messaggi interstellari<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Se è vero che una delle domande che si pone da sempre l'umanità, e cioè se siamo soli nell'Universo, rimane ancora senza risposta è anche vero che ci si chiede se vale la pena trasmettere nello spazio dei <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Active_SETI" target="_blank">messaggi interstellari</a> che annuncino la nostra presenza. Forse, come pensa qualcuno, dovremmo solo ascoltare. Comunque sia, da quando è iniziata l'era della ricerca delle intelligenze extraterrestri con il <a href="http://www.seti.org/" target="_blank">programma SETI</a> </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><a href="http://www.seti.org/" target="_blank">(Search for Extra Terrestrial Intelligence)</a></span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">, nella maggior parte dei casi i radioastronomi hanno utilizzato solamente delle strategie di ascolto.</span></div>
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<a name='more'></a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"></span><br />
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<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/archive/4/4e/20091013221133!La_guerra_dei_mondi.PNG" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/archive/4/4e/20091013221133!La_guerra_dei_mondi.PNG" height="225" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: xx-small;">Un fotogramma tratto dal film "La Guerra dei Mondi" di S. Spielberg (2005). Credit: Paramount Pictures, DreamWorks SKG, Amblin Entertainment, Cruise/Wagner Productions</span></td></tr>
</tbody></table>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel 1999, quel consenso venne abbandonato. Senza consultarsi con altri membri della comunità scientifica coinvolti nel progetto di ricerca SETI, un gruppo di radioastronomi guidati da <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Aleksandr_Leonidovich_Zaitsev" target="_blank">Alexander Zaitsev</a> della stazione di <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Yevpatoria_RT-70_radio_telescope" target="_blank">Evpatoria Radar Telescope in Crimea</a>, la seconda per dimensioni grazie ai suoi 70m di diametro, trasmise un messaggio interstellare, chiamato “<a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Cosmic_Call" target="_blank">Cosmic Call 1</a>”, verso quattro stelle vicine di tipo solare (vedi <a href="http://www.cplire.ru/html/ra&sr/irm/report-1999.html" target="_blank">report</a>). Il progetto venne fondato da una azienda americana, la <a href="http://www.teamencounter.com/" target="_blank">Team Encounter</a>, e si basò su una serie di procedure per permettere al grande pubblico di inviare testi e immagini utilizzando un <i>fee</i>. Altri segnali simili furono trasmessi dalla stazione di Evpatoria nel 2001, nel <a href="http://www.cplire.ru/html/ra&sr/irm/CosmicCall-2003/index.html" target="_blank">2003 (Cosmic Call 2)</a> e nel 2008. In tutto, le trasmissioni vennero inviate verso 20 stelle distribuite entro 100 anni-luce. Questa strategia innovativa fu chiamata <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/SETI_attivo" target="_blank">METI (Messaging to Extraterrestrial Intelligence) o SETI attivo</a>. Sebbene Zaitsev non fu il primo ad inviare un messaggio interstellare, egli e i suoi colleghi furono comunque i primi a trasmettere sistematicamente verso stelle vicine. Sulla scia degli esperimenti di Evpatoria, un numero limitato di stazioni di ricerca appartenute alla NASA realizzarono una serie di trasmissioni METI come trucchi pubblicitari a scopo commerciale, tra cui un <a href="https://www.youtube.com/watch?v=JDHHqhS7P5U" target="_blank">messaggio nel linguaggio Klingon</a> della famosa serie di <i>Star Trek</i> per promuovere la prima di un'opera oppure l'intero <i>remake</i> del film di fantascienza <a href="http://www.nytimes.com/2008/12/12/science/space/12earth.html?_r=0">“The Day the Earth Stood Still”</a> del 2008. Le modalità di questi messaggi commerciali non sono state rese pubbliche ma certamente erano troppo deboli per essere rivelate su distanze interstellari utilizzando strumenti analoghi a quelli terrestri. Le azioni intraprese da Zaitsev fecero comunque sollevare un grande dibattito nella comunità scientifica soprattutto per le eventuali conseguenze che tali messaggi interstellari avrebbero potuto causare all'umanità. A questo dibattito fu dedicato uno speciale dal <i><a href="http://www.jbis.org.uk/" target="_blank">Journal of the British Interplanetary Society</a></i> che portò nel 2010 all'organizzazione di un congresso sponsorizzato dalla <a href="https://royalsociety.org/" target="_blank">Royal Society</a> a Buckinghamshire, Londra.</span><br />
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<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il SETI moderno ebbe inizio nel 1959 quando due astrofisici, <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Cocconi" target="_blank">Giuseppe Cocconi</a> e <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Philip_Morrison" target="_blank">Phillip Morrison</a>, pubblicarono un articolo sulla prestigiosa rivista Nature dal titolo <i><a href="http://www.nature.com/nature/journal/v184/n4690/pdf/184844a0.pdf" target="_blank">Searching for Interstellar Communications</a>.</i></span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> Essi dimostrarono come i radiotelescopi dell'epoca fossero in grado di ricevere dei segnali trasmessi da qualche civiltà aliena situata a distanze tipiche delle stelle più vicine, cioè qualche centinaia di anni-luce. Alcuni mesi più tardi, l'astronomo <a href="http://www.seti.org/drake" target="_blank">Frank Drake</a> puntò il <a href="http://www.gb.nrao.edu/fgdocs/tatel/tatel.html" target="_blank">vecchio radiotelescopio di 26m di Green Bank nella West Virginia</a> verso due stelle vicine per condurre il cosiddetto <a href="http://www.seti.org/seti-institute/project/details/early-seti-project-ozma-arecibo-message" target="_blank">Progetto Ozma</a>, il primo esperimento di ascolto SETI. Morrison, Drake e il giovane <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Carl_Sagan" target="_blank">Carl Sagan</a> ipotizzarono che le civiltà extraterrestri avrebbero fatto il loro meglio per trasmettere potenti segnali radio annunciando così la loro presenza. Dunque, gli umani, come una sorta di "nuovi residenti cosmici" che avevano appena inventato i radiotelescopi, avrebbero cercato e ascoltato questi eventuali segnali radio di origine extraterrestre. Non c'era alcun bisogno di prendersi dei rischi, anche se piccoli, di rivelare la nostra presenza ad alieni potenzialmente ostili. Nel 1974, Drake e Sagan idearono un breve <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Arecibo_message" target="_blank">messaggio, composto da 1679 bit</a>, che fu trasmesso dal <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Radiotelescopio_di_Arecibo" target="_blank">gigantesco radiotelescopio di 305m di Arecibo in Porto Rico</a>. Questo esperimento non fu considerato come un vero e proprio tentativo di trasmissione interstellare e fu inviato appositamente verso un <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Ammasso_Globulare_di_Ercole" target="_blank">ammasso stellare M13</a> distante, situato a 25000 anni-luce nella <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Ercole_(costellazione)" target="_blank">costellazione di Ercole</a>. Esso aveva lo scopo di dimostrare le nuove capacità dello strumento durante una cerimonia che inaugurava l'inizio delle attività dopo il periodo di manutenzione. </span><br />
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<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Negli anni '80 e '90, gli astronomi del SETI iniziarono a formulare un insieme di regole per condurre il loro programma di ricerca. Nel </span><a href="http://www.davidbrin.com/firstsetiprotocol.html" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;" target="_blank">Primo Protocollo SETI</a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> si specificava come il contenuto della risposta ad un segnale alieno, confermato attendibile, sarebbe stato preceduto da una consultazione internazionale. Non diceva nulla, invece, sulle modalità della trasmissione inviata prima della scoperta di un segnale di origine extraterrestre. Un </span><a href="http://www.davidbrin.com/secondsetiprotocol.html" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;" target="_blank">Secondo Protocollo SETI</a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> doveva affrontare quel tema ma con le critiche che emergevano qualcosa andò storto. </span><a href="http://www.davidbrin.com/index.html" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;" target="_blank">David Brin</a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">, uno scienziato spaziale, consulente visionario e scrittore di fantascienza, fu tra coloro che parteciparono alle discussioni sui contenuti del protocollo. Brin accusa il gruppo centralizzato attorno all'Istituto SETI nella Silicon Valley in California, tra cui </span><a href="http://www.seti.org/users/jill-tarter" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;" target="_blank">Jill Tarter</a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> e </span><a href="http://www.seti.org/users/seth-shostak" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;" target="_blank">Seth Shostak</a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">, di creare delle "interferenze" per indurre altri, come il radioastronomo russo Zaitsev, a sviluppare e ad insistere con l'invio di messaggi interstellari. Ma Shostak nega tutto ciò e non vede alcun criterio per regolare tali trasmissioni. Brin, assieme a </span><a href="http://www.michaelagmichaud.com/" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;" target="_blank">Michael A. G. Michaud</a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">, un diplomatico e precedente </span><a href="http://careers.state.gov/work/foreign-service/officer" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;" target="_blank">U.S. Foreign Service Officer</a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">, che fu presidente del comitato che aveva formulato il primo e il secondo protocollo, e </span><a href="http://www.seti.org/john-billingham" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;" target="_blank">John Billingham</a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">, inizialmente a capo del breve programma SETI della NASA, si dimisero dal comitato per protestare contro le modifiche al secondo protocollo. </span><br />
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<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">I fondatori del SETI avevano comunque un sentimento benigno per quanto riguarda le intelligenze extraterrestri. Lo stesso Sagan ipotizzava che le civiltà extraterrestri (ETC) più vecchie della nostra sarebbero diventate, sotto la pressione necessaria, pacifiche e responsabili perché quelle che non l'avrebbero fatto si sarebbero autodistrutte. Gli extraterrestri, essi supposero, sarebbero stati coinvolti nelle trasmissioni interstellari a causa di un loro desiderio di condividere la loro conoscenza e imparare dagli altri. Essi supposero, inoltre, che gli ETC avrebbero stabilito delle trasmissioni potenti in tutte le direzioni in modo da assistere gli altri a trovarli e a far parte di una rete di comunicazione interstellare al livello galattico. In tal senso, la maggior parte dei programmi del SETI sono stati ottimizzati proprio per rivelare queste eventuali, continuative trasmissioni. Nel corso di oltre cinquant'anni, da quando sono iniziate le attività del SETI, le ricerche sono state condotte in maniera sporadica e sono state soggette a costanti problemi di fondi. Finora, è stato a malappena campionato lo spazio su tutte le possibili direzioni e frequenze e sono state prese in considerazione solo alcune </span><a href="http://www.seti.org/seti-institute/weeky-lecture/new-search-strategies-seti" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;" target="_blank">strategie di ricerca</a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">. L'assenza di una ovvia evidenza relativa all'individuazione di una civiltà extraterrestre ha portato qualcuno ad introdurre il cosiddetto “</span><a href="http://astronomicamens.blogspot.it/2012/09/seti-quelloscuro-silenzio.html" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;" target="_blank">Grande Silenzio</a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">”. Secondo Brin, forse qualcosa sta mantenendo la soglia di contatto degli ETC al di sotto della nostra capacità di osservazione. In altre parole, se le civiltà aliene sono silenti, potrebbe darsi che essi sono a conoscenza di qualcosa di pericoloso che noi non sappiamo? Zaitsev crede che tali paure non siano fondate e che anche le altre civiltà aliene potrebbero essere riluttanti a trasmettere dei segnali nello spazio interstellare. Secondo lo scienziato russo, l'umanità potrebbe spezzare questo silenzio trasmettendo dei messaggi verso i suoi vicini cosmici. Egli paragona l'attuale stato dell'umanità a quello di un uomo intrappolato in una cella di una prigione: non si può vivere in una sorta di incubatrice senza aver diritto di inviare un messaggio all'esterno, perché questa vita non è interessante. La conclusione è che quelle civiltà che si nascondono a causa di potenziali paure sono destinate all'estinzione. Egli fa notare come negli anni '60, l'astronomo </span><a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Sebastian_von_Hoerner" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;" target="_blank">Sebastian von Hoerner</a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> ipotizzava che le civiltà aliene che non sono interessate nelle comunicazioni interstellari alla fine subiscono un declino mediante una sorta di “perdita d'interesse”.</span><br />
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<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">I dubbi sollevati dai critici del METI riguardano il problema della trasmissione dei messaggi interstellari e quale potrebbe essere il contenuto di quelle trasmissioni. D'altra parte, Shostak sottolinea come i segnali trasmessi dalla radio, dalla televisione o dai militari sono già presenti nello spazio interstellare. Anche se tali segnali sono molto deboli per essere rivelati su scale interstellari con l'attuale tecnologia che abbiamo a disposizione, Shostak è convinto che con il rapido progresso che porterà alla costruzione di radiotelescopi sempre più sofisticati gli ETC, dotati di una tecnologia ancora più avanzata e avanti di qualche centinaio di anni rispetto alla nostra, potrebbero essere in grado di rivelare i nostri segnali. Secondo Billingham e </span><a href="http://www.icarusinterstellar.org/team/jim-benford/" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;" target="_blank">James Benford</a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> (</span><a href="https://www.youtube.com/watch?v=te2lGSZOhT8" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;" target="_blank">Interstellar Beacons - SETI Talks</a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">) per tener conto di questo gap occorrerebbe un'antenna con una superficie di oltre 20000 chilometri quadrati, più grande della città di Chigaco, il cui costo con l'attuale tecnologia sarebbe dell'ordine di 60 trilioni di dollari. Ma Shostak sostiene che qualche civiltà tecnologicamente avanzata potrebbe possedere delle tecniche più esotiche. Se un telescopio fosse posto a 550 volte la distanza Terra-Sole (150 milioni di Km), esso sarebbe in una posizione tale da utilizzare il </span><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Campo_gravitazionale" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;" target="_blank">campo gravitazionale</a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> del Sole come una gigantesca lente. Ciò gli darebbe un'area effettiva enormemente più grande della città di Chigago senza alcun costo. Secondo Shostak, uno strumento del genere permetterebbe ad una civiltà aliena di ascoltare varie trasmissioni terrestri e nella banda del visibile di avere una sensibilità adeguata per catturare addirittura la luce dei lampioni stradali, una idea intrigante anche secondo Brin. Se poi una civiltà aliena fosse in grado di viaggiare nello spazio, essa sarebbe talmente avanzata da farci potenzialmente del male. Non si può pretendere che il nostro attuale livello di attività rispetto all'uso di eventuali trasmissioni di segnali SETI sia più sicuro. Se il pericolo esiste, siamo già vulnerabili, secondo Shostak. Senza avere chiari mezzi per dire ciò che una civiltà aliena può o non può rivelare, Shostak sostiene che la comunità scientifica del programma SETI non abbia nulla di concreto per contribuire ad una regolamentazione dei messaggi interstellari.</span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ma davvero gli extraterrestri potrebbero farci del male? Nel 1897, <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/H._G._Wells" target="_blank">H.G. Wells</a> pubblicò un romanzo di fantascienza dal titolo “<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/La_guerra_dei_mondi_(romanzo)" target="_blank">La Guerra dei Mondi</a>” in cui la Terra veniva invasa dai marziani che abbandonavano il loro mondo ormai </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">arido</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> e </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">in fin di vita. Al di là di essere scientificamente plausibile per quei tempi, il romanzo di Wells conteneva un messaggio politico. Come oppositore del colonialismo britannico, Wells desiderava che i suoi concittadini immaginassero quale tipo di imperialismo potesse emergere dall'altra parte. Da quel momento, le storie sulle invasioni aliene sono state quasi sempre protagoniste di film di fantascienza. Alcuni considerano il colonialismo europeo come un possibile modello che gli alieni potrebbero utilizzare per sottomettere la razza umana. L'eminente fisico <a href="http://www.hawking.org.uk/" target="_blank">Stephen Hawking</a> ritiene che le civiltà estremamente avanzate potrebbero già conoscere le modalità di un viaggio interstellare. Secondo lo scienziato inglese, se gli alieni visitassero la Terra, le conseguenze sarebbero come quelle di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Cristoforo_Colombo" target="_blank">Cristoforo Colombo</a> che quando scoprì l'America non ebbe un buon riscontro dai nativi americani. Nonostante le paure di Hawking possano considerarsi come “semplici e improbabili speculazioni”, Brin fa notare che i viaggi interstellari di sonde automatizzate sono completamente fattibili e che tali sonde potrebbero arrecare in qualche modo dei danni al nostro pianeta. Ad esempio, una sonda potrebbe deviare un <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Asteroide" target="_blank">asteroide </a>verso la Terra, perciò la lista di scenari improbabili ma fisicamente possibili è abbastanza lunga, secondo Brin. I critici del METI, Brin, Benford e Billingham, ritengono che la mancanza di risultati da parte del SETI implica una sorta di risposta differente al tema del METI. Essi chiedono l'individuazione di nuove strategie di ricerca. Ma i ricercatori del SETI assumono che gli alieni utilizzeranno dei fasci stazionari a trasmissione continua in tutte le direzioni al fine di attirare la nostra attenzione, anche se alcuni studi recenti hanno mostrato che questo metodo non è economicamente conveniente. Invece, una civiltà aliena potrebbe compilare una lista di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Abitabilit%C3%A0_planetaria" target="_blank">pianeti potenzialmente abitabili</a> presenti nel suo vicinato cosmico a cui inviare il proprio messaggio. Questa trasmissione, detta “ping”, potrebbe essere costantemente ripetuta, in sequenza, una volta all'anno oppure ogni dieci anni o ancora ogni mille anni. Ma secondo Benford e Billingham il SETI potrebbe perdersi questo tipo di segnale. L'<a href="http://www.seti.org/ata" target="_blank">Allen Telescope Array (ATA)</a> è stato concepito per esplorare piccole porzioni di cielo, cioè lo spazio sotteso da una stella come il Sole, per cercare eventuali segnali trasmessi in sequenza e in maniera costante. Naturalmente, lo strumento potrebbe perdersi un segnale transiente perché sarebbe improbabile osservare nel posto giusto e al momento giusto. Da questo punto di vista, i messaggi di Evpatoria, che sono stati trasmessi per meno di un giorno, sono degli esempi di segnali transienti. Benford e Billingham propongono la costruzione di un nuovo radiotelescopio per monitorare costantemente il piano galattico, dove le stelle sono più numerose, alla ricerca di segnali transienti. Un tale strumento, essi stimano, costerebbe circa 12 milioni di dollari mentre un programma METI ne costerebbe qualche miliardo di dollari. </span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Insomma, il dibattito METI continua. Lo scorso 13 Febbraio le due fazioni si sono confrontate durante l'<a href="https://aaas.confex.com/aaas/2015/webprogram/start.html" target="_blank">American Association for the Advancement of Science conference a San Jose in California</a> sul tema <i><a href="https://aaas.confex.com/aaas/2015/webprogram/Session9527.html" target="_blank">Active SETI: Is It Time To Start Transmitting to the Cosmos?</a></i> Sec</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ondo Brin, questo è un campo della ricerca dove le opinioni contano e ognuno ha la sua. Durante il meeting, un gruppo di 28 scienziati, studenti e uomini d'affari ha stilato una dichiarazione secondo cui la decisione di trasmettere o meno dovrà basarsi sul consenso internazionale e non sulla decisione o sui desideri di pochi che hanno accesso a potenti strumenti di comunicazione.</span></div>
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<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></div>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">J. Benford, J. Billingham, D. Brin, S. Dumas, M. Michaud, S. Shostak, A. Zaitsev, (2014) <a href="http://www.jbis.org.uk/year.php?y=2014">Messaging to Extraterrestrial Intelligence special section</a>, Journal of the British Interplanetary Society, 67, p. 5-43</span><br />
<div>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;"><br /></span></div>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">D. Brin, <a href="http://www.davidbrin.com/shouldsetitransmit.html">Shouting at the cosmos: How SETI has taken a worrisome turn into dangerous territory.</a><br />F. Cain (2013) <a href="http://www.universetoday.com/104543/how-could-we-find-aliens-the-search-for-extraterrestrial-intelligence-seti/">How could we find aliens? The search for extraterrestrial intelligence (SETI)</a>, Universe Today<br /><br />E. Hand (2015), <a href="http://news.sciencemag.org/space/2015/02/researchers-call-interstellar-messages-alien-civilizations">Researchers call for interstellar messages to alien civilizations</a>, Science Insider, Science Magazine<br /><br />P. Patton (2014) <a href="http://www.universetoday.com/116467/communicating-across-the-cosmos-part-1-shouting-into-the-darkness/">Communicating across the cosmos, Part 1: Shouting into the darkness</a>, <a href="http://www.universetoday.com/116501/communicating-across-the-cosmos-part-2-petabytes-from-the-stars/">Part 2: Petabytes from the Stars</a>, <a href="http://www.universetoday.com/116626/communicating-across-the-cosmos-part-3-bridging-the-vast-gulf/">Part 3: Bridging the Vast Gulf</a>, <a href="http://www.universetoday.com/116634/communicating-across-the-cosmos-4-the-quest-for-a-rosetta-stone/">Part 4: Quest for a Rosetta Stone</a>, Universe Today</span><br />
<div>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;"><br /></span></div>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">C. Ruscica - <a href="http://astronomicamens.blogspot.it/2014/06/seti-entro-ventanni-il-primo-contatto.html">SETI, entro vent'anni il primo contatto</a></span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;"><br /></span>
<br />
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<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">C. Ruscica - <a href="http://milkyway.comune.milano.it/doc/04/06/ruscica24062004.mp3">Ascoltando il cosmo… – SETI, la ricerca di segnali intelligenti</a> (conferenza Planetario Milano)</span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/08305106977611057570noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7973467142325335034.post-73841914097128655742015-02-14T10:16:00.001-08:002015-02-17T03:05:14.701-08:00Singolarità? No, grazie!<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">E' quanto emerge da due articoli che hanno come autore principale <a href="http://www.zewailcity.edu.eg/research-institutes/ibs/cfp/staff/ahmed-farag/" target="_blank">Ahmed Farag Ali, un fisico della Zewail City of Science and Technology</a> e della <a href="http://www.bu.edu.eg/en/" target="_blank">Benha University</a>, entrambi in Egitto. Essi stanno facendo il giro della rete grazie soprattutto alle sorprendenti ipotesi che gli autori introducono sull'argomento della <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Singolarit%C3%A0_gravitazionale" target="_blank">singolarità gravitazionale</a>, sia per ciò che riguarda l'origine dell'Universo (<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Big_Bang" target="_blank">Big Bang</a>), ma anche per quanto concerne gli oggetti astrofisici più enigmatici e misteriosi che esistono in natura (<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Buco_nero" target="_blank">buchi neri</a>).</span><br />
<a name='more'></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b>La (non) singolarità del Big Bang</b></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://www.einstein-online.info/images/spotlights/big_bangsI/bb.gif" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://www.einstein-online.info/images/spotlights/big_bangsI/bb.gif" height="178" width="320" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Andiamo per ordine. Grazie all'elaborazione di un nuovo modello che permette di applicare delle correzioni quantistiche alle equazioni della <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Relativit%C3%A0_generale" target="_blank">relatività generale</a>, gli scienziati affermano, nel loro articolo, che l'Universo sarebbe esistito da sempre. Inoltre, questo modello potrebbe spiegare sia la <a href="https://astronomicamens.wordpress.com/?s=materia+scura" target="_blank">materia scura</a> che l'<a href="https://astronomicamens.wordpress.com/?s=energia+scura" target="_blank">energia scura</a>, risolvendo così diversi problemi cosmologici in una sola volta. Si ritiene che tutto ciò che ha dato origine all'Universo abbia occupato un singolo punto di densità infinita, noto come singolarità iniziale, e solo dopo l'Universo si è espanso “ufficialmente” con il Big Bang. Nonostante la singolarità del Big Bang emerga direttamente e inevitabilmente dalle equazioni matematiche della relatività generale, alcuni scienziati la considerano un grosso problema teorico poiché la matematica descrive solamente ciò che è accaduto <i>immediatamente dopo</i>, e non <i>nella </i>singolarità o <i>prima </i>della singolarità. Il Big Bang rappresenta, di fatto, il problema più serio della relatività generale poiché le leggi della fisica cessano di essere valide. Con la collaborazione di <a href="http://directory.uleth.ca/users/saurya.das" target="_blank">Saurya Das dell'University of Lethbridge in Alberta, Canada</a> e co-autore dello studio assieme ad Ali, gli scienziati descrivono come la singolarità del Big Bang possa essere risolta assumendo che l'Universo non abbia avuto un inizio e nè avrà una fine. I fisici sottolineano che le loro correzioni quantistiche non sono applicate <i>ad-hoc</i> nel tentativo di eliminare in maniera particolare la singolarità del Big Bang. Il loro lavoro si basa su vecchie idee introdotte dal fisico teorico <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/David_Bohm" target="_blank">David Bohm</a>, noto anche per il suo contributo alla filosofia della fisica. A partire dagli anni '50, Bohm esplorò la possibilità di sostituire le <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Geodetica" target="_blank">geodetiche classiche</a> (cioè i percorsi più brevi tra due punti su una superficie curva) con le traiettorie quantistiche. Ali e Das hanno applicato questo concetto bohmiano ad una equazione formulata in quegli anni dal fisico indiano <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Amal_Kumar_Raychaudhuri" target="_blank">Amal Kumar Raychaudhuri</a> della <a href="http://www.presiuniv.ac.in/web/" target="_blank">Presidency University in Kolkata</a>, in India. Utilizzando l'equazione di Raychaudhuri, corretta per gli effetti quantistici, Ali e Das hanno derivato le <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Equazioni_di_Friedmann" target="_blank">equazioni di Friedmann</a> quantistiche che descrivono l'espansione e l'evoluzione dell'Universo, incluso il Big Bang, nel contesto della relatività generale. Sebbene non si possa parlare di una vera e propria <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Gravit%C3%A0_quantistica" target="_blank">teoria quantistica della gravità</a>, il modello contiene elementi sia della relatività generale che della <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Meccanica_quantistica" target="_blank">meccanica quantistica</a>. Infatti, gli autori sono convinti che i loro risultati saranno validi anche quando sarà formulata una teoria più completa della gravità quantistica.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://s.hswstatic.com/gif/big-crunch---open-and-flat-universe.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://s.hswstatic.com/gif/big-crunch---open-and-flat-universe.jpg" height="320" width="320" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Oltre a non predire la singolarità del Big Bang, il modello di Ali e Das non predice la singolarità del <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Big_Crunch" target="_blank">Big Crunch</a>. Nella teoria della relatività generale, uno dei destini possibili dell'Universo è che lo spazio inizia a restringersi finché collassa su sé stesso e diventa nuovamente un punto a densità infinita. Gli autori spiegano che il loro modello elimina le singolarità grazie ad una differenza fondamentale tra le geodetiche classiche e le traiettorie bohmiane. Le geodetiche classiche alla fine si intersecano e i punti a cui esse convergono diventano singolari. Al contrario, le traiettorie bohmiane non si intersecano mai perciò le singolarità non emergono nelle equazioni. In termini cosmologici, le correzioni quantistiche possono essere pensate come equivalenti a due termini: uno rappresenta la <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Costante_cosmologica" target="_blank">costante cosmologica</a>, senza che sia necessario richiedere l'esistenza dell'energia scura, e l'altro rappresenta la radiazione. Questi termini fanno sì che l'Universo abbia una dimensione finita e quindi un'età infinita. I termini permettono anche di fare delle previsioni che concordano molto bene con le attuali misure della costante cosmologica e della densità di materia-energia dell'Universo. In termini fisici, il modello descrive l'Universo come se fosse riempito da una sorta di “fluido quantistico”. Gli scienziati propongono che tale fluido possa essere costituito dai <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Gravitone" target="_blank">gravitoni</a>, ipotetiche particelle senza massa che mediano l'<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Interazione_gravitazionale" target="_blank">interazione gravitazionale</a>. Se essi esistono davvero, i gravitoni devono giocare un ruolo chiave nella teoria della gravità quantistica. In un altro <a href="http://arxiv.org/abs/1411.0753" target="_blank">lavoro</a>, Das e <a href="http://www.physics.mcmaster.ca/people/faculty/Bhaduri_RK_h.html" target="_blank">Rajat Bhaduri della McMaster University, Canada</a>, mostrano come i gravitoni possano formare un <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Condensato_di_Bose-Einstein" target="_blank">condensato di Bose-Einstein</a> a temperature che sono state presenti nell'Universo a tutte le epoche.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Insomma, motivati dalle potenzialità del loro modello che permette di risolvere la singolarità del Big Bang e dei concetti di materia scura e dell'energia scura, i fisici stanno ora pensando di analizzare il modello in maniera più rigorosa tenendo conto anche di quelle piccole disomogeneità e perturbazioni anisotrope, nonostante essi ritengono che la presenza di minuscole perturbazioni non influenzeranno significativamente i loro risultati.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b>La (non) singolarità dei buchi neri</b></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://www.skyandtelescope.com/wp-content/uploads/Black-Hole-Regions-.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://www.skyandtelescope.com/wp-content/uploads/Black-Hole-Regions-.jpg" height="299" width="320" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Una delle proprietà che caratterizza i buchi neri è il loro “punto di non ritorno”, cioè quella superficie ideale nota come <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Orizzonte_degli_eventi" target="_blank">orizzonte degli eventi</a>. Quando un oggetto, sia esso una <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Particella_elementare" target="_blank">particella elementare</a> o una <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Stella" target="_blank">stella</a>, lo attraversa l'intensa attrazione gravitazionale del buco nero fara sì che l'oggetto non potrà più tornare indietro. Almeno, ciò è quanto accade secondo i modelli tradizionali che descrivono questi mostri del cielo in base alle regole della relatività generale. L'esistenza dell'orizzonte degli eventi è responsabile per la maggior parte dei fenomeni più strani che sono correlati con i buchi neri. In un altro articolo che ha ancora Ali come autore principale, gli scienziati dimostrano come secondo una nuova generalizzazione della teoria della gravità di Einstein, denominata “l'arcobaleno della gravità”, non sia possibile definire la posizione dell'orizzonte degli eventi con una precisione arbitraria. Se l'orizzonte degli eventi non può essere definito, allora lo stesso buco nero non può esistere. In altre parole, in questa nuova formulazione della relatività generale, lo spazio non esiste al di sotto di una certa lunghezza minima e, allo stesso modo, il tempo non esiste sotto un certo intervallo minimo. Ciò implica che gli oggetti che esistono nello spazio e in un determinato tempo non esisteranno al di sotto di una certa lunghezza ed intervallo di tempo fissati dalla <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Scala_di_Planck" target="_blank">scala di Planck</a>. Dato che l'orizzonte degli eventi è una superficie ideale che esiste in una regione dello spazio e del tempo, lo stesso orizzonte degli eventi non potrà esistere al di sotto della scala di Planck. Quando si parla di oggetti in generale si intende tutto ciò che ci circonda, inclusi noi stessi. Ciò vuol dire che noi, in quanto esseri umani, non potremo mai esistere al livello della scala di Planck. Certamente, per noi, la nostra casa, la nostra macchina e così via, non ha importanza se non esistiamo in un dato punto dello spazio e del tempo, poichè siamo consapevoli del fatto che la nostra esistenza va al di là di questo limite. Tuttavia, non è così per l'orizzonte degli eventi ed è proprio questo che rappresenta la differenza principale nei calcoli dei ricercatori. L'arcobaleno della gravità emerge dai tentativi di formulare una teoria che combini sia la relatività generale che la meccanica quantistica. Per risolvere completamente tutti i problemi legati ai buchi neri, inclusi quelli che riguardano l'origine dell'Universo, i fisici hanno bisogno di formulare una teoria quantistica della gravità. Nonostante nessuno abbia ancora scoperto una tale teoria, esistono diverse candidate: dalle idee che considerano una natura discreta dello spazio e del tempo al livello più fondamentale all'esistenza di “<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Gravit%C3%A0_quantistica_a_loop" target="_blank">loop</a>” matematici come unità fondamentali dello spazio e del tempo, dall'esistenza di una <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_delle_stringhe" target="_blank">stringa fondamentale</a>, dalle cui vibrazioni emergono tutte le particelle note, a idee ancora più esotiche. Ciò che questi modelli hanno in comune è il fatto che l'energia di una particella non può essere grande a piacere, piuttosto esiste una sorta di limite massimo dell'energia che essa può assumere. Questa limitazione può essere facilmente combinata con la <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Relativit%C3%A0_ristretta" target="_blank">relatività speciale</a> e il risultato che si ottiene è una teoria denominata “relatività doppiamente speciale” (<a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Doubly_special_relativity" target="_blank">DSR, Doubly Special Relativity</a>). È possibile generalizzare la DSR in modo da includere in essa la gravità per arrivare alla teoria dell'arcobaleno della gravità. La relatività generale predice che la <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Spaziotempo" target="_blank">geometria dello spazio e del tempo</a> curvi in presenza di materia e questo causa ciò che percepiamo, appunto, come forza di gravità. Invece, secondo la teoria dell'arcobaleno della gravità, questa curvatura dello spaziotempo dipende anche dall'energia dell'osservatore che la sta misurando. In tal modo, la gravità agisce in maniera differente sulle particelle che hanno energie diverse. Questa differenza è molto piccola per oggetti come la Terra mentre diventa importante nel caso dei buchi neri.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://physics.princeton.edu/~verlinde/hawkingpair.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://physics.princeton.edu/~verlinde/hawkingpair.jpg" height="167" width="320" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il punto fondamentale di questo studio non è semplicemente quello di abolire una delle caratteristiche più importanti dei buchi neri, piuttosto quello di risolvere uno dei paradossi introdotti da </span><a href="http://www.hawking.org.uk/" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;" target="_blank">Stephen Hawking</a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> negli anni '70: stiamo parlando del </span><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Paradosso_dell%27informazione_del_buco_nero" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;" target="_blank">paradosso della perdita d'informazione dei buchi neri</a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">. A quell'epoca, lo scienziato inglese propose che i buchi neri emettessero una certa radiazione man mano che essi ruotano, implicando una perdita di massa ad un ritmo più elevato di quanto non la acquisiscono, e perciò essi sono destinati ad evaporare fino a scomparire definitivamente. In questo scenario, il paradosso è dovuto al fatto che la </span><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Radiazione_di_Hawking" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;" target="_blank">radiazione Hawking</a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> si origina dalla massa degli oggetti che cadono verso il buco nero ma (in teoria) la radiazione non trasporta l'informazione completa di questi oggetti una volta che viene emessa dal buco nero. Ci si aspetta che alla fine questa radiazione determini la completa evaporazione del buco nero. Così emerge una domanda: Dove va a finire l'informazione degli oggetti catturati dal buco nero? Sappiamo che nella vita di tutti i giorni, la distruzione di documenti è una prassi comune per eliminare ogni tipo di informazione in essi contenuta ma secondo la meccanica quantistica essa non può essere completamente distrutta. In linea di principio, lo stato iniziale di un sistema fisico può essere sempre determinato utilizzando l'informazione del suo stato fisico finale. Tuttavia, la radiazione Hawking non permette di determinare lo stato fisico iniziale di un oggetto. Per risolvere la questione, sono state introdotte diverse proposte, tra cui la possibilità che parte dell'informazione possa uscire lentamente nel corso del tempo, che l'informazione sia immagazzinata bene in profondità all'interno del buco nero oppure che la radiazione Hawking contenga in realtà tutta l'informazione. Una delle spiegazioni più promettenti è chiamata “</span><a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Black_hole_complementarity" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;" target="_blank">complementarità del buco nero</a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">”, una soluzione al paradosso dell'informazione proposta da <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Leonard_Susskind">Leonard Susskind</a>, <a href="http://www.raunvis.hi.is/~lth/larusE.html" target="_blank">Larus Thorlacius</a> e <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Gerard_%27t_Hooft">Gerard 't Hooft</a>. Essa</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> si basa sull'idea che un osservatore che cade verso il buco nero e un osservatore che guarda a distanza vedano due cose completamente differenti. In altre parole, l'osservatore che sta precipitando verso il buco nero vede l'informazione (nella forma di se stesso) mentre passa attraverso l'orizzonte degli eventi, ma per un osservatore distante l'osservatore che sta precipitando verso il buco nero non raggiungerà mai l'orizzonte degli eventi a causa di un effetto previsto dalla relatività generale e noto come <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Dilatazione_temporale_gravitazionale" target="_blank">dilatazione gravitazionale del tempo</a>. Dunque, l'osservatore esterno vede l'informazione riflessa dall'orizzonte degli eventi sotto forma di radiazione. Quindi, dato che i due osservatori non possono comunicare, non c'è alcun paradosso, anche se per alcuni questa soluzione può apparire ancora più strana dello stesso paradosso dell'informazione.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://www.sciencenews.org/sites/default/files/images/blackhole_pastabarbecue_2_0.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://www.sciencenews.org/sites/default/files/images/blackhole_pastabarbecue_2_0.png" width="240" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Applicando la soluzione di complementarità, gli autori mostrano che accade qualcosa di molto diverso quando non c'è alcun orizzonte degli eventi al di sotto di una certa lunghezza ed intervallo di tempo, così come viene suggerito dalla teoria dell'arcobaleno della gravità. Anzichè apparire infinito per l'osservatore distante il tempo che impiega l'altro osservatore mentre cade verso il buco nero, nella nuova teoria, questo tempo diventa finito. In altre parole, l'osservatore distante vede alla fine cadere l'osservatore verso il buco nero in un tempo finito. Partendo da questi presupposti introdotti dalla loro teoria, gli autori affermano che i misteri sui buchi neri emergono dal fatto che lo spazio e il tempo sono descritti ad una scala in cui essi non esistono. Se invece ci limitiamo su scale in cui lo spazio e il tempo esistono, allora i paradossi associati ai buchi neri sembrano essere risolti in maniera quasi naturale. Ad esempio, dato che il paradosso dell'informazione dipende dall'esistenza dell'orizzonte degli eventi, e poichè un orizzonte degli eventi come tutti gli oggetti non esiste sotto una certa lunghezza ed intervallo di tempo, allora non c'è alcun paradosso dell'informazione nella teoria dell'arcobaleno della gravità. L'assenza di un effettivo orizzonte degli eventi implica che non esiste nulla che possa bloccare l'informazione dall'emergere dal buco nero.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Oltre ad offrire una soluzione al paradosso dell'informazione dei buchi neri, i fisici spiegano come l'esistenza di una lunghezza minima a cui è associato un determinato intervallo di tempo minimo ci ricordano quanto importante sia lecito porsi delle domande da cui è possibile ottenere le giuste risposte. Gli scienziati spiegano la loro idea con l'analogia di un'asta metallica: ad esempio, ci si può domandare fino a che punto, applicando una forza, si può piegare l'asta senza spezzarla. Di fatto, quando si applica una forza così grande tale da spezzare l'asta, non ha più importanza parlare di quanto si può piegare l'asta. Allo stesso modo, nella teoria dell'arcobaleno della gravità, diventa poco importante parlare di spazio o di tempo al di sotto di un certo limite. La lezione più importante che si impara da questo studio è che lo spazio e il tempo esistono solamente al di sopra di un certo limite. Insomma, non esiste spazio o tempo sotto una certa scala. Dunque, diventa insensato definire particelle, materia o qualsiasi altro oggetto, tra cui i buchi neri, al di sotto di un certo limite di spazio e di tempo. Perciò, finché saremo confinati su scale in cui lo spazio e il tempo esistono, potremo ottenere risposte fisiche sensate. Ad ogni modo, quando tentiamo di rispondere a delle domande su fenomeni fisici che stanno al di sotto di una certa soglia dove non ha più senso parlare dello spazio e del tempo, allora finiamo per imbatterci in paradossi e problemi di varia natura.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">arXiv (Big Bang): <span style="background-color: white; line-height: 28.7999992370605px;"><a href="http://arxiv.org/pdf/1404.3093v3.pdf" target="_blank">Cosmology from quantum potential</a></span></span></div>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">arXiv (Buchi neri): <a href="http://arxiv.org/pdf/1406.1980v2.pdf" target="_blank">Absence of an Effective Horizon for Black Holes in Gravity's Rainbow</a></span><br />
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/08305106977611057570noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7973467142325335034.post-82346539253243608152014-12-27T10:24:00.002-08:002014-12-27T10:27:19.288-08:00Breve storia del modello standard <div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Quella che segue è una panoramica
relativa agli ultimi sviluppi della migliore teoria che ci permette di descrivere
le <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Particella_elementare" target="_blank">particelle elementari</a> e le <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Interazioni_fondamentali" target="_blank">interazioni fondamentali</a>: stiamo parlando del
<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Modello_standard" target="_blank">modello standard</a>. Esso si basa su <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_di_gauge" target="_blank">teorie di gauge</a>, dette anche teorie di scala</span></span><span style="background-color: white; font-family: sans-serif; font-size: 14px; line-height: 22.3999996185303px;">, </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="background-color: white; line-height: 22.3999996185303px;">cioè una classe di </span><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Campo_(fisica)" target="_blank">teorie di campo</a><span style="background-color: white; line-height: 22.3999996185303px;"> basate sull'ipotesi dell'invarianza di alcune </span><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Simmetria_(fisica)" target="_blank">simmetrie</a>, </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;">di cui la prima è stata l’<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Elettrodinamica_quantistica" target="_blank">elettrodinamica quantistica</a>, che descrive le interazioni elettroni-luce. Questa venne più tardi
incorporata nella <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Interazione_elettrodebole" target="_blank">teoria elettrodebole</a>, relativa alle interazioni
<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Interazione_elettromagnetica" target="_blank">elettromagnetica </a>e <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Interazione_debole" target="_blank">nucleare debole</a>. Nel corso del tempo, il modello standard
incluse anche la <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Cromodinamica_quantistica" target="_blank">cromodinamica quantistica</a> che descrive l’<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Interazione_forte" target="_blank">interazione nucleare forte</a>. L’ultimo tassello mancante del modello standard è stato il <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Bosone_di_Higgs" target="_blank">bosone di Higgs</a>, scoperto nel 2012 al CERN. Nonostante ciò, la teoria delle particelle e
delle interazioni è ancora lontana dall’avere l’ultima parola dato che esistono
molti punti oscuri che dovranno essere risolti.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"></span></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div style="text-align: left;">
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Atomi e loro costituenti<o:p></o:p></span></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="http://www.infn.it/multimedia/particle/paitaliano/images/scale.gif" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="http://www.infn.it/multimedia/particle/paitaliano/images/scale.gif" height="221" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">La struttura dell'atomo secondo il modello a quark.<br />
Quark ed elettroni sono le particelle più fondamentali.<br />
Credit: LBNL</td></tr>
</tbody></table>
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Sin dai tempi più antichi, l’uomo
si è sempre chiesto di che cosa siamo fatti. Quali sono gli elementi
fondamentali del mondo che ci circonda? E come interagiscono? La prima teoria
atomica, il fatto cioè che la materia è composta da <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Atomo" target="_blank">atomi</a> "indivisibili", risale
al V secolo a.C. quando venne introdotta inizialmente dal filosofo greco <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Leucippo_%28filosofo%29" target="_blank">Leucippo</a> e
successivamente dall'altro filosofo greco <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Democrito" target="_blank">Democrito</a>. Nel XIX secolo, i chimici, a partire da <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/John_Dalton" target="_blank">JohnDalton</a>, cominciarono a comprendere passo dopo passo la realtà degli atomi, considerati
ancora entità indivisibili. Oggi, però, sappiamo che gli atomi sono tutt’altro che
indivisibili. La maggior parte della massa di un atomo è concentrata nel <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Nucleo_atomico" target="_blank">nucleo</a>
che è circondato da una ‘nube’ di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Elettrone" target="_blank">elettroni</a>. A sua volta, il nucleo è composto
da <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Protone" target="_blank">protoni</a> e <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Neutrone" target="_blank">neutroni</a>, che non sono particelle elementari. In realtà, esse sono
composte da particelle ancora più piccole, chiamate <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Quark_%28particella%29" target="_blank">quark</a>. Finora, almeno per
quanto ne sappiamo, gli elettroni e i quark sono effettivamente particelle
fondamentali. Nel corso dell’ultimo secolo, i fisici hanno costruito un quadro
teorico che va sotto il nome di modello standard che descrive le proprietà
delle particelle elementari e le loro interazioni. La teoria è stata dimostrata
in maniera accurata a seguito di vari esperimenti e sempre con grande successo, anche se
esistono ancora alcune piccole discrepanze.</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="line-height: 17.1200008392334px;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Stranezze</span></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;">Descrivere il modello
standard non è così semplice poiché è abbastanza complesso e non esiste un
linguaggio appropriato. Una cosa che gli scienziati hanno imparato nel corso
del tempo è che le particelle non devono essere considerate delle versioni in
miniatura di oggetti più grandi. Il loro comportamento appare veramente
bizzarro alla luce della nostra esperienza quotidiana. Il primo esempio di
stranezza riguarda il </span><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Dualismo_onda-particella" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;" target="_blank">dualismo onda-particella</a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;">, che nel nostro mondo riguarda due
cose ben distinte. Ma nel mondo degli atomi, esiste un dibattito che dura ormai
da oltre due secoli: la luce è un’onda o è costituita da particelle? </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;">La
risposta è: entrambe le cose. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 107%;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/1f/Young_experiment.gif/180px-Young_experiment.gif" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/1f/Young_experiment.gif/180px-Young_experiment.gif" height="194" width="200" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">L'esperimento di Young<br />
della doppia fenditura.</td></tr>
</tbody></table>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 107%;">Nel 1801, <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Thomas_Young" target="_blank">Thomas Young</a> dimostrò che la luce è in realtà un’onda:
se un fascio luminoso attraversa un <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Esperimento_di_Young" target="_blank">ostacolo con due fenditure</a>, su uno schermo
posto al di là dell’ostacolo si formeranno delle zone di luce e ombra,
alternate e a forma di strisce, in cui le onde si sommano o si cancellano
rispettivamente (come mostrato in figura: </span>due onde cilindriche partono dai quadrati rossi; a causa dell'interferenza, i punti neri sullo schermo non ricevono mai luce, mentre quelli rossi avranno intensità massima)</span>.<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;"> Ma il lavoro di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Albert_Einstein" target="_blank">Albert Einstein</a> sull’<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_fotoelettrico" target="_blank">effetto fotoelettrico</a>, che
gli valse il <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Premio_Nobel_per_la_fisica" target="_blank">Premio Nobel per la Fisica</a> nel 1921, permise di dimostrare che quando la
luce viene assorbita, l’energia può essere solamente estratta sotto forma di
quantità discrete, dette <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Quanto" target="_blank">quanti</a> o più comunemente <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Fotone" target="_blank">fotoni</a>, la cui energia <i>E</i> è correlata alla frequenza <i>f </i>della luce secondo la relazione <i>E = hf </i>dove <i>h</i> è la <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Costante_di_Planck" target="_blank">costante di Planck</a>. Dunque, il fatto che la luce si comporti
come un’onda o una particella dipenderà da ciò che decidiamo di osservare. Lo
stesso è vero per gli elettroni e altre particelle: essi esibiscono una natura
ondulatoria. In generale, le particelle producono frange d’interferenza quando
attraversano due fenditure parallele. Questo è alquanto strano: se sono
particelle allora, uno si immagina, esse devono passare attraverso una delle
due fenditure. Non solo, ma se adoperiamo un dispositivo che ci permette di
osservare da quale fenditura sono passate le particelle, l’immagine dell’interferenza
scompare. Le lunghezze d’onda coinvolte sono molto piccole perciò se vogliamo
una risoluzione molto elevata di quella che può fornire un <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Microscopio_ottico" target="_blank">microscopio ottico</a>,
dobbiamo ricorrere ad una <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Microscopio_elettronico" target="_blank">versione elettronica</a> dello strumento. Ma vedere maggiori dettagli su scale subatomiche richiede degli strumenti ancora più potenti ed è
per questo che vengono utilizzati i grandi <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Acceleratore_di_particelle" target="_blank">acceleratori di particelle</a>. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;"><br /></span></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="http://www.scienzenoetiche.it/forum/nico/images/fisica/particelle.png" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="http://www.scienzenoetiche.it/forum/nico/images/fisica/particelle.png" height="320" width="233" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Esistono due famiglie di particelle:<br />
i bosoni, che mediano l'interazione fondamentale,<br />
e i fermioni che si suddividono in quark e leptoni.</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;">La maggior parte delle particelle note possiedono una rotazione
intrinseca, detta <i><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Spin" target="_blank">spin</a></i>, che
corrisponde al <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Momento_angolare" target="_blank">momento angolare</a> il cui valore è sempre un multiplo intero o semi-intero
della quantità <i>h/2</i></span><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 107%;">π</span></i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;">, indicata con il simbolo </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;">ℏ</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;">. Esistono due
famiglie di particelle: i <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Bosone_%28fisica%29" target="_blank">bosoni</a>, il cui spin è 0, </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;">ℏ, 2ℏ, … e i
<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Fermione" target="_blank">fermioni</a>, che hanno spin (1/2)ℏ, (3/2)ℏ, … Per semplicità, si parla di “spin 0”,
“spin ½”, “spin 1” e così via. I bosoni sono più "sociali" e tendono ad
occupare lo stesso <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Stato_quantico" target="_blank">stato quantico</a>, mentre ai fermioni (tra cui i protoni, neutroni ed
elettroni) è vietato dal cosiddetto <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Principio_di_esclusione_di_Pauli" target="_blank">principio di esclusione di Pauli</a> che sta
alla base della struttura atomica.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></b>
<b><span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Elettrodinamica
quantistica <o:p></o:p></span></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il
modello standard descrive come interagiscono queste curiose entità. Il primo
pezzo della teoria che raggiunse una formulazione avanzata fu l’elettrodinamica
quantistica (Quantum Electro-Dynamics, QED) che tratta le interazioni della
luce, o dei fotoni, con gli elettroni. La QED è una teoria di campo, cioè ogni
particella viene descritta da un campo che si estende nello spazio. I fotoni
sono associati ai campi elettrici e magnetici e c’è anche un campo elettronico.
Le particelle possono essere pensate come piccoli "pacchetti d’onda", ossia treni d’onda
brevi che si propagano in questi campi, anche se l’analogia non è del tutto esatta. La
teoria dell’elettrodinamica quantistica fu inventata negli anni ’30 e diede
ottimi risultati, anche se dovette far fronte ad una serie di problemi. Il metodo di
calcolo utilizzato, chiamato <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_perturbativa" target="_blank">teoria delle perturbazioni</a>, si basa su una serie
di approssimazioni successive. La prima approssimazione dava risultati che erano, di solito, entro qualche percento dal risultato corretto. Il problema stava nel fatto che le
approssimazioni di ordine superiore, intese a dare valori più accurati, portavano invece a valori infiniti. La soluzione al problema emerse subito dopo
la seconda guerra mondiale e fu trovata, indipendentemente, da tre fisici: nel
1947 da <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Richard_Feynman" target="_blank">Richard Feynmann</a> e <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Julian_Schwinger" target="_blank">Julian Schwinger</a> e qualche anno prima, nel 1943, da
<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Shin%27ichir%C5%8D_Tomonaga" target="_blank">Sin-Itiro Tomonaga</a>, che lavorava da solo al tempo della guerra in Giappone. La
soluzione venne chiamata <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Rinormalizzazione" target="_blank">rinormalizzazione</a>, </span></span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">un insieme di tecniche per trattare gli infiniti che emergono nel calcolo delle quantità fisiche, in particolare utilizzata per le </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;">correzioni della massa e della carica
elettrica dell’elettrone. Questa sorta di "gioco di prestigio" con i valori
infiniti pare sia una procedura sospetta, ma funziona: dopo aver effettuato la rinormalizzazione i risultati ottenuti divennero finiti e concordavano con una
accuratezza impressionante con i dati sperimentali. Insomma, verso la fine degli
anni ’50, la QED era diventata rapidamente la teoria più accurata nella storia della fisica.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Le altre forze della
natura<o:p></o:p></span></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ma
c’erano altre forze da tener conto perciò i fisici iniziarono ad elaborare una
serie di modelli che avessero un successo analogo alla QED. Sappiamo che
esistono quattro forze fondamentali. Due di queste, elettromagnetica e <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Interazione_gravitazionale" target="_blank">gravitazionale</a>,
sono a noi familiari perché si tratta di forze a lungo raggio in cui l'intensità diminuisce con l’inverso del quadrato della distanza. Nella QED, la
forza elettromagnetica che agisce tra due elettroni può essere pensata come
dovuta allo scambio di fotoni. È una forza a lungo raggio poiché il fotone non
ha massa, il che vuol dire che non ha <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Massa_a_riposo" target="_blank">massa a riposo</a>. Una particella che
possiede una certa massa a riposo <i>m </i>ha una quantità minima di energia data dalla famosa equazione di Einstein <i>E = mc<sup>2</sup></i>. Ma un fotone non si trova mai a riposo e la
sua energia può essere piccola a piacere. Anche l’interazione gravitazionale è
una forza a lungo raggio e si ipotizza che viene trasmessa da un’altra
particella senza massa, chiamata <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Gravitone" target="_blank">gravitone</a>. Su scale subatomiche, la forza gravitazionale si può considerare quasi trascurabile: l’attrazione
gravitazionale tra due protoni è molto più debole della repulsione
elettrostatica di un fattore dell’ordine di un trilione di trilione di trilione
di volte. I gravitoni sono al momento, e forse per sempre, estremamente irraggiungibili nonostante gli scienziati sperano di essere in grado di
rivelare le <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Onda_gravitazionale" target="_blank">onde gravitazionali</a> entro i prossimi anni.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La ricerca delle
simmetrie <o:p></o:p></span></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Dopo
il successo della QED, uno degli obiettivi principali dei teorici delle
particelle fu quello di studiare le altre due forze della natura che sono,
invece, meno familiari essendo a corto raggio e trascurabili su scale più grandi di quelle di un nucleo atomico. Queste due interazioni sono chiamate forza nucleare
forte e forza nucleare debole. La prima lega protoni e neutroni nei nuclei
atomici, la seconda appare in una forma di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Radioattivit%C3%A0" target="_blank">radioattività</a>, ossia il <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Decadimento_beta" target="_blank">decadimento nucleare beta</a> in cui un neutrone si trasforma in un protone, un elettrone e
nell’elusivo <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Neutrino" target="_blank">neutrino</a>, e gioca un ruolo importante nel meccanismo che genera
energia nel Sole. Prima
della seconda guerra mondiale, erano note una manciata di particelle presumibilmente
elementari ma dopo la guerra, quando gli scienziati tornarono a studiare i
<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Raggi_cosmici" target="_blank">raggi cosmici</a> e le collisioni particellari negli acceleratori, essi
scoprirono una sorta di enorme zoo di particelle, forse un centinaio o più, per cui ci si
chiese subito se si trattava in definitiva di particelle fondamentali. Per dare un senso a
questo grande zoo di particelle, i fisici iniziarono a cercare delle possibili
relazioni, un pò come avevano fatto i chimici qualche secolo prima con la
<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Tavola_periodica_degli_elementi" target="_blank">tavola periodica degli elementi</a>. Ciò permise di rivelare numerose similitudini
e simmetrie approssimate. Prima della guerra, <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Werner_Karl_Heisenberg" target="_blank">Werner Heisenberg</a> aveva suggerito
l’esistenza di una simmetria tra protoni e neutroni. Egli aveva sottolineato la
loro similitudine, dovuta alla stessa interazione forte, allo stesso spin e
quasi alla stessa massa, e suggerì che protoni e neutroni si dovevano considerare come due stati
differenti della singola entità, chiamata <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Nucleone" target="_blank">nucleone</a>. Inoltre, Heisenberg propose
una simmetria, detta <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Isospin" target="_blank">isospin</a>: in altre parole, il
termine non ha a che fare con lo spin reale della particella ma deriva da una
analogia matematica che riguarda la simmetria tra gli stati quantici di un elettrone.
Naturalmente, non si tratta di una simmetria esatta. </span></span><br />
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span>
<br />
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/3a/Meson_octet.png" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/3a/Meson_octet.png" height="228" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">L'ottetto del mesone. Le particelle disposte sulla stessa linea<br />
orizzontale hanno la stessa stranezza (s), mentre quelle<br />
disposte sulla stessa diagonale hanno la stessa carica q.</td></tr>
</tbody></table>
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Infatti, protoni e neutroni
differiscono poiché il protone ha una carica elettrica e il neutrone non ce l’ha:
la simmetria viene a mancare a causa dell’elettromagnetismo. Ma si può considerare
ancora una buona approssimazione, per esempio nel classificare i livelli di
energia dei nuclei atomici leggeri, dato che a distanze brevi l’interazione
forte è molto più intensa di quella elettromagnetica. Nel 1961, si trovò che le numerose particelle elementari, che venivano identificate di volta in volta, potevano essere disposte secondo uno schema bidimensionale che indicava una
simmetria più ampia ma anche più approssimata. Questo tipo di simmetria venne
proposta indipendentemente da <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Murray_Gell-Mann" target="_blank">Murray Gell-Mann</a> e da <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Yuval_Ne%27eman" target="_blank">Yuval Ne’eman</a>, all’epoca
studente di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Abdus_Salam" target="_blank">Abdus Salam</a>. Gell-Mann chiamò questa simmetria “<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Via_dell%27ottetto" target="_blank">la via dell’ottetto</a>” poiché
ricordava la caratteristica struttura geometrica degli ottetti.</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Le teorie di gauge <o:p></o:p></span></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Intanto,
la domanda che si ponevano i teorici era: dove cercare le teorie per descrivere
l'interazioni forte e debole? Qualche scienziato andava affermando di
abbandonare la teoria di campo a favore di una teoria alternativa, chiamata <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Matrice_S" target="_blank">Matrice-S</a>. Ma Salam e altri colleghi erano convinti che la risposta si celasse in una
particolare teoria di campo, detta teoria di gauge. La QED è la più semplice
delle teorie di gauge, il che implica che possiede un particolare tipo di
simmetria la cui manifestazione più semplice consiste nel fatto che ciò che
conta è la differenza di potenziale piuttosto che i valori assoluti del potenziale. La prima teoria di gauge fu proposta nel 1954 da
<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Chen_Ning_Yang" target="_blank">Chen-Ning Yang</a> e <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Robert_Mills_(fisico)" target="_blank">Robert Mills</a> e venne incorporata nella simmetria di isospin di
Heisenberg. La stessa teoria venne in realtà elaborata indipendentemente da
<a href="http://www.hull.ac.uk/php/masrs/reminiscences.html" target="_blank">Ronald Shaw</a>, un altro studente di Salam, sebbene non venne mai pubblicata se
non come tesi di dottorato presso l’Università di Cambridge: il lavoro di Shaw era inteso in termini di proposta di una teoria dell’interazione forte ma alla fine si trovò che non era la
teoria corretta nonostante rappresentò la base di lavori successivi. Ci furono
anche altre proposte per una teoria di gauge dell'interazione debole, la prima
introdotta da Schwinger nel 1956. Intanto, era stato scoperto che così come l’interazione
elettromagnetica viene mediata dai fotoni, anche l’interazione debole poteva
essere mediata da particelle, chiamate </span></span><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;"><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Bosoni_W_e_Z" target="_blank">W+</a></i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;"> e </span><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;"><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Bosoni_W_e_Z" target="_blank">W-</a></i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;"> dove i segni "più" e "meno" indicano la carica elettrica
positiva e negativa rispettivamente. In qualche modo, queste particelle
dovevano essere simili al fotone, in particolare esse hanno tutte spin 1, ma
con una differenza importante. Per spiegare il raggio d’azione estremamente corto
dell’interazione debole, venne assunto che le particelle </span><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;">W </i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;">fossero molto massicce, circa 100 volte più pesanti del protone. Schwinger suggerì che queste particelle potevano essere considerate proprio i "</span><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Bosone_di_gauge" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;" target="_blank">bosonidi gauge</a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;">" della teoria e che in definitiva ci doveva essere un’unificazione
dell’interazione debole ed elettromagnetica in cui le particelle </span><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;">W<sup>+</sup></i><sup style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;"> </sup><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;">, </span><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;">W<sup>-</sup></i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;"> e il fotone apparivano in
maniera simmetrica. Ma anche in questo caso, questa simmetria non poteva essere
esatta e perciò doveva venir meno a causa della differenza delle masse. Gli
scienziati avanzarono così altre proposte. Nel 1961, </span><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Sheldon_Lee_Glashow" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;" target="_blank">Sheldon Glashow</a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;"> propose una
teoria modificata. Per risolvere un altro problema con lo schema di Schwinger,
in merito alla "simmetria a specchio", Glashow aggiunse un quarto bosone di
gauge, denominato </span><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;"><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Bosoni_W_e_Z" target="_blank">Z<span style="font-size: 13px;">0</span></a></i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 107%;">,
elettricamente neutro come il fotone. Salam e il suo collaboratore, John Ward,
proposero essenzialmente la stessa teoria nel 1964, apparentemente
inconsapevoli del lavoro di Glashow.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il problema della
massa<o:p></o:p></span></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ci fu, però, un grosso problema con tutte queste proposte. Si
doveva trovare qualche meccanismo che causava la rottura della simmetria,
lasciando il fotone senza massa e trasferendo agli altri bosoni di gauge una
massa enorme. Il processo di rinormalizzazione non permetteva di ottenere
valori finiti. Da qui, gli scienziati si posero la domanda se e come la rottura
della simmetria poteva avvenire in maniera spontanea. </span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span>
<br />
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/a5/Spontaneous_symmetry_breaking_(explanatory_diagram).png" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/a5/Spontaneous_symmetry_breaking_(explanatory_diagram).png" height="126" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Illustrazione del concetto di rottura della simmetria. <br />
Ad un livello elevato di energia (a sinistra) una palla posta al centro (nel punto più basso di energia) si trova in una situazione di simmetria. A livelli di energia più bassi, il centro diventa instabile e la palla rotola verso un punto più basso e così facendo raggiunge una posizione arbitraria, spezzando così la situazione di simmetria.</td></tr>
</tbody></table>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Rottura_spontanea_di_simmetria" target="_blank">rottura spontanea della simmetria</a> è un fenomeno ben noto e onnipresente. Ciò vuol dire che la
teoria che sta alla base di un fenomeno fisico rimane simmetrica ma la sua particolare realizzazione
non lo è. Essa avviene in una <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Transizione_di_fase" target="_blank">transizione di fase</a>, come nel caso del passaggio
dallo stato liquido a quello solido, in cui ci si sposta da una fase dove la
simmetria è evidente ad una in cui non lo è. Ad esempio, prendendo un
secchiello circolare che contiene dell’acqua, esso appare esattamente uguale in ogni direzione da cui viene osservato: si dice che ha simmetria circolare. Ma
quando l’acqua diventa ghiaccio, i cristalli si allineano lungo una particolare
direzione, spezzando la simmetria. La rottura della simmetria è spontanea nel
senso che non possiamo prevedere in anticipo quale direzione sarà scelta, a
meno che non esistano delle imperfezioni nel secchiello che determinano la
mancanza della simmetria. Ad ogni modo, ciò non risolve il problema perché si riteneva
che in ogni teoria compatibile con la <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Relativit%C3%A0_ristretta" target="_blank">relatività speciale</a> la rottura spontanea
della simmetria dovesse sempre portare all’emergere di un particolare tipo di
bosoni "indesiderati" e senza massa, detti “<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Bosone_di_Goldstone" target="_blank">bosoni Nambu-Goldstone</a>”, indesiderati
perché nessuno ha mai visto queste particelle nonostante dovrebbero essere
state rivelate facilmente. Queste particelle corrispondono alle onde che si
propagano nella direzione lungo la quale si rompe la simmetria. Nel 1961,
<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Steven_Weinberg" target="_blank">Steven Weinberg</a> visitò l’<a href="http://www.imperial.ac.uk/" target="_blank">Imperial College di Londra</a> dove trascorse molto tempo
discutendo con Salam del problema. La loro conclusione infelice, cioè il fatto che
queste particelle sono inevitabili, fu il contenuto del cosiddetto <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Bosone_di_Goldstone#Teorema_di_Goldstone" target="_blank">teorema Goldstone</a>, che venne poi pubblicato insieme al contributo di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Jeffrey_Goldstone" target="_blank">Jeffrey Goldstone</a>. La fuga da questo ostacolo venne trovata indipendentemente da tre
gruppi: il primo gruppo guidato da <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Fran%C3%A7ois_Englert" target="_blank">François Englert</a> e <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Robert_Brout" target="_blank">Robert Brout</a> a Brussels,
il secondo guidato da <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Peter_Higgs" target="_blank">Peter Higgs</a> a Edinburgo e qualche mese dopo un terzo
gruppo guidato da due fisici americani <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Gerald_Guralnik" target="_blank">Gerald Guralnik</a> e <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Carl_Richard_Hagen" target="_blank">Carl Richard Hagen</a> e
da <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Thomas_Kibble" target="_blank">Tom Kibble</a> a Londra. I tre gruppi pubblicarono i loro lavori su <i><a href="http://journals.aps.org/prl/" target="_blank">Physical Review Letters</a></i> tra l’estate e l’autunno del 1964. Gli
scienziati affrontarono il problema da prospettive diverse ma arrivarono alla
stessa conclusione. Non c’è nulla di errato nella prova del teorema di
Goldstone se non per il fatto che esso si basa sulla naturale assunzione che è
falso per le teorie di gauge. Secondo il meccanismo proposto, i bosoni di gauge
“mangiano”, per così dire, i bosoni di Nambu-Goldstone acquisendo di conseguenza massa.
La rottura spontanea della simmetria viene raggiunta attraverso l’azione di un
nuovo <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Campo_scalare" target="_blank">campo scalare</a> le cui particelle corrispondenti sono i bosoni di Higgs.
Per scalare si intende il fatto che i bosoni di Higgs, in maniera unica tra le
particelle elementari note, hanno spin 0. All’epoca, i tre articoli non ebbero
tanto successo. Sebbene da allora è stato derivato il modello unificato di
Glashow e il meccanismo di generazione della massa delle particelle, ci vollero
più di tre anni per mettere insieme le due cose. Intanto, nel 1967 Kibble
scrisse un articolo che aveva lo scopo di esplorare il modo con cui il
meccanismo di generazione della massa poteva essere applicato a modelli più
realistici, lavoro che fece emergere in Salam un nuovo interesse. Finalmente,
verso la fine del 1967 Weinberg propose una teoria unificata dell’interazione
debole ed elettromagnetica che combinava il modello di Glashow con il
meccanismo di generazione della massa. Salam aveva sviluppato essenzialmente la
stessa teoria indipendentemente e la presentò durante una serie di lezioni che
diede nell’autunno dello stesso anno all’Imperial College di Londra, prima di
pubblicarla l’anno successivo: egli la chiamò teoria elettrodebole. Sia Salam
che Weinberg pensavamo che la teoria fosse davvero rinormalizzabile e perciò
autoconsistente e questo fu provato solo nel 1971 a seguito di un duro lavoro che fu
condotto da un giovane studente di nome <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Gerardus_%27t_Hooft" target="_blank">Gerard ’t Hooft</a>. La correttezza del
modello venne confermata durante i successivi vent’anni dagli esperimenti
realizzati al <a href="http://home.web.cern.ch/" target="_blank">CERN</a> e in altri laboratori, inclusa la scoperta delle particelle <i>W<sup>+</sup></i>, <i>W<sup>–</sup></i>, e <i>Z<sup>0 </sup></i>avvenuta nel 1983 ad opera di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Rubbia" target="_blank">Carlo Rubbia</a> e <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Simon_van_der_Meer" target="_blank">Simonvan der Meer</a>.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Quark e gluoni<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Mentre era in corso tutto ciò, si ebbero degli sviluppi
importanti, nonostante fossero molto diversi, nell’ambito degli studi sull’interazione
nucleare forte. La storia ebbe inizio con il tentativo di comprendere la
simmetria dell’ottetto che abbiamo menzionato prima. Nel 1963, Gell-Mann, e
indipendentemente <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/George_Zweig" target="_blank">George Zweig</a>, proposero un’idea in base alla quale la
spiegazione di questa simmetria poteva essere descritta assumendo che le
particelle soggette all’interazione nucleare forte fossero composte da tre
entità fondamentali. Parafrasando le parole dal romanzo <i><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Finnegans_Wake" target="_blank">Finnegan's Wake</a></i>, l'ultimo testo di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/James_Joyce" target="_blank">James Joyce</a>, Gell-Mann definì queste entità con il nome di “quark” distinguendo le loro
proprietà con i termini “<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Quark_up" target="_blank">up</a>” (<i>u</i>), “<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Quark_down" target="_blank">down</a>”
(<i>d</i>) e “<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Quark_strange" target="_blank">strange</a>” (<i>s</i>). Ad esempio, il protone e il neutrone sono composti da tre quark:
il protone emerge da una combinazione di quark (<i>uud</i>) mentre il neutrone dalla combinazione (<i>udd</i>). I quark-strange, che hanno una massa significativamente
maggiore, fanno parte di particelle più esotiche. Vista in questo modo, la
simmetria isospin si ha tra quark-up e quark-down mentre la simmetria dell’ottetto
si ha approssimativamente tra i quark-up, i quark-down e i quark-strange. A
differenza delle altre particelle note, una delle proprietà più strane dei
quark è data dal fatto che essi possiedono una carica elettrica multipla della
frazione della carica elettrica del protone <i>e</i>: cioè <i>(2/3)e</i> per il quark-up e <i>(-1/3)e</i> per i quark-down e
quark-strange. Ad ogni modo, c’era una falla in questo schema che può essere
illustrata dall’esistenza di un <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Barione_delta" target="_blank">barione delta</a>, indicato dal simbolo Δ<sup>++ </sup>e composto da tre quark-up. Dato che essa ha spin pari a 3/2, lo spin
dei tre quark-up (ciascuno pari a 1/2) deve puntare nella stessa direzione. Ciò
vuol dire che essi occupano lo stesso stato, in contraddizione con il principio
di esclusione di Pauli. Una soluzione a questo problema fu introdotta nel 1964
da <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Moo-Young_Han" target="_blank">Moo-Young Han</a> e <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Yoichiro_Nambu" target="_blank">Yoichiro Nambu</a> e indipendentemente da <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Oscar_W._Greenberg" target="_blank">Oscar WallaceGreenberg</a>: gli scienziati proposero che ciascuno dei tre quark possiede tre “colori”
diversi, per convenzione rosso, verde e blu, anche se non hanno niente a che
fare con i veri colori. In generale, tutte le particelle note sono di colore
neutro, cioè contengono un quark di ogni colore, oppure un quark e la sua
<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Antiparticella" target="_blank">antiparticella</a>. In questo modo, i tre quark (<i>uuu</i>)
hanno tre colori differenti e perciò non violano il principio di Pauli. In
altre parole, esiste una simmetria perfetta tra i diversi colori. </span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span>
<br />
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/0/00/Standard_Model_of_Elementary_Particles.svg/800px-Standard_Model_of_Elementary_Particles.svg.png" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/0/00/Standard_Model_of_Elementary_Particles.svg/800px-Standard_Model_of_Elementary_Particles.svg.png" height="240" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Modello standard delle particelle elementari.</td></tr>
</tbody></table>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Oggi sappiamo
che esistono sei tipi di quark e non tre: gli altri tre sono chiamati “<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Quark_charm" target="_blank">charm</a>” (<i>c</i>), “<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Quark_bottom" target="_blank">bottom</a>” o “beauty” (<i>b</i>) e “<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Quark_top" target="_blank">top</a>” o “truth” (<i>t</i>). I sei quark possono essere combinati
in tre coppie (<i>u,d</i>) (<i>c,s</i>) (<i>t,b</i>) ciascuna con la stessa coppia di cariche, cioè <i>(2/3e)</i> e <i>(-1/3e)</i>. Ogni coppia appare sostanzialmente uguale
tranne per il fatto che esse tendono a diventare più massicce: il quark-top è
di fatto più pesante dei bosoni di gauge <i>W</i>
e <i>Z</i>. Anche l’elettrone ha due
compagni simili ma più pesanti, il <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Muone" target="_blank">muone</a> (<i>µ</i>)
e il <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Tauone" target="_blank">tauone</a> (<i>τ</i>), ciascuno dei quali è
accoppiato con un neutrino che ha carica nulla. Quindi, sia per i quark che per
quelli che chiamiamo <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Leptone" target="_blank">leptoni</a> c’è una struttura peculiare di tre generazioni di
particelle. I fisici hanno impiegato del tempo per convincersi che questa
soluzione, apparentemente artificiale, è di fatto corretta. Quella del colore
si dimostrò la chiave essenziale per comprendere l’interazione nucleare forte.
Han e Nambu suggerirono che l’interazione forte sarebbe stata mediata da un
insieme di otto bosoni di gauge, chiamati “<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Gluone" target="_blank">gluoni</a>”, accoppiati in maniera
specifica con i colori. Questa idea sta alla base dell’attuale teoria di gauge
dell’interazione forte chiamata cromodinamica quantistica (Quantum Chromo-Dynamics,
QCD). Mentre le forze a noi familiari, come l’elettromagnetismo, diventano
sempre più deboli all’aumentare della distanza, per contrasto la forza di
colore diventa molto debole man mano che si riduce la distanza, un risultato
che fu provato nel 1973 da <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/David_Gross" target="_blank">David Gross</a>, <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Frank_Wilczek" target="_blank">Frank Wilczek</a> e <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/David_Politzer" target="_blank">David Politzer</a> in ciò
che essi definirono “<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Libert%C3%A0_asintotica" target="_blank">libertà asintotica</a>”, ossia la proprietà per cui l'interazione tra le particelle diviene arbitrariamente sempre più debole per distanze più piccole. Il perché nessuno abbia mai osservato
quark o gluoni liberi viene spiegato dal fenomeno detto “<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Confinamento_dei_quark" target="_blank">confinamento</a>”: cioè la
forza di colore che si esercita tra le particelle che non hanno una carica di
colore neutra aumenta verso distanze maggiori. È un pò come se i quark all’interno
dei protoni o dei neutroni fossero legati in qualche modo da una sorta di
elastico e perciò non possono sfuggire o essere osservati individualmente.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il bosone di Higgs e
oltre</span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La QCD potrebbe sembrare una teoria alquanto strana ma oggi è
ben consolidata. Assieme alla teoria elettrodebole, esse rappresentano i
pilastri fondamentali su cui si basa il modello standard, dove i quark e
leptoni hanno spin ½ mentre i bosoni di gauge hanno spin 1. Nel corso degli
ultimi quarant’anni, il modello standard è stato verificato da numerosi
esperimenti sempre con successo. Ma fino a qualche tempo fa, c’era un problema:
per completare il quadro mancava il bosone di Higgs. Tornando al 1964, l’esistenza
di una particella extra venne considerata un fatto secondario poiché la cosa
più importante era capire quel meccanismo che conferisce la massa ai bosoni di
gauge. Tuttavia, circa venti anni dopo, la cosa assunse un significato speciale
in quanto si trattava dell’ultimo tassello mancante del modello standard. La
caccia al bosone di Higgs, altresì noto come “la particella di Dio”, fu uno
degli obiettivi principali del <a href="http://home.web.cern.ch/topics/large-hadron-collider" target="_blank">Large Hadron Collider (LHC)</a> che vide la sua
apoteosi nel 2012 quando i fisici del CERN annunciarono la scoperta dopo aver
analizzato i dati dei rivelatori <a href="http://www.atlas.ch/" target="_blank">ATLAS</a> e <a href="http://cms.web.cern.ch/" target="_blank">CMS</a>. Dunque, siamo arrivati alla fine
della storia? La risposta è no. Il modello standard può avere difficilmente l’ultima
parola. Nonostante abbia avuto un grande successo, è lontano dall’essere
considerato alquanto semplice. Ha qualcosa come 20 parametri arbitrari, cose
come rapporti di massa e intensità di accoppiamento che non possiamo prevedere
e che non pare abbiamo delle relazioni ovvie e definite. In più, ci sono tutta
una serie di altre caratteristiche che non hanno alcuna spiegazione. Come mai
esistono <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Generazione_%28fisica%29" target="_blank">tre generazioni o famiglie di particelle</a> che hanno proprietà simili ma
masse estremamente diverse? Perché i quark hanno tre colori? Una ipotesi afferma
che tutte queste scelte sarebbero casuali. Ci possono essere stati tanti big-bang in cui ognuno genera un universo a parte caratterizzato da un proprio insieme di
parametri. La maggior parte di questi universi potrebbero essere privi di vita
anche se per molti fisici questa è una risposta non soddisfacente. Dal
punto di vista osservativo, esistono ancora tante cose che non possono essere
spiegate. Ad esempio, qual è la natura della <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Materia_oscura" target="_blank">materia scura</a>? Perché l’Universo
contiene <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Asimmetria_barionica" target="_blank">più materia che antimateria</a>? Poi ci sono alcuni punti sui quali il
modello standard non concorda con le osservazioni. In particolare, nel modello
standard i neutrini non hanno massa anche se sappiamo che essi hanno una massa
molto piccola, comunque diversa da zero. Non abbiamo idea del perché debba essere così. </span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span>
<br />
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/4/49/Particle_overview_it.svg/550px-Particle_overview_it.svg.png" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/4/49/Particle_overview_it.svg/550px-Particle_overview_it.svg.png" height="230" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Schema generale delle particelle, interazioni e materia.</td></tr>
</tbody></table>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Infine, c’è un altro, grande problema: la gravità non appare nel modello
standard. Risulta difficile conciliare la miglior teoria della gravità, la
<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Relativit%C3%A0_generale" target="_blank">relatività generale</a>, con la <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Meccanica_quantistica" target="_blank">teoria dei quanti</a>, un problema dibattuto per quasi
un secolo. Oggi, le speranze sembrano risiedere nella <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_delle_stringhe" target="_blank">teoria delle stringhe</a>, o
nella sua concezione più moderna denominata <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_M" target="_blank">teoria-M</a>, che potrebbe unificare le
due teorie del mondo microscopico e di quello macroscopico una volta per tutte,
anche se per ora non sono state raggiunte conclusioni definitive. </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Insomma, pare
proprio che i teorici avranno tanto lavoro da affrontare negli anni a
venire.</span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/08305106977611057570noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7973467142325335034.post-58710454325378015452014-09-01T00:00:00.000-07:002014-09-10T06:48:32.264-07:00La ricerca di esopianeti potenzialmente abitabili<div style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Da secoli l’umanità si
interroga sulla questione che riguarda l’esistenza di altre civiltà aliene:
siamo gli unici esseri intelligenti che popolano l'Universo? Sin già dai tempi
del Medioevo si riteneva che dovessero esistere altri mondi e, forse, qualcuno
di questi avrebbe ospitato una eventuale forma di vita aliena. Oggi, grazie
allo sviluppo tecnologico e al progresso scientifico, possiamo cominciare a
dare delle risposte a queste domande. La scoperta di numerosi pianeti
extrasolari suggerisce che il nostro sistema planetario non è l’unico. Gli
esopianeti sono un fenomeno comune, almeno nella Via Lattea, anche se la
maggior parte di essi sono corpi celesti giganti, tipicamente delle dimensioni
di Giove, che non possono ospitare la vita come noi la conosciamo. Tuttavia,
esistono sistemi planetari in cui sono stati rivelati oggetti più piccoli, cioè
corpi celesti rocciosi che hanno le dimensioni dei pianeti di tipo terrestre.
Nel corso dei prossimi anni, lo studio ed il perfezionamento di tutta una serie
di tecniche e metodi di indagine ‘alternativi’ ci permetteranno di analizzare
sempre più in dettaglio le atmosfere planetarie per scoprire se sono presenti
tracce di composti chimici, come ad esempio l’anidride carbonica, l’acqua o il
metano, indicatori biologici legati all'esistenza di eventuali forme di vita
elementare. Forse, solo allora potremo affermare di aver trovato una nuova
Terra.</span></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div class="MsoListParagraph" style="margin-left: 18.0pt; mso-add-space: auto; mso-list: l0 level1 lfo2; text-align: justify; text-indent: -18.0pt;">
<b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-bidi-font-size: 11.0pt;"><br /></span></b></div>
<div class="MsoListParagraph" style="margin-left: 18.0pt; mso-add-space: auto; mso-list: l0 level1 lfo2; text-align: justify; text-indent: -18.0pt;">
<b><span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Metodi di osservazione ‘classici’<span style="font-size: small;"><o:p></o:p></span></span></span></b></div>
<div class="section" style="margin-left: 0cm; mso-list: none; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Una delle maggiori difficoltà che
devono affrontare i cacciatori di pianeti è data dal fatto che questi corpi
celesti sono troppo piccoli e distanti per essere osservati direttamente perciò
gli astronomi tentano di individuarli studiando gli effetti gravitazionali che
essi hanno sulla stella ospite. Oggi, la scoperta di sistemi planetari viene
attribuita sostanzialmente ai nuovi spettrometri, che permettono di dissipare
la luce stellare nelle sue componenti, a migliori sensori elettronici, che
registrano la luce stellare raccolta dai sistemi ottici del telescopio e ai
nuovi programmi elettronici, che permettono di distinguere con grande
precisione la luce stellare ed il moto causato dagli effetti gravitazionali dei
corpi celesti vicini non visibili. Ma esistono delle problematiche legate ai
metodi di ricerca che si basano principalmente su tre punti:<o:p></o:p></span></div>
<div class="section" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 36.0pt; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; mso-list: l1 level1 lfo3; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">·
<!--[endif]-->i pianeti non producono luce
propria, tranne quando sono gioviani caldi;<o:p></o:p></span></div>
<div class="section" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 36.0pt; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; mso-list: l1 level1 lfo3; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">·
<!--[endif]-->i pianeti si trovano a grandi
distanze;<o:p></o:p></span></div>
<div class="section" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 36.0pt; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; mso-list: l1 level1 lfo3; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">·
<!--[endif]-->i pianeti sono immersi nella
luce della stella ospite.<o:p></o:p></span></div>
<div style="background: white; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background: white; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ad esempio, se ci fosse un pianeta in orbita attorno
a Proxima Centauri, la stella più vicina alla Terra situata ad appena 4
anni-luce, esso risulterebbe circa 7000 volte più distante di Plutone. E' come
essere seduti a Milano e guardare una farfalla notturna in prossimità di un
faro nella città di Roma. I primi pianeti ad essere identificati attorno a
stelle vicine sono stati rivelati indirettamente grazie agli effetti
gravitazionali che essi causano sulla propria stella. Ciò ha permesso di trovare
pianeti enormi, giganti di tipo Giove o “gioviani caldi”, cioè corpi celesti di
grande massa, caratterizzati da periodi orbitali brevi. Questi risultati
implicano che la ricerca di pianeti simili alla Terra, caratterizzati da masse
più piccole e periodi orbitali più lunghi, richiede una strumentazione più
sensibile e metodi di indagine più adeguati, considerando non meno importante
il fatto che occorrono mesi se non anni di intense osservazioni. </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il metodo della velocità radiale o spostamento
Doppler è quello che avuto maggiore successo. Le misure precise della velocità
o dei cambiamenti della posizione delle stelle permettono di misurare la
variazione del moto della stella dovuta all'influenza gravitazionale del
pianeta. Da questa informazione, gli astronomi possono ricavare alcuni
parametri tra cui la massa e l'orbita del pianeta. Inoltre, queste informazioni
possono essere ottenute analizzando lo spettro della luce, cioè lo spostamento
Doppler delle righe spettrali che si muovono verso la parte rossa e blu dello
spettro a causa del moto della stella. Nel caso in cui il pianeta sia molto
grosso e si trovi vicino alla stella, quest’ultima si muoverà molto velocemente
intorno al comune centro di massa. Un’altra tecnica di ricerca, denominata
astrometria, si basa sui piccoli movimenti della stella dovuti alla presenza di
un pianeta orbitante. Questo metodo permette di rivelare proprio la presenza di
pianeti di piccole dimensioni, che orbitano attorno a sistemi stellari vicini.
Il metodo di osservazione di gran lunga utilizzato, sia dal </span><a href="http://kepler.nasa.gov/" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="color: #0070c0;">satellite Kepler</span></a><span style="color: #0070c0; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ma anche da alcuni telescopi terrestri estremamente
sensibili, è noto come metodo del transito</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">.
Quando un pianeta passa davanti alla stella ospite, la radiazione viene
bloccata dal disco planetario che riduce la luminosità apparente dell’astro. Dal
periodo e dalla profondità della curva di luce, si possono ricavare
informazioni sull'orbita e sulla dimensione del pianeta. Naturalmente, pianeti più
piccoli produrranno un effetto minore e viceversa. Infine, un altro metodo più
sofisticato si basa su una conseguenza prevista dalla relatività generale: la curvatura
dello spazio dovuta alla gravità. Di solito pensiamo che la luce viaggia nello
spazio in linea retta ma se passa in prossimità di un campo gravitazionale,
come ad esempio quello prodotto da una stella, essa può essere deviata dalla
sua traiettoria rettilinea. Perciò, nel momento in cui un pianeta si interpone
lungo la linea di vista tra la Terra e la stella ospite, il campo gravitazionale
dovuto al pianeta fa deviare i raggi luminosi della stella. In questo modo, il
pianeta diventa una sorta di microlente gravitazionale che focalizza i raggi luminosi
della stella, incrementando temporaneamente la sua luminosità e determinando
uno spostamento apparente della sua posizione.</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div style="background: white; text-align: justify;">
<br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"></span></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="http://spiff.rit.edu/richmond/asras/kepler/aas2010-1wbLightCurves.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="http://spiff.rit.edu/richmond/asras/kepler/aas2010-1wbLightCurves.jpg" height="215" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><div style="background: white; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: center;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">Esempi di curve
di luce misurate da Kepler con il metodo del transito nel caso di cinque
esopianeti. Dal
periodo e dalla profondità della curva di luce, si possono ricavare
informazioni sull'orbita e sulla dimensione del pianeta. </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">Credit:
NASA/Kepler</span></div>
<div style="background: white; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: center;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;"><br /></span></div>
<div style="background: white; margin-left: 18.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-align: justify; text-indent: -18.0pt;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;">Verso la
ricerca di una nuova Terra<o:p></o:p></span></b></div>
<div style="background: white; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify;">
</div>
<div style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;">Una delle
domande che si pongono oggi gli astronomi è la seguente: la vita è solo una
questione che riguarda la Terra o la nostra Galassia è popolata di numerosi sistemi
planetari dove è possibile che esistano altre civiltà intelligenti? Alcuni
ricercatori hanno proposto una campagna di osservazioni sfruttando il metodo della
microlente gravitazionale per cercare pianeti di tipo terrestre. Andando ad
analizzare quei sistemi stellari costituiti dalle nane rosse, essi ipotizzando che
ne potranno rivelare almeno 100 miliardi nella Via Lattea [1]. Questo numero
potrebbe addirittura aumentare se si riuscirà a mettere insieme una rete di
telescopi automatici anche di dimensioni modeste e sparse sul globo in modo da
monitorare la deflessione dei raggi luminosi e incrementare così il tasso di
successo nell’identificazione degli esopianeti. Anche un altro gruppo di
ricercatori arriva alle stesse conclusioni dopo aver osservato Kepler-32, un
sistema planetario rappresentativo che fornisce tutta una serie di indizi sulla
formazione planetaria [2]. Qui, la stella ospite è una nana di tipo spettrale
M, una categoria che rappresenta quasi il 75% di tutte le stelle presenti nella
nostra Galassia. I pianeti osservati da Kepler, che sono simili come dimensioni
alla Terra e orbitano vicini alla stella, sono tipici di una classe rappresentativa
in quasi tutti i sistemi stellari composti da una stella nana di tipo spettrale
M. Dunque, ciò implica che la maggior parte dei sistemi planetari ‘compatti’
hanno tutti caratteristiche simili a quelle di Kepler-32 che si può considerare
una sorta di prototipo della classe. Secondo un altro studio, di questi 100
miliardi di pianeti simili alla Terra ce ne sarebbero almeno 100 milioni
potenzialmente abitabili [3]. Questo dato deriva da un nuovo metodo di calcolo
che ha lo scopo di esaminare quei corpi celesti che potrebbero ospitare la vita
a livello microbico.</span><span style="font-size: 11pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;"><br /></span></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td><a href="http://www.hpcf.upr.edu/~abel/phl/HEC_All_Distance.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="http://www.hpcf.upr.edu/~abel/phl/HEC_All_Distance.jpg" height="225" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="font-size: 13px;"><div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt; vertical-align: baseline;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">La figura mostra una rappresentazione artistica di quei pianeti potenzialmente abitabili, aggiornata al 4 Agosto 2014. Come si vede dall’immagine, la maggior parte di essi hanno dimensioni più grandi della Terra e non si è ancora certi sulla loro composizione chimica ed abitabilità. La lista è soggetta a cambiamenti man mano che vengono registrati nuovi dati dalle osservazioni. Per confronto, sono mostrati a destra la Terra, Marte, Giove e Nettuno. Credit: PHL@UPR Arecibo</span><span style="font-size: 11pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;"><br /></span></div>
</td></tr>
</tbody></table>
<div style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
<b style="text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;">La zona
abitabile</span></b></div>
<div style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;">La
possibilità che la vita possa ancora esistere sui quei mondi che si trovano nella
cosiddetta zona abitabile, cioè quella regione dello spazio attorno alla stella
centrale dove ci si aspetta che l’acqua sulla superficie del pianeta esista
allo stato liquido, non costituisce un fatto assodato. Alcuni scienziati hanno
sviluppato un modello per determinare se gli esopianeti già identificati si
trovano, o meno, nella zona abitabile [4]. Il loro lavoro si basa su un modello
precedente ma offre stime più accurate su come può essere determinata la zona
abitabile attorno alle stelle. Il
fatto sorprendente è che i nuovi dati suggeriscono che le zone abitabili si
trovino in regioni dello spazio che sono molto più distanti dalla stella. Ora questo
modello sarà utilizzato per le future osservazioni spaziali che saranno condotte
con i telescopi del programma<span class="apple-converted-space"><span style="color: #2b2b2b;"> </span></span><a href="http://www.terrestrial-planet-finder.com/"><span style="border: 1pt none windowtext; color: #0070c0; padding: 0cm;">Terrestrial Planet Finder</span></a><span class="apple-converted-space"><span style="color: #2b2b2b;"> </span></span>in modo da guidare, per così
dire, gli astronomi verso la ricerca di altri pianeti simili alla Terra.<b> </b>Da una analisi statistica dei sistemi
stellari di massa modesta, come le nane di tipo spettrale M, è emerso che<b> </b>il numero di<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;">pianeti potenzialmente
abitabili<span class="apple-converted-space"> </span></span>sembra essere molto
maggiore di quanto sia stato ipotizzato in precedenza e alcuni di essi
potrebbero essere presenti attorno alle stelle più vicine al Sole [5]. Gli
astronomi si interessano a questo tipo di stelle per diversi motivi. Ad
esempio, il periodo impiegato a descrivere un’orbita attorno alle nane-M è
molto breve e questo permette ai ricercatori di acquisire una grande quantità
di dati monitorando un elevato numero di orbite rispetto al caso delle stelle
di tipo Sole dove la zona di abitabilità è molto più ampia. Inoltre, le nane-M
sono molto più comuni e ciò vuol dire che sono più facilmente osservabili. I
calcoli suggeriscono che la distanza media del pianeta più vicino
potenzialmente abitabile risulta mediamente 7 anni-luce, ossia circa la metà
del valore precedentemente stimato.<span class="apple-converted-space"> Infatti,</span> da una stima molto conservativa si deduce
che esistono almeno otto stelle di tipo M entro 10 anni-luce, perciò ci si
aspetta di trovare almeno tre pianeti di tipo terrestre nella zona abitabile.<span class="apple-converted-space"><i> </i></span>Questi risultati sono il
proseguimento di uno studio condotto nel 1993 da un gruppo di ricercatori di
Harvard che hanno analizzato un campione di 3987 stelle di tipo M al fine di
calcolare quanti pianeti di tipo terrestre ci si aspetta nella zona abitabile.
Ad ogni modo, le nuove stime che si basano sui dati di<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;">Kepler</span>, derivano da un
modello in cui è stata inserita l’informazione sull’assorbimento dell’acqua e
dell’anidride carbonica, un dato che non era disponibile nel 1993. Applicando
questo ed altri parametri al modello del gruppo di Harvard e utilizzando lo
stesso metodo di calcolo, è stato trovato che il numero di pianeti nella zona
abitabile è superiore di almeno un fattore tre. Insomma, pare che i pianeti
terrestri siano molto più comuni di quanto sia stato ipotizzato in precedenza e
ciò rappresenta un segnale positivo soprattutto per ciò che riguarda la ricerca
della vita extraterrestre.</span></div>
<div style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"></td></tr>
</tbody></table>
<br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;"></span></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td><a href="http://news.psu.edu/sites/default/files/styles/photo_gallery_large/public/8426170485.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="http://news.psu.edu/sites/default/files/styles/photo_gallery_large/public/8426170485.jpg" height="247" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption"><div style="font-size: 13px; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; vertical-align: baseline;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">La figura illustra la distanza a cui si trova la zona abitabile rispetto a varie tipologie di stelle. La zona abitabile tende ad allontanarsi dalla stella ospite man mano che aumentano le sue dimensioni. </span></div>
<div style="font-size: 13px; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; vertical-align: baseline;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">Credit: C. Herman/Penn State University</span><span style="font-size: 11pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div style="font-size: 13px;">
<br /></div>
<div style="font-size: 13px;">
<b style="text-align: justify; text-indent: -18pt;"><br /></b></div>
<div style="text-align: left;">
<b style="text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;">Metodi di
ricerca ‘alternativi’</span></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<div style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">La lista di Kepler è costituita attualmente da </span>oltre 4234 candidati e solo 1816
sono stati confermati pianeti. Ciò </span><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;">suggerisce che gli esopianeti sono un fenomeno comune e sono
presenti numerosi nella Via Lattea. Questi risultati permettono agli astronomi
di avere diverse indicazioni su quali metodi e strategie utilizzare per
condurre le osservazioni al fine di aumentare la percentuale di successo.
Vedremo qui di seguito quali sono i metodi di ricerca cosiddetti ‘alternativi’
che i ricercatori stanno sviluppando per esplorare lo spazio verso quei sistemi
stellari di maggiore interesse. </span><span style="font-size: 11pt;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial; font-size: 13px;">
<br /></div>
<div style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial; margin-left: 18pt; text-indent: -18pt;">
<b><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;">a) Stelle giovani e stelle ‘morenti’<o:p></o:p></span></span></b></div>
<div class="Corpodeltesto" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;">Un <span style="background: white;">gruppo di
ricercatori hanno pubblicato un<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">articolo<span class="apple-converted-space"> </span></span>nel
quale forniscono una serie di metodi per dare la caccia ai pianeti di altre
stelle [6]. Esaminando una serie di dati nuovi ed esistenti, sia sulle stelle
normali che sulle nane brune che hanno una età inferiore a 300 milioni di anni,
gli autori hanno individuato 144 sistemi stellari, di cui 20 sono candidati
molto interessanti. La lista dei candidati viene monitorata con una campagna di
osservazioni denominata<span class="apple-converted-space"> </span></span><span lang="EN-US"><a href="http://www.gemini.edu/sciops/instruments/nici/campaign-targets-and-status"><span lang="IT" style="background: white; border: none windowtext 1.0pt; color: #0070c0; mso-ansi-language: IT; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">Gemini’s NICI Planet-Finding
Campaign</span></a></span><span class="apple-converted-space"><span style="background: white; color: #2b2b2b; mso-ansi-language: IT;"> </span></span><span style="background: white; mso-ansi-language: IT;">e dalla<span class="apple-converted-space"> </span></span><span lang="EN-US"><a href="http://origins.mcmaster.ca/oi_planets/assets/img/Session2/3-PALMS_Origins-of-Stars_jun2012_v2.pdf"><span lang="IT" style="background: white; border: none windowtext 1.0pt; color: #0070c0; mso-ansi-language: IT; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">Planets Around Low-Mass
Stars (PALMS) survey</span></a></span><span style="background: white; color: #2b2b2b; mso-ansi-language: IT;">. </span><span style="background: white; mso-ansi-language: IT;">Analizzando gli spettri e i moti delle stelle, gli scienziati sono stati in
grado di derivare l’età di ogni singola stella. Dal momento che stelle di
piccola massa sono piccole e deboli, esse possono essere considerate dei buoni
candidati dove si spera si possano rivelare i pianeti. Non solo, ma le stelle
giovani rendono ancora più semplice l’obiettivo della ricerca in quanto ci si
aspetta che i pianeti siano in formazione e perciò sono ancora caldi e
luminosi. Per ricavare questa lista di candidati, i ricercatori hanno passato
al setaccio, per così dire, i dati di circa 8700 stelle che sono distribuite in
un raggio di 100 anni-luce rispetto al Sole. Dunque, dal momento che le stelle
di piccola massa sono quelle più comuni, ci si aspetta che la maggior parte dei
pianeti si trovino in questi sistemi stellari. L’individuazione delle versioni
più giovani di queste stelle risulta di fondamentale importanza per capire il
censimento galattico dei pianeti extrasolari. Le stelle si comportano come
degli indicatori perciò se esisteranno dei gioviani caldi quasi certamente
saranno individuati. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="Corpodeltesto" style="text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Corpodeltesto" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">Ma anche </span>le stelle che si trovano nella fase finale della
loro evoluzione potrebbero ancora ospitare dei pianeti sui quali la vita, se
esiste, potrebbe essere rivelata con le future missioni spaziali. Queste
considerazioni incoraggianti derivano da una serie di studi sui<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;">pianeti di tipo terrestre</span><span class="apple-converted-space"> </span>che orbitano attorno alle<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;">nane bianche</span>. Alcuni
teorici hanno concluso che si potrebbe rivelare l’ossigeno presente nelle
atmosfere planetarie molto più facilmente rispetto al caso dei pianeti che
orbitano, invece, attorno alle stelle di tipo solare [7]. Quando una stella
come il Sole termina il suo ciclo vitale, spazza nel mezzo interstellare gli
strati più esterni dando luogo ad una nebulosa planetaria e si lascia dietro un
nucleo denso, caldo e collassato, cioè il prodotto finale chiamato nana bianca.
Queste stelle in fin di vita hanno le dimensioni della Terra. La stella si
raffredda lentamente e si indebolisce nel corso tempo anche se può trattenere
ancora a lungo del calore residuo che è ancora in grado di riscaldare un
pianeta che orbiti ad una distanza minima anche per diversi miliardi di anni.
Dato che una nana bianca è molto più piccola e più debole del Sole, un pianeta per
essere considerato potenzialmente abitabile dovrebbe trovarsi molto vicino alla
stella affinchè l’acqua si trovi sulla superficie allo stato liquido. Inoltre,
questo pianeta dovrebbe orbitare attorno alla stella una volta ogni 10 ore e
trovarsi ad una distanza di circa 1,5 milioni di chilometri. Ora, secondo la
teoria dell’evoluzione stellare, prima che la stella diventi una nana bianca,
essa passa attraverso la fase di<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;">gigante rossa</span> inglobando e distruggendo qualsiasi
pianeta che si trovi nel suo raggio d’azione. Di conseguenza, un pianeta
potrebbe migrare nella<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;">zona abitabile</span><span class="apple-converted-space"> </span>dopo
che la stella sia evoluta nella fase di nana bianca. Il pianeta potrebbe
comunque formarsi nuovamente dall’accrescimento di polveri e gas, cioè sarebbe
un pianeta di ‘seconda generazione’, oppure potrebbe spostarsi verso l’interno
dalle regioni esterne più distanti. Insomma, se esistono pianeti nella zona
abitabile delle nane bianche dovremmo prima o poi trovarli. L’abbondanza di
elementi pesanti sulla superficie delle nane bianche implica che una frazione
significativa di queste stelle collassate possiede pianeti rocciosi. Gli
scienziati stimano che una<span class="apple-converted-space"> </span>campagna di osservazioni<span class="apple-converted-space"> </span>delle 500 nane bianche più vicine
potrebbe darci alcuni indizi sulla presenza di una o più terre potenzialmente
abitabili. La miglior strategia per rivelare questi pianeti consiste nel metodo
del<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;">transito,</span> quando
cioè la luce di una stella si indebolisce nel momento in cui un pianeta passa
davanti al disco stellare. Dato che una nana bianca ha circa le dimensioni
della Terra, un pianeta di tipo terrestre dovrebbe bloccare una maggiore
frazione di luce e produrre così un segnale caratteristico della sua presenza.
Ma ancora più importante è il fatto che gli astronomi sono in grado di studiare
le atmosfere dei pianeti che transitano davanti al disco della propria stella.
Infatti, quando la luce della nana bianca brilla attraverso l’anello di luce
che circonda il disco planetario, l’atmosfera assorbe parte della radiazione.
Durante la fase del transito si producono delle ‘impronte digitali chimiche’ da
cui è possibile capire se l’atmosfera contiene vapore acqueo o addirittura
bioindicatori dati dalla presenza di ossigeno. Sulla Terra, sappiamo che
l’atmosfera viene continuamente rifornita di ossigeno attraverso la<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;">fotosintesi</span> dovuta
alle piante. Ma se un giorno tutte le forme di vita cessassero di esistere, la
nostra atmosfera diventerebbe immediatamente priva di ossigeno che successivamente
si dissolverebbe negli oceani e di conseguenza ossiderebbe la superficie
terrestre. Il<span class="apple-converted-space"><span style="color: #2b2b2b;"> </span></span><span lang="EN-US"><a href="http://www.jwst.nasa.gov/"><span lang="IT" style="border: none windowtext 1.0pt; color: #0070c0; mso-ansi-language: IT; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">telescopio spaziale James Webb (JWST)</span></a></span><span style="color: #2b2b2b;">, </span>che sarà lanciato in orbita entro la fine di questo decennio, promette di
essere un buon strumento d’indagine per rivelare la presenza di gas nelle
atmosfere aliene. Gli astronomi hanno simulato uno spettro sintetico sulla base
di ciò che JWST potrebbe vedere analizzando l’atmosfera di un pianeta
extrasolare che orbita attorno ad una nana bianca. I dati suggeriscono che sia
l’ossigeno che il vapore acqueo potrebbero essere rivelati con sole poche ore
di osservazione. Un altro studio, però, ha dimostrato che è molto probabile che
un pianeta abitabile vicino si trovi attorno ad una<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;">nana rossa</span>. Infatti,<span class="apple-converted-space"> </span>poichè la nana rossa, nonostante sia
più piccola e più debole del Sole, è molto più brillante e più grande di una
nana bianca, il suo alone di luce potrebbe sovrastare il debole segnale
dell’atmosfera di un pianeta che orbita attorno ad essa. Il telescopio spaziale
JWST sarebbe perciò costretto ad osservare centinaia di ore di transito e
sperare di catturare la composizione chimica dell’atmosfera planetaria.
Comunque sia, gli scienziati sono convinti che il pianeta più vicino e per il
quale potremo essere in grado, un giorno, di verificare una eventuale presenza
di vita aliena si troverà molto probabilmente attorno ad una nana bianca.</span><o:p></o:p></div>
<div class="Corpodeltesto" style="font-size: 13px; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial; margin-left: 18pt; text-indent: -18pt;">
<b><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;">b) La relatività speciale<o:p></o:p></span></span></b></div>
<div style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;">La ricerca di nuovi mondi rappresenta una
sfida impegnativa perché stiamo parlando di oggetti molto piccoli, deboli,
e vicini alle loro stelle. Abbiamo detto in precedenza che le due tecniche più
promettenti utilizzano il<span class="apple-converted-space"><span style="color: #2b2b2b;"> </span></span><span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">metodo della velocità radiale</span>
o spostamento Doppler, che si basa sull’oscillazione delle stelle, ed il<span class="apple-converted-space"><span style="color: #2b2b2b;"> </span></span><span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">metodo del transito</span>, che sfrutta la variazione di
luminosità della stella ospite dovuta al passaggio dei pianeti davanti al disco
stellare. Alcuni ricercatori<span class="apple-converted-space"><span style="color: #2b2b2b;"> </span></span>hanno scoperto di recente un gioviano
caldo grazie ad un nuovo metodo che si basa sulla<span class="apple-converted-space"><span style="color: #2b2b2b;"> </span></span><span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">relatività speciale</span><span class="apple-converted-space"><span style="color: #2b2b2b;"> [8]</span></span>. Grazie all’elevata qualità dei
dati forniti dal satellite Kepler, sono stati misurati effetti molto piccoli
della luminosità della stella al livello di poche parti per milione. Sebbene
Kepler sia stato progettato per trovare pianeti con il metodo del transito,
Kepler-76b è stato scoperto utilizzando una tecnica che si basa su tre effetti,
molto deboli da misurare, che si verificano contemporaneamente quando un
pianeta orbita attorno alla stella. Il primo di questi è noto con il termine di<span class="apple-converted-space"><span style="color: #2b2b2b;"> </span></span><span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">“<em>beaming</em>” relativistico</span>, un effetto previsto dalla
relatività speciale che causa un aumento di luminosità quando la stella si
muove verso l’osservatore, soggetta alla gravità del pianeta, e viceversa
quando si allontana. Il secondo effetto tiene conto della forma allungata che
la stella assume a causa delle forze di marea dovute al pianeta in
questione. La stella appare più luminosa quando la osserviamo di lato,
poichè offre una maggiore superficie visibile, e più debole quando il pianeta
la attraversa. Il terzo effetto è dovuto alla luce stellare riflessa dal
pianeta stesso. I dati di Kepler suggeriscono che il pianeta transita davanti
alla sua stella, il che fornisce una ulteriore conferma della sua
scoperta. Il cosiddetto “pianeta di Einstein” è un<span class="apple-converted-space"><span style="color: #2b2b2b;"> </span></span>gioviano
caldo e orbita ogni 1,5 giorni
attorno ad una stella di<span class="apple-converted-space"><span style="color: #2b2b2b;"> </span></span><span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;">classe spettrale F</span><span class="apple-converted-space"><span style="color: #2b2b2b;"> </span></span>che
si trova a circa 2000 anni-luce dalla Terra, nella<span class="apple-converted-space"><span style="color: #2b2b2b;"> </span></span><span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;">costellazione del Cigno</span>. La sua dimensione è circa il 25%
maggiore rispetto a quella di Giove e la sua massa è circa il doppio. Inoltre,
il pianeta ha un moto di rivoluzione sincrono, cioè mostra sempre lo stesso
lato alla stella, proprio come nel caso della Luna con la Terra, e la sua
temperatura superficiale raggiunge i 2000 gradi Celsius. Nonostante questo
metodo non sia ancora sufficientemente adeguato per la ricerca di nuove terre,
esso comunque offre agli astronomi un’occasione unica perchè da un lato
non necessita di spettri ad alta precisione e dall’altro non richiede un
allineamento perfetto del pianeta con la stella ospite.</span><b style="font-size: 13px;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial; font-size: 11pt;"><o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="font-size: 13px;">
<br /></div>
<div class="MsoListParagraph" style="margin-left: 18pt; text-indent: -18pt;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;">c) Oceani su mondi alieni<o:p></o:p></span></b></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 18pt; vertical-align: baseline;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;">Rivelare l’acqua sulla superficie di un pianeta sta
diventando una priorità dato che, almeno per quanto ne sappiamo, essa
rappresenta un elemento essenziale per la sua abitabilità. Uno studio ha
esaminato la possibilità che la riflettività della superficie di un mondo
alieno possa essere interpretata come una chiara evidenza della presenza di
oceani [9]. Gli
scienziati stanno sviluppando tutta una serie di metodi per rivelare la
presenza di acqua sulla superficie di un esopianeta, visto ormai il grande
numero di oggetti che orbitano nella cosiddetta zona abitabile dove si ritiene
che l’acqua possa esistere allo stato liquido. Uno di questi metodi si basa
sulla riflessione speculare, nota anche come “luccichio”, simile a quello dovuto
alla riflessione della luce solare sulla superficie di un lago o di un mare,
che può determinare una riflettività apparente nota come albedo. Secondo questo
metodo, non è necessario osservare l’intero disco del pianeta, cioè quando esso
riflette la luce in maniera simile a quella che viene riflessa dal nostro
satellite naturale durante la fase di Luna piena, bensì è possibile osservare
la riflettività della superficie anche durante una fase parziale della sua
orbita, per esempio durante la fase crescente. In questo caso ci si aspetta che
l’albedo aumenti e perciò potrebbe rappresentare un segnale della reale
presenza di acqua liquida sulla superficie del pianeta. Inoltre, un altro
gruppo di ricercatori hanno condotto una serie di studi allo scopo di capire
l’importanza degli oceani come fattore fondamentale per caratterizzare le
condizioni climatiche sui<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;">pianeti simili alla Terra</span> [10]. Finora, la maggior
parte delle simulazioni numeriche che riproducono le <span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">condizioni di abitabilità</span><span class="apple-converted-space"> </span>principalmente sui pianeti terrestri si sono focalizzate sull’analisi
delle<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;">atmosfere planetarie</span>. Ma la presenza degli oceani sulla superficie di un
esopianeta può rappresentare un parametro significativo per permettere
l’esistenza di un clima accettabile. In tal senso, i ricercatori hanno
realizzato una serie di simulazioni che riproducono la circolazione oceanica di
un ipotetico<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;">pianeta</span><span class="apple-converted-space"><span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;"> </span></span>simile alla Terra in modo da
studiare come la<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;">rotazione planetaria</span><span class="apple-converted-space"> </span>influenzi il trasporto di calore in presenza degli oceani. Uno degli
aspetti più importanti è dato dal fatto che il calore trasportato dagli oceani
avrebbe un maggiore impatto sulla distribuzione della temperatura sulla
superficie del pianeta e potrebbe, in linea di principio, permettere
l’esistenza di aree potenzialmente abitabili. Ad esempio,<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;">Marte</span><span class="apple-converted-space"> </span>si trova nella<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;">zona abitabile</span><span class="apple-converted-space"> </span>ma non possiede oceani e ciò
determina escursioni di temperatura di circa 100 gradi centigradi. Insomma,
sappiamo che gli oceani possono rendere più stabile il clima di un pianeta e
perciò tenerne conto nei modelli ci permetterà di ricavare preziosi indizi
sulle condizioni di abitabilità dei mondi alieni.</span><br />
<span style="text-align: left; text-indent: -18pt;"><br /></span>
<span style="text-align: left; text-indent: -18pt;"><br /></span>
<span style="text-align: left; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;"><b>d) Impulsi laser alieni</b></span></span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;"><span style="text-align: left; text-indent: -18pt;">Uno degli argomenti attuali della ricerca condotta dall’</span><a href="http://www.seti.org/page.aspx?pid=1581" style="text-align: left; text-indent: -18pt;">Istituto SETI</a><span style="text-align: left; text-indent: -18pt;"> (Search for Extra Terrestrial Intelligence) r</span><span style="text-align: left; text-indent: -18pt;">iguarda la
possibilità che qualche civiltà intelligente possa inviare nello spazio
segnali laser ad impulsi. Questo tipo di approccio potrebbe sembrare
arcaico, un pò come quando gli uomini del XVIII secolo utilizzavano per
comunicare, si fa per dire, la riflessione della luce solare mediante gli
specchi oppure, successivamente, i telegrafi per comunicare da una nave ad
un’altra. Di fatto, l’idea di utilizzare i segnali luminosi per stabilire un
contatto cosmico non è molto vecchia. Verso la metà del XIX secolo, sia il
matematico e astronomo tedesco <span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">Carl Gauss</span> che
l’inventore francese <span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">Charles Cros</span> suggerirono
l’utilizzo di lanterne e specchi per attirare l’attenzione dei “marziani”.
Oggi, con le tecniche più moderne, diventa affascinante l’idea di far uso di
impulsi laser di estrema intensità da trasmettere nello spazio. In tal senso,
alcuni scienziati del </span><a href="http://www.google.it/url?sa=t&source=web&cd=1&ved=0CB8QFjAA&url=http%3A%2F%2Fwww.llnl.gov%2F&ei=9Z22TenZNZD5sgbtsZneDQ&usg=AFQjCNEEDrwlL5zc-peDis1UuJF75XtwNw" style="text-align: left; text-indent: -18pt;" target="_blank"><span style="border: 1pt none windowtext; color: #0070c0; padding: 0cm;">Lawrence Livermore National
Laboratory</span></a><span style="text-align: left; text-indent: -18pt;"> hanno costruito un
laser capace di inviare impulsi con una potenza pari a 1000 trilioni
di Watt, nonostante gli impulsi siano di breve durata. Lo strumento si
chiama </span><a href="https://www.llnl.gov/str/Remington.html" style="text-align: left; text-indent: -18pt;" target="_blank"><span style="border: 1pt none windowtext; color: #0070c0; padding: 0cm;">Nova</span></a><span style="text-align: left; text-indent: -18pt;"> e non è certo il puntatore laser che utilizziamo
per le nostre presentazioni. Immaginiamo, per un istante, di installare il
laser Nova su uno specchio di 10 metri e di focalizzarne il suo fascio
inviandolo nello spazio verso una stella che si trovi ad una distanza di circa
50 anni-luce. Si può calcolare, facilmente, che ogni impulso rilascerà circa 10
fotoni per metro quadrato che arriveranno sulla superficie degli
eventuali esopianeti. Se confrontiamo questo valore con la luminosità
emessa dal Sole in tutte le direzioni, che è di circa 4x10<sup><span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">26 </span></sup>Watts, si trova che anche la luce solare
raggiunge la superficie di quei pianeti, seppur distanti, con un valore pari a
circa 250 milioni di fotoni per secondo. Quest’ultimo valore sembrerebbe
sminuire la portata del nostro super laser ma certamente non è così se
consideriamo un intervallo di tempo dell’ordine del trilionesimo di secondo
quando arriva l’impulso. In altre parole, quel breve impulso laser fornisce 8
fotoni per metro quadrato contro un valore di 0,00025 fotoni per metro
quadrato dovuti alla luce solare. Questo vuol dire che per un brevissimo
intervallo di tempo, l’impulso laser supera la luminosità del Sole di circa un
fattore 30.000! Dunque, cosa fanno i ricercatori del </span><a href="http://www.seti.org/page.aspx?pid=330" style="text-align: left; text-indent: -18pt;" target="_blank"><span style="border: 1pt none windowtext; color: #0070c0; padding: 0cm;">SETI ottico</span></a><span style="text-align: left; text-indent: -18pt;">? Essi puntano i loro strumenti verso stelle vicine, in termini di
distanza, e contano i fotoni che arrivano durante brevissimi intervalli di
tempo, che sono tipicamente dell’ordine del miliardesimo di secondo. Il flusso
di fotoni che arriva dalla stella, precedentemente selezionata, causerà un
picco, o due, nel conteggio dei fotoni, non più di questo. Se, però, qualche
civiltà aliena ha costruito uno strumento simile al nostro e decide di puntarlo
nello spazio, potrebbe accadere, al contrario, di registrare dei picchi di
intensità nel segnale che stiamo analizzando. Insomma, potremmo avere a che
fare con qualche civiltà intelligente che sta trasmettendo una serie di impulsi
laser proprio come noi ce li immaginiamo. Sarebbe un modo fantastico di
stabilire un contatto cosmico. Oggi, questo tipo di esperimenti sono
attualmente condotti da diversi ricercatori del SETI e da alcune università.
Essi hanno già analizzato alcune centinaia di stelle alla ricerca di impulsi
luminosi alieni e i dati sono in corso di elaborazione. Si spera, così, di
avere un risultato significativo nei prossimi anni che dia credito a questa tecnica
in modo da poterla ottimizzare per i futuri esperimenti.</span></span></div>
<div class="MsoListParagraph" style="margin-left: 18pt; text-indent: -18pt;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;">e) L’illuminazione delle città extraterrestri<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;">Nella
corsa alla ricerca di intelligenze extraterrestri, gli astronomi stanno
cercando di rivelare da un lato segnali radio con il programma SETI e dall’altro
brevissimi impulsi laser artificiali, come abbiamo spiegato nel paragrafo
precedente. C’è, però, chi suggerisce un metodo alternativo per rivelare la
presenza di una eventuale civiltà aliena: l’illuminazione cittadina [11]. Così
come i metodi utilizzati dal SETI si basano sull’assunzione secondo la quale
eventuali civiltà aliene potrebbero utilizzare tecnologie di tipo terrestre,
anche questa ipotesi prevede che esseri intelligenti siano evoluti al punto
tale da aver costruito una rete per l’illuminazione urbana. Naturalmente, per rivelare una tale luce
artificiale occorrerà osservare in dettaglio ogni variazione di luminosità
proveniente dalla superficie del pianeta man mano che esso orbita
attorno alla sua stella ed in particolare quando si trova durante la fase di
ombra. Per fare ciò, saranno necessari telescopi di nuova generazione
anche se questa tecnica potrà essere verificata osservando, ad esempio, come
apparirebbero le luci cittadine del nostro pianeta da un satellite che si trova
nelle regioni più estreme del Sistema Solare. Si calcola che i telescopi
attualmente disponibili sono in grado di rivelare la luce di una metropoli come
Tokyo dalla distanza a cui si trova la cosiddetta fascia di Kuiper, cioè
quella regione dello spazio interplanetario al di là di Plutone dove si trovano
i corpi minori del Sistema Solare. Insomma, si tratta di una tecnica di
individuazione molto difficile ma il principio della Scienza è quello di
trovare un metodo che ci permetta di applicarlo per avere un risultato
scientifico. Forse un giorno saremo in grado di rivelare le luci di una città
aliena che si trova su un altro mondo? Chi lo sa, non ci rimane al momento che
attendere ed osservare attentamente.</span><span style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: 13px;"><o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;"><br /></span>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://www.cfa.harvard.edu/sites/www.cfa.harvard.edu/files/images/pr/2011-30/1/base.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" src="http://www.cfa.harvard.edu/sites/www.cfa.harvard.edu/files/images/pr/2011-30/1/base.jpg" height="400" width="400" /></a></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="font-size: 13px;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="font-size: 13px; margin-bottom: 0.0001pt;">
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody>
<tr><td class="tr-caption" style="font-size: 13px; text-align: center;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;"><span style="text-align: justify;">Se una civiltà aliena costruisse una rete di illuminazione cittadina, quelle luci potrebbero essere osservate dai telescopi di nuova generazione. Ciò potrebbe rappresentare un nuovo metodo per rivelare l’esistenza di civiltà extraterrestri nella nostra galassia. </span><span style="text-align: justify;"><span lang="EN-US">Credit: D.A. Aguilar/Center for Astrophysics - Harvard</span></span></span></td></tr>
</tbody></table>
</div>
<div class="MsoNormal" style="font-size: 13px;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: medium;"><span lang="EN-US">f)</span></b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;"><b> Le atmosfere planetarie</b></span></div>
<div class="Corpodeltesto" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;">Di recente è stato sviluppato
uno strumento d’indagine che non richiede
grossi telescopi o satelliti in orbita. Si tratta di una
tecnica che utilizza un telescopio ad infrarossi di piccole
dimensioni per identificare molecole organiche nell’atmosfera di
un esopianeta gioviano che si trova a circa 63 anni-luce [12]. Questo metodo
permetterà, in futuro, di studiare le atmosfere planetarie che
possiedono molecole legate alla presenza di eventuali forme biologiche accelerando
così la ricerca di pianeti simili alla Terra. Nel 2007, gli astronomi puntarono l’<span lang="EN-US"><a href="http://irtfweb.ifa.hawaii.edu/" target="_blank"><span lang="IT" style="border: none windowtext 1.0pt; color: #0070c0; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">Infrared
Telescope Facility (ITF)</span></a></span>, un telescopio di 3 metri della NASA situato a
Mauna Kea nelle Hawaii, nella direzione della <span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">costellazione della Volpetta</span>
dove si trova il pianeta gioviano HD 189733b. Il suo periodo di
rivoluzione è di 2,2 giorni e la sua stella ospite, molto più piccola del
nostro Sole, fornisce al pianeta una temperatura superficiale di oltre
1500 gradi Celsius. Facendo uso dello <span lang="EN-US"><a href="http://irtfweb.ifa.hawaii.edu/~spex/" target="_blank"><span lang="IT" style="border: none windowtext 1.0pt; color: #0070c0; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">spettrografo
SpeX</span></a></span><span style="color: #2b2b2b; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt;">, </span>i ricercatori hanno ricavato la composizione chimica
dell’atmosfera di HD 189733b trovando tracce di diossido di
carbonio e metano, un risultato straordinario e senza precedenti se
si pensa che è stato ottenuto con un osservatorio situato a Terra e non nello
spazio. Inoltre, durante le osservazioni, i ricercatori hanno trovato una
forte emissione nell’infrarosso associata al metano. Questo dato
potrebbe indicare la presenza di qualche attività forse correlata
alla radiazione ultravioletta proveniente dalla stella che riscalda
gli strati superiori dell’atmosfera del pianeta. Più recentemente, nel 2013, un gruppo di ricercatori dell’ESO hanno
trovato tracce di molecole di acqua nell’atmosfera del pianeta grazie ad una
serie di osservazioni realizzate con il <span lang="EN-US"><a href="http://www.eso.org/public/teles-instr/vlt.html"><span lang="IT" style="border: none windowtext 1.0pt; color: #0070c0; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">Very Large
Telescope (VLT) dell’ESO</span></a></span>, dando così credito ad una tecnica alternativa che
permetterà agli astronomi di cercare l’acqua su altri mondi in maniera
efficiente e senza far uso di telescopi spaziali [13]. Di solito, gli astronomi
individuano la presenza di un pianeta misurando la sua influenza gravitazionale
che esso produce sulla stella causando una attrazione minima che la fa muovere
su un orbita stretta con una velocità di qualche chilometro all’ora. Questo
movimento determina uno spostamento minimo, avanti e indietro, delle righe
dello spettro stellare, un effetto noto come spostamento Doppler, seguendo
l’oscillazione della stella. Ora, i ricercatori hanno invertito la tecnica
misurando l’effetto gravitazionale che la stella produce sul pianeta. In questo
modo, gli effetti sul pianeta diventano molto più grandi e il suo moto orbitale
che ne risulta è di 400.000 Km/h. Le misure sono state ottenute analizzando lo
spostamento Doppler delle righe dell’acqua osservate nello spettro del pianeta
man mano che orbita attorno alla stella. Nonostante la velocità sia più elevata
rispetto a quella della stella, essa risulta quasi un migliaio di volte più
debole e ciò complica le misure. Ad ogni modo, gli astronomi sono stati in
grado di realizzare le misure della riga dell’acqua grazie allo strumento <span lang="EN-US"><a href="https://www.eso.org/sci/facilities/paranal/instruments/crires/"><span lang="IT" style="color: #0070c0; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt;">CRIRES
(<span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">CRyogenic high-resolution InfraRed Echelle Spectrograph)</span></span></a></span><span style="border: none windowtext 1.0pt; color: #2b2b2b; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;"> </span><span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">installato sul VLT.
Utilizzando sempre la stessa tecnica, gli scienziati hanno poi individuato
nell’atmosfera del pianeta altre molecole, come ad esempio quella più semplice
del monossido di carbonio, anche se si tratta della prima volta per cui è stata
identificata la molecola più complessa dell’acqua. La rivelazione di queste molecole
apre una nuova finestra verso lo studio della composizione chimica delle
atmosfere planetarie, incluse quelle del metano e del biossido di carbonio, che
sono gli ingredienti chiave da cui possiamo ricavare preziosi indizi sulla
storia evolutiva del pianeta.</span> L<span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-weight: bold; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">’esistenza di eventuali bioindicatori potrà essere dedotta dalla presenza
di gas che<span class="apple-converted-space"> </span>si
sono accumulati nel corso del tempo<span class="apple-converted-space"> </span>nell’atmosfera
planetaria e che potranno essere<span class="apple-converted-space"> </span>rivelati con
l’utilizzo di telescopi sempre più sofisticati [14]. </span><span style="background: white; mso-ansi-language: IT;">Un altro metodo ‘alternativo’ che
aiuterà gli astronomi a rivelare segni di eventuali forme di vita biologica
consiste nell’identificare la molecola organica più semplice, cioè il<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">metano</span>, un <span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">idrocarburo</span> detto anche impropriamente <span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">gas di città<span class="MsoHyperlink"> </span></span></span>[15]<span style="background: white;">. Questa
tecnica permetterà di capire, per la prima volta, se esistono molecole ad
alta temperatura, ben al di sopra di quelle terrestri, fino a 1220°C. Gli
astronomi saranno così in grado di analizzare lo<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">spettro</span><span class="apple-converted-space"> </span>delle<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">atmosfere planetarie</span><span class="apple-converted-space"> </span>per vedere come esse assorbono la luce
stellare a varie frequenze. Quindi, il passo successivo sarà quello di
confrontare i dati ottenuti con il modello per identificare le varie molecole. </span><span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-bidi-font-weight: bold; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">La convinzione che un tale metodo
d’indagine possa funzionare proviene dalla lezione che abbiamo imparato nel
corso degli ultimi dieci anni relativamente allo studio e all’analisi delle
atmosfere, anche se esistono delle limitazioni che non ci permettono
ancora di identificare composti molecolari o la presenza di nubi perchè non
disponiamo ancora di un potere esplorativo tale da distinguere la presenza
dei gas nell’atmosfera senza effettuare osservazioni dirette della superficie.
Ad ogni modo, </span>questa tecnica apre nuove prospettive soprattutto per la ricerca di
molecole organiche simili a quelle che hanno preceduto l’evoluzione della vita
sulla Terra. Lavorando in sinergia con i telescopi spaziali, quali<span style="color: #2b2b2b;"> </span><span lang="EN-US"><a href="http://hubblesite.org/" target="_blank"><span lang="IT" style="border: none windowtext 1.0pt; color: #0070c0; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">Hubble</span></a></span><span style="color: #2b2b2b; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt;"> </span>e<span style="color: #2b2b2b;"> </span><span lang="EN-US"><a href="http://www.spitzer.caltech.edu/" target="_blank"><span lang="IT" style="border: none windowtext 1.0pt; color: #0070c0; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">Spitzer</span></a></span><span style="color: #2b2b2b; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt;">,</span> e quelli di nuova
generazione, come il <span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">James Webb Space Telescope</span> o l<span style="color: #2b2b2b;">’</span><span lang="EN-US"><a href="http://www.eso.org/public/teles-instr/e-elt.html"><span lang="IT" style="border: none windowtext 1.0pt; color: #0070c0; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">European
Extremely Large Telescope (E-ELT)</span></a></span><span style="color: #2b2b2b; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt;">, </span>questo metodo diventerà di fondamentale importanza
per rivelare bioindicatori, come ad esempio l’ossigeno, in quelle atmosfere planetarie
che caratterizzano quei corpi celesti simili alla Terra.<o:p></o:p></span></div>
<div class="Corpodeltesto" style="text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Corpodeltesto" style="font-size: 13px; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://d1jqu7g1y74ds1.cloudfront.net/wp-content/uploads/2010/02/exoplan.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://d1jqu7g1y74ds1.cloudfront.net/wp-content/uploads/2010/02/exoplan.jpg" height="290" width="400" /></a></div>
<div class="Corpodeltesto" style="font-size: 13px; text-align: center; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Corpodeltesto" style="text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: center;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">La figura illustra le fasi principali che hanno permesso
agli astronomi di ottenere lo spettro del pianeta gioviano HD 189733b.
La composizione chimica dell’atmosfera presenta tracce di diossido di
carbonio (CO<sub>2</sub>), metano (CH<sub>4</sub>) e acqua (H<sub>2</sub>O).
Credit: ITF/Hubble/Spitzer<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div class="MsoNormal">
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="font-size: 13px;">
<br /></div>
<div class="MsoListParagraph" style="margin-left: 18pt; text-indent: -18pt;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;">g) L’inquinamento atmosferico delle città aliene<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;">Mai
come oggi, l’umanità si trova “vicina” alla soglia della rivelazione di
segni di vita extraterrestre su altri mondi. Abbiamo detto in precedenza che lo
studio delle<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">atmosfere planetarie</span><span class="apple-converted-space"> </span>può
rappresentare un ottimo strumento d’indagine per identificare alcuni gas come
l’<span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">ossigeno</span><span class="apple-converted-space"> </span>ed
il<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">metano</span><span class="apple-converted-space"> </span>che possono esistere solamente se
vengono riforniti da forme di vita semplici, come ad esempio i<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">microrganismi</span>. E le
civiltà avanzate? Potrebbero produrre dei segni identificativi della loro
presenza? Forse sì, se viene immesso nell’<span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">atmosfera materiale inquinante</span>.
In tal senso, uno studio recente condotto da alcuni teorici dimostra come sotto
certe condizioni potremmo essere in grado di rivelare segni di inquinamento
atmosferico, offrendo così un nuovo approccio verso la ricerca di forme di
vita di tipo intelligente [16]. Il<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">telescopio spaziale James Webb (JWST)</span><span class="apple-converted-space"> </span>potrebbe essere in grado di rivelare
due tipi di <span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">clorofluorocarburi (CFC)</span>, cioè quei composti chimici capaci
di distruggere l’<span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">ozono</span><span class="apple-converted-space"> </span>che
sono utilizzati in alcuni solventi ed<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">aerosol</span>. Secondo alcune ipotesi, una civiltà aliena
intelligente potrebbe inquinare intenzionalmente la propria atmosfera fino a
livelli almeno 10 volte superiori rispetto a quelli presenti sulla Terra
causando così un <span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">riscaldamento globale</span><span class="apple-converted-space"> </span>che determinerebbe un aumento della
temperatura del pianeta che altrimenti sarebbe troppo bassa per permettere
l’esistenza di eventuali forme di vita. Tuttavia, rivelare la presenza di
inquinanti su<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">pianeti di tipo terrestre</span><span class="apple-converted-space"> </span>che
orbitano attorno a stelle nane richiede l’utilizzo di strumenti che vanno ben
al di là di JWST. Dunque, se da un lato la ricerca di CFC potrebbe fornirci
preziosi indizi sull’esistenza di civiltà intelligenti, dall’altro essa ci
permetterebbe di rivelare i resti di una civiltà avanzata che si è
autodistrutta. Alcuni inquinanti persistono nell’atmosfera terrestre su tempi
scala dell’ordine di 50 mila anni, mentre altri durano solo 10 anni. Perciò,
rivelare molecole che appartengono alla categoria del ciclo più lungo e non
trovarne quelle della categoria del ciclo più breve potrebbe implicare il fatto
che le loro sorgenti si sono ormai estinte. In tal caso, si potrebbe
ipotizzare che gli alieni si son fatti “furbi” e hanno ripulito, per così dire,
il loro ambiente vitale. Oppure, in uno scenario ancora più oscuro, ciò
potrebbe servire come una sorta di monito dei pericoli a cui potrà
incorrere nel futuro l’umanità se non diverremo noi stessi “buoni
amministratori” del nostro pianeta.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;">h) Laser
robotici<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="Subsection" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;">Un gruppo di astronomi stanno sperimentando il primo laser
robotico ad<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">ottica adattiva</span><span class="apple-converted-space"> </span><span style="color: #2b2b2b;">(</span><span lang="EN-US"><a href="http://www.ifa.hawaii.edu/Robo-AO/"><span lang="IT" style="border: 1pt none windowtext; color: #0070c0; padding: 0cm;">Robo-AO</span></a></span><span style="color: #2b2b2b;">) </span>e con un potere esplorativo confrontabile con quello del<span class="apple-converted-space"><span style="color: #2b2b2b;"> </span></span><span lang="EN-US"><a href="http://www.spacetelescope.org/"><span lang="IT" style="border: 1pt none windowtext; color: #0070c0; padding: 0cm;">telescopio spaziale Hubble</span></a></span><span style="color: #2b2b2b;"> </span>per
studiare migliaia di sistemi stellari alla ricerca di nuovi<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">esopianeti</span><span class="apple-converted-space"> </span>[17]. <span style="background: white;">La tecnica
dell’ottica adattiva viene utilizzata dai telescopi terrestri per rimuovere gli
effetti di sfocatura delle immagini a causa della turbolenza atmosferica. Il
successo del laser robotico sta nella sua efficienza perchè permette di
osservare centinaia di oggetti candidati in una singola notte rispetto ai
sistemi convenzionali. Finora, il sistema Robo-AO è stato utilizzato per
realizzare oltre tredicimila osservazioni da cui sono emersi risultati
sorprendenti. Gli astronomi hanno identificato particolari esopianeti giganti,
appartenenti alla categoria dei <span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">gioviani caldi</span>, che si
muovono su orbite strette e sono presenti in <span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">sistemi stellari binari</span><span class="apple-converted-space"> </span>con un numero quasi tre volte
superiore rispetto agli altri pianeti. Questi sistemi planetari unici sono
interessanti per capire come hanno origine i pianeti ma anche per ricavare
preziosi indizi sull’esistenza di eventuali forme di vita aliena. Oggi, le <span class="apple-converted-space">osservazioni condotte co</span>l sistema Robo-AO,
che copre una lista di 715 candidati identificati dal<span class="apple-converted-space"> </span><span style="border: none windowtext 1.0pt; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">satellite Kepler</span>,
rappresentano la campagna scientifica più grande mai realizzata con il sistema
dell’ottica adattiva. Ora, il passo successivo sarà quello di estendere le
osservazioni a 4000 oggetti che sono nella lista dei candidati di Kepler e
anche a quelli che di volta in volta saranno identificati dalla<span style="color: #2b2b2b;"> </span>prossima</span><span lang="EN-US"><a href="http://keplerscience.arc.nasa.gov/K2/"><span class="apple-converted-space"><span style="background: white; border: 1pt none windowtext; color: #0070c0; padding: 0cm;"> </span></span><span lang="IT" style="background: white; border: 1pt none windowtext; color: #0070c0; padding: 0cm;">missione
K2</span></a></span><span class="apple-converted-space"><span style="background: white; color: #2b2b2b;"> </span></span></span><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;">di Kepler.</span></span><br />
<span style="font-size: 11pt;"><br /></span>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;"><b>Conclusioni</b></span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;">Nonostante
la ricerca di nuove terre abitabili rappresenti oggi una priorità, tuttavia c’è
chi è convinto che eventuali forme di vita aliena potrebbero svilupparsi o
essere presenti su un’altra categoria di pianeti, molto diversi da quelli
terrestri [18]. Questi mondi alieni detti “super abitabili”, completamente
ricchi di acqua, “termostati” ideali per climatizzare la temperatura del
pianeta e dotati di uno scudo magnetico adeguato per impedire le radiazioni
cosmiche, avrebbero una massa due o tre volte superiore rispetto a quella della
Terra e potrebbero essere decisamente più vecchi in termini di età. Dovremmo
forse cambiare la nostra prospettiva di ricerca non focalizzandoci solamente
verso l’esplorazione di pianeti terrestri? Infatti, un’altro studio mostra come
sia altrettanto possibile che anche le esolune possano ospitare ambienti
potenzialmente abitabili. Sebbene non siano state ancora identificate, gli
scienziati sono convinti che ce ne devono essere tante, addirittura molto di
più rispetto agli esopianeti [19]. Oggi, mai come prima, abbiamo l’abilità
tecnica ed intellettuale di scoprire e classificare nuovi mondi alieni
definendo, in qualche modo, lo stesso significato di abitabilità.<b> </b>Nonostante ciò, il sogno di osservare pianeti simili
alla Terra comincia a realizzarsi e l'idea che il nostro Sistema Solare non sia
unico si è spostata dalla speculazione filosofica di un tempo alla realtà
quotidiana. Queste scoperte hanno il potenziale di spostare il pensiero umano
sullo stesso piano di ciò che la rivoluzione copernicana produsse nel XVI
secolo. <span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;">Insomma, siamo solo all’inizio di una
grande avventura e le speranze sono tante perciò non ci rimane altro che
perseguire il nostro obiettivo che, un giorno, potrà finalmente dare la
risposta alla domanda di sempre: siamo soli?</span></span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;"><span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;"><br /></span></span>
<b style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small; text-indent: 0cm;"><br /></b>
<b style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small; text-indent: 0cm;">Referenze</b><br />
<br />
<span style="font-size: x-small;">[1] <a href="http://arxiv.org/pdf/1303.4123" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 110%; text-align: left; text-indent: -22.7pt;" target="_blank">Extending the Planetary Mass Function to Earth Mass by
Microlensing at Moderately High Magnification</a><br /><br />[2] <a href="http://arxiv.org/pdf/1301.0023" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 110%; text-align: left; text-indent: -22.7pt;" target="_blank">Characterizing the Cool KOIs IV: Kepler-32 as a prototype for the
formation of compact planetary systems throughout the Galaxy</a><br /><br />[3] <a href="http://www.mdpi.com/2078-1547/5/1/159" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 110%; text-align: left; text-indent: -22.7pt;" target="_blank">Assessing the Possibility of Biological Complexity on Other
Worlds, with an Estimate of the Occurrence of Complex Life in the Milky Way
Galaxy</a><br /><br />[4] <a href="http://arxiv.org/pdf/1301.6674v1" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 110%; text-align: left; text-indent: -22.7pt;" target="_blank">Habitable Zones Around Main-Sequence Stars: New Estimates</a><br /><br />[5] <a href="http://news.psu.edu/story/268138/2013/03/12/research/earth-sized-planets-habitable-zones-are-more-common-previously" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 110%; text-align: left; text-indent: -22.7pt;" target="_blank">Earth-sized planets in habitable zones are
more common than previously thought</a><br /><br />[6] <a href="http://arxiv.org/pdf/1207.5074" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 110%; text-align: left; text-indent: -22.7pt;">Identifying the young low-mass stars within 25 pc. II.
Distances, kinematics and group membership</a><br /><br />[7] <a href="http://arxiv.org/pdf/1301.4994" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 110%; text-align: left; text-indent: -22.7pt;" target="_blank">Detecting bio-markers in habitable-zone earths transiting white
dwarfs</a><br /><br />[8] <a href="http://arxiv.org/pdf/1304.6841v3.pdf" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 110%; text-align: left; text-indent: -22.7pt;" target="_blank">BEER analysis of Kepler and CoRoT light curves: I. Discovery of
Kepler-76b: A hot Jupiter with evidence for superrotation</a><br /><br />[9] <a href="http://arxiv.org/pdf/1205.1058v1.pdf" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 110%; text-align: left; text-indent: -22.7pt;">A false
positive for ocean glint on exoplanets: The latitude-albedo effect</a><br /><br />[10] <a href="http://online.liebertpub.com/doi/abs/10.1089/ast.2014.1171" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 110%; text-align: left; text-indent: -22.7pt;" target="_blank">The Importance of Planetary
Rotation Period for Ocean Heat Transport</a><br /><br />[11] <a href="http://arxiv.org/abs/1110.6181" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 110%; text-align: left; text-indent: -22.7pt;">Detection Technique for Artificially-Illuminated
Objects in the Outer Solar System and Beyond</a><br /><br />[12] <a href="http://arxiv.org/pdf/0802.1030" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 18pt; text-align: left; text-indent: -22.7pt;" target="_blank">Methane present in an extrasolar planet atmosphere</a><br />[13] <a href="http://arxiv.org/pdf/1307.1133v1" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 18pt; text-align: left; text-indent: -22.7pt;" target="_blank">Detection
of water absorption in the dayside atmosphere of HD 189733 b using ground-based
high-resolution spectroscopy at 3.2 microns</a></span><br />
<br />
<div style="text-align: justify; text-indent: 0px;">
<span style="font-size: x-small; text-align: left; text-indent: -22.7pt;"><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif;">[14]</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> </span><a href="http://www.pnas.org/content/early/2014/08/01/1304213111.full.pdf+html" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; text-align: left; text-indent: -22.7pt;" target="_blank">The future of spectroscopic
life detection on exoplanets</a></span></div>
<span style="font-size: x-small;"><br />[15] <a href="http://arxiv.org/pdf/1406.4194" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 110%; text-align: left; text-indent: -22.7pt;" target="_blank">The spectrum
of hot methane in astronomical objects using a comprehensive computed line list</a><br /><br />[16] <a href="http://arxiv.org/pdf/1406.3025" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 110%; text-align: left; text-indent: -22.7pt;" target="_blank">Detecting industrial pollution
in the atmospheres of earth-like exoplanets</a><br /><br />[17] <a href="http://arxiv.org/pdf/1407.8179" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 18pt; text-align: left; text-indent: -22.7pt;" target="_blank">High-efficiency Autonomous Laser Adaptive Optics</a><br />[18] <a href="http://arxiv.org/ftp/arxiv/papers/1401/1401.2392.pdf" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 18pt; text-align: left; text-indent: -22.7pt;" target="_blank">Superhabitable World</a><br />[19] <a href="http://arxiv.org/pdf/1404.4493v1" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 18pt; text-align: left; text-indent: -22.7pt;" target="_blank">The Effect of
Planetary Illumination on Climate Modelling of Earthlike Exomoons</a></span></div>
</div>
</td></tr>
</tbody></table>
<div style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
</div>
<div style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;"><br /></span></div>
</td></tr>
</tbody></table>
<div style="background: white; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/08305106977611057570noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7973467142325335034.post-57627705696594474642014-08-20T09:27:00.003-07:002014-12-30T05:48:52.023-08:00Una nuova teoria sulla simmetria di scala<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Sebbene le galassie siano molto
più grandi degli atomi, un pò come gli elefanti rispetto alle formiche, alcuni
fisici iniziano a pensare che le differenze tra le dimensioni potrebbero essere una
mera illusione. Forse, la descrizione fondamentale dell’Universo non include i
concetti di “<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Massa_(fisica)" target="_blank">massa</a>” e “<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Lunghezza" target="_blank">lunghezza</a>”, implicando il fatto che nella sua vera
essenza la Natura potrebbe non avere un senso intrinseco del concetto di scala delle misure.</span></div>
<a name='more'></a><br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="http://physicsgg.files.wordpress.com/2014/08/quanta-illo-gilmore3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="http://physicsgg.files.wordpress.com/2014/08/quanta-illo-gilmore3.jpg" height="250" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Secondo una nuova teoria, le scale di massa e lunghezza emergono dall'interazione tra le particelle.<br />Credit: Andy Gilmore</td></tr>
</tbody></table>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Questa idea, che è stata poco
esplorata ed è nota come "simmetria di scala", rappresenta una deviazione
radicale da quelle assunzioni ormai assodate da lungo tempo su come vengono
acquisite le proprietà delle <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Particella_elementare" target="_blank">particelle elementari</a>. Tuttavia, questo concetto è
emerso di recente come una sorta di pensiero comune tra i fisici delle
particelle. Bloccati in una specie di impasse, i ricercatori sono ripartiti dalle
principali equazioni che descrivono le particelle note e le loro interazioni, chiedendosi cosa succede quando si eliminano i termini che hanno a che fare con
la massa e la lunghezza. La Natura, al livello più profondo, potrebbe non
risentire del concetto di scala. Ora, applicando questo nuovo concetto della
simmetria di scala, i fisici ripartono dall’equazione di base che definisce un
insieme di particelle senza massa, in ognuna delle quali confluiscono le
caratteristiche di materia o antimateria e di carica elettrica positiva o
negativa. Nel momento in cui queste particelle si attraggono e si respingono, e
gli effetti delle loro interazioni si manifestano a cascata attraverso i
calcoli, la simmetria di scala viene meno e sia le masse che le lunghezze
emergono spontaneamente. Effetti dinamici similari generano il 99 percento
della massa nell’Universo osservabile. I <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Protone" target="_blank">protoni</a> e i <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Neutrone" target="_blank">neutroni</a> sono amalgamati,
ognuno di essi è una combinazione di tre particelle fondamentali, denominati
<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Quark_(particella)" target="_blank">quark</a>. L’energia necessaria per tenere insieme i quark dà luogo ad una massa
combinata che è circa 100 volte maggiore di quella dovuta alla somma delle tre
singole componenti. La maggior parte della massa viene generata in questo modo,
perciò i fisici sono interessati a vedere se è possibile che tutta la massa
venga creata seguendo questo processo fisico. Nelle equazioni del <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Modello_standard" target="_blank">modello standard delle particelle</a>, solamente una particella scoperta nel 2012 (<a href="http://astronomicamens.wordpress.com/2012/07/04/lhc-osservata-una-nuova-particella-consistente-con-il-bosone-di-higgs/" target="_blank">post</a>)
emerge già con una propria massa. Secondo una teoria formulata circa 50 anni fa
dal fisico britannico <a href="http://www.ph.ed.ac.uk/higgs/peter-higgs" target="_blank">Peter Higgs</a>, si ritiene che il <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Bosone_di_Higgs" target="_blank">bosone di Higgs</a> conferisca
la massa alle altre particelle attraverso un meccanismo di interazione,
chiamato appunto <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Meccanismo_di_Higgs" target="_blank">meccanismo di Higgs</a>. Dunque, la massa delle particelle deriva
dal bosone di Higgs e, grazie ad una sorta di effetto di ritorno, le particelle
determinano il valore della massa del bosone di Higgs. </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il nuovo approccio che si basa
sulla simmetria di scala tenta di riscrivere, per così dire, l’inizio di questa
storia. L’idea è che persino la massa di Higgs non sia realmente lì e potrebbe essere
definita in termini di qualche meccanismo dinamico. Questi concetti stanno
cominciando a prendere piede nel campo della fisica teorica. Di fatto, gli
esperimenti condotti presso <a href="http://home.web.cern.ch/topics/large-hadron-collider" target="_blank">LHC</a>, che venne chiuso nel 2013 per eseguire una
serie di manutenzioni, non hanno prodotto quelle particelle che i teorici hanno
da sempre incluso nelle equazioni da più di 30 anni. Insomma, questo “flop” sembra
suggerire che i ricercatori abbiano preso una strada sbagliata sin già a
partire da qualche decina d’anni in particolare nel modo di calcolare la massa delle
particelle. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il gigantesco problema con il bosone di Higgs<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il metodo della simmetria di
scala risale al 1995 quando <a href="http://theory.fnal.gov/people/bardeen/wbardeen.html"><span style="color: #0070c0; text-decoration: none; text-underline: none;">William </span></a><span style="color: #0070c0;"><a href="http://theory.fnal.gov/people/bardeen/wbardeen.html"><span style="color: #0070c0; text-decoration: none; text-underline: none;">Bardeen</span></a></span>,
un fisico teorico del <a href="http://www.fnal.gov/" target="_blank">Fermi National Accelerator Laboratory in Batavia,Illinois</a>, dimostrò che la massa del bosone di Higgs e quella delle altre
particelle del modello standard potevano essere calcolate come conseguenza
della rottura spontanea della simmetria di scala. Ma all’epoca, l’approccio di
Bardeen fu fallimentare. Il delicato sistema dei suoi calcoli si rovinò facilmente quando i ricercatori tentarono di incorporare nuove
particelle, non ancora osservate, come quelle che sono state introdotte per spiegare
l’enigmatica <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Materia_oscura" target="_blank">materia scura</a> e la <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Interazione_gravitazionale" target="_blank">gravità</a>. Gli scienziati utilizzarono un altro
metodo, chiamato <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Supersimmetria" target="_blank">supersimmetria</a>, che permetteva di predire in maniera naturale
decine di nuove particelle, tra le quali anche quelle candidate per spiegare la
natura della materia scura. Inoltre, la supersimmetria forniva una soluzione
diretta ad un vecchio problema che fu subito sollevato quando venne formulato
il modello standard. Utilizzando l’approccio classico nei calcoli numerici, le
interazioni del bosone di Higgs con le altre particelle tendono ad aumentare la
sua massa verso le scale più alte presenti nelle equazioni, portandosi dietro
anche i valori della massa delle altre particelle. Ma la <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Meccanica_quantistica" target="_blank">meccanica quantistica</a> tende
a rendere “democratiche”, per così dire, tutte le particelle e non importa se il modello
standard sia la fine della storia. Tuttavia, i fisici credono che ben al di là
del modello standard, cioè verso valori della massa che sono miliardi di
miliardi di volte superiori alla cosiddetta “<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Massa_di_Planck" target="_blank">massa di Planck</a>”, devono esistere
delle “particelle giganti” associate alla gravità. Questi “giganti” dovrebbero
aumentare la massa del bosone di Higgs attraendo la massa di ciascuna
particella fino alla <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Scala_di_Planck" target="_blank">scala di Planck</a>. Ma ciò non avviene e, invece, sembra
emergere una sorta di gerarchia non naturale che separa le particelle più
leggere del modello standard e la massa di Planck. Bardeen ha calcolato le
masse delle particelle del modello standard utilizzando il metodo della
simmetria di scala in modo tale che i valori della massa non si spostano verso valori più alti. Ne risulta che la particella leggera associata al bosone di
Higgs emerge in maniera naturale, anche se non è ancora chiaro come lo
scienziato abbia inserito nei suoi calcoli gli effetti gravitazionali della
scala di Planck. Secondo la teoria della supersimmetria esiste per ogni
particella una gemella che non è stata ancora osservata. Se per ogni particella
(ad esempio l’<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Elettrone" target="_blank">elettrone</a>) il bosone di Higgs incontra la gemella leggermente più
pesante (la cosiddetta <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Selettrone" target="_blank">selettrone</a>), gli effetti combinati si dovrebbero
cancellare e ciò dovrebbe impedire alla massa di Higgs di aumentare verso
valori decisamente elevati. In altre parole, la supersimmetria dovrebbe
“proteggere”, si fa per dire, la massa ancora piccola ma non nulla del bosone di
Higgs. Questa teoria sembrava il perfetto ingrediente mancante del modello
standard per spiegare le masse delle particelle, così perfetto che alcuni
teorici hanno dichiarato che senza la supersimmetria l’Universo non dovrebbe avere senso.
Nonostante ciò, finora non abbiamo rivelato particelle supersimmetriche e ciò
fa sì che Higgs non sia, in qualche modo, “protetto”. Uno degli obiettivi di
LHC, non appena sarà entrato in funzione nel 2015, sarà quello di dare la
caccia alle particelle supersimmetriche. Ad ogni modo, molti fisici sono
convinti che la teoria non sia valida e anche nella recente conferenza
internazionale sulla fisica delle alte energie <span style="background-color: white; color: #2b2b2b; line-height: 24px;">(</span><a href="http://ichep2014.es/" sl-processed="1" style="background-color: white; border: 0px; color: #044774; line-height: 24px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">ICHEP</a><span style="background-color: white; color: #2b2b2b; line-height: 24px;"> 2014)</span></span><span style="background-color: white; color: #2b2b2b; font-family: Lato, sans-serif; font-size: 16px; line-height: 24px;"> </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">tenutasi a Valencia, in Spagna,
lo scorso mese i ricercatori hanno confermato il fatto che dall’analisi dei
dati raccolti dagli esperimenti di LHC non emergono particolari evidenze sull’esistenza di
particelle supersimmetriche né i dati favoriscono una teoria alternativa
chiamata "<a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Technicolor_(physics)" target="_blank">technicolor</a>". Dunque, le implicazioni di questi risultati sono enormi
perché senza supersimmetria la massa del bosone di Higgs pare si riduca non per
un effetto specchio ma a causa di effetti di cancellazione improbabili e casuali
tra termini scollegati. In altre parole, la massa iniziale di Higgs sembra
controbilanciare esattamente i contributi maggiori alla sua massa dovuti ai gluoni, ai
quark, agli stati gravitazionali e a tutto il resto. Ma allora, se l’Universo
risulta “improbabile”, esso deve essere uno dei tanti, cioè uno dei tanti
universi-bolla che fanno parte di un infinito <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Multiverso" target="_blank">multiverso</a>. Il fatto che
osserviamo questo particolare universo-bolla non è dovuto al fatto che le sue
proprietà lo rendono sensato ma al fatto che il suo particolare bosone di Higgs
permette la formazione degli atomi e, perciò, anche l’emergere della vita.
Negli altri universi-bolla, caratterizzati da bosoni di Higgs che hanno le
dimensioni tipiche della scala di Planck, la vita non può esistere. Questa, però,
non è una spiegazione sufficiente anche se il concetto di multiverso è
diventato popolare negli ultimi anni. Un universo caratterizzato da
cancellazioni improbabili elude ogni comprensione anche perchè l’esistenza di universi
alieni, non raggiungibili, non può essere provata. Insomma, non è soddisfacente
utilizzare l’idea di multiverso per spiegare delle cose che non comprendiamo.
C’è da dire, poi, che i teorici tendono ad “aggiustare” le equazioni
mettendoci qualcosa di extra per tener conto del bosone di Higgs e pare, comunque, che non
sia il caso della supersimmetria. Insomma, oggi gli scienziati cominciano a
chiedersi se esista un’altra simmetria, una teoria alternativa che non preveda
l’esistenza di una enorme quantità di particelle che non osserviamo.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Combattere contro i fantasmi<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Partendo dal lavoro di Bardeen,
alcuni ricercatori come <a href="http://www.uam.es/cs/ContentServer/FisicaTeorica/en/1234888609706/1242665618116/persona/detallePDI/Salvio,_Alberto.htm"><span style="color: #0070c0; text-decoration: none; text-underline: none;">Alberto Salvio</span></a><span style="background: white;">, </span><a href="http://pisatheorygroup.pi.infn.it/staff/strumia-alessandro"><span style="color: #0070c0; text-decoration: none; text-underline: none;">Alessandro
Strumia</span></a><span style="color: #0070c0;"> </span>e <a href="http://www.mpi-hd.mpg.de/lin/personalhome_lindner.en.html"><span style="color: #0070c0; text-decoration: none; text-underline: none;">Manfred Lindner</span></a>,
ora ritengono che la simmetria di scala possa rappresentare la migliore
descrizione per spiegare il valore piccolo della massa di Higgs. Affinchè la
teoria funzioni, essa deve tener conto di tutti i valori piccoli delle masse
delle particelle del modello standard e di quelle enormi associate alla
gravità. Nel solito modo di procedere con i calcoli, entrambe le scale sono
poste inizialmente "a mano" e quando si connettono nelle equazioni esse tendono a
bilanciarsi. Ma con il nuovo approccio, entrambe le scale devono emergere
dinamicamente e separatamente dal nulla. Il fatto che la gravità potrebbe non
influenzare la massa di Higgs sarebbe un risultato rivoluzionario. Una teoria formulata
da Salvio e Strumia, chiamata “<a href="http://arxiv.org/abs/1403.4226">agravity</a>”, ossia gravità adimensionale, potrebbe finora rappresentare la realizzazione più
concreata dell’idea della simmetria di scala. Questa teoria combina le leggi
della fisica su tutte le scale in un singolo quadro consistente in cui la massa
di Higgs e quella di Planck emergono entrambe separatamente da effetti dinamici.
Non solo, ma l’agravity offre una spiegazione sul perché l’Universo subì una
fase di espansione rapida iniziale, l’<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Inflazione_(cosmologia)" target="_blank">inflazione cosmica</a>. Infatti, secondo la
teoria, la rottura della simmetria di scala avrebbe causato una espansione
esponenziale della dimensione dello <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Spaziotempo" target="_blank">spaziotempo</a> durante le primissime fasi
iniziali della storia cosmica, subito dopo il Big Bang. Tuttavia, la teoria
dell’agravity ha una falla: essa richiede l’esistenza di particelle strane
chiamate “fantasmi”. Esse hanno "energie negative" o probabilità negative di
esistere e portano confusione nelle equazioni del mondo quantistico. Ma le
probabilità negative escludono l’interpretazione probabilistica della meccanica
quantistica, perciò questa rimane una opzione terribile. Alcune teorie
funzionano solo se le "particelle fantasma" si disaccoppiano, in qualche modo,
dalle altre particelle e rimangono loro stesse. Secondo Strumia e Salvio, dati
i vantaggi che offre la teoria dell’agravity, bisognerebbe dare una seconda
possibilità alle "particelle fantasma". Di fatto, quando le <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Antiparticella" target="_blank">antiparticelle</a>
vennero inizialmente inserite nelle equazioni, esse sembravano essere energia
negativa, un nonsenso. Allo stesso modo, anche se le "particelle fantasma" possono rappresentare un nonsenso, forse potrebbe trovarsi una interpretazione
sensata. Nel frattempo, altri gruppi stanno proponendo teorie alternative della
simmetria di scala. Ad esempio, Lindner e colleghi propongono un modello che
implica l’esistenza di un “settore inesplorato” di particelle mentre altri,
guidati da Bardeen, <a href="http://home.fnal.gov/~lykken/Home.html"><span style="color: #0070c0; text-decoration: none; text-underline: none;">Joe Lykken</span></a>,
<a href="http://home.fnal.gov/~carena/"><span style="color: #0070c0; text-decoration: none; text-underline: none;">Marcela Carena</span></a>, <a href="http://theory.fnal.gov/directory.html" target="_blank">Martin Bauer</a> e <a href="https://www.perimeterinstitute.ca/people/Wolfgang-Altmannshofer"><span style="color: #0070c0; text-decoration: none; text-underline: none;">Wolfgang
Altmannshofer</span></a><span style="color: #0070c0;"> </span>affermano in un <a href="http://arxiv.org/pdf/1408.3429v1.pdf">recente articolo</a> che le scale
del modello standard e della gravità siano separate da una <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Transizione_di_fase" target="_blank">transizione di fase</a>.
Gli scienziati hanno individuato una valore critico della massa dove il bosone di Higgs
non interagisce con le altre particelle facendo così annullare la loro massa. Ed
è proprio in questo punto che avviene un cambiamento di fase. Così come l’acqua
si comporta in modo diverso rispetto al ghiaccio, diversi insiemi di legge
fisiche autoconsistenti operano sopra e sotto il punto critico. Ma i nuovi modelli
richiedono una tecnica di calcolo che alcuni esperti considerano
matematicamente dubbiosa. Insomma, è troppo diversa e nuova. Comunque sia, l’agravity
e agli altri modelli sulla simmetria di scala prevedono l’esistenza di nuove
particelle oltre il modello standard perciò i prossimi esperimenti presso LHC
potranno fornire preziosi indizi per verificare queste idee innovative. Nel
frattempo c’è un senso di speranza anche se qualcuno pensa che, forse, la
nostra matematica sia sbagliata. Però, se l’alternativa dovesse essere rappresentata dal
multiverso, allora si tratta certamente di un passo molto drastico e quindi non
ci rimarrà altro che vedere cosa ci riserverà la Natura.</span><o:p></o:p><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">Simons Foundation: <span style="background-color: white; font-weight: inherit; line-height: 36px; text-align: start;"><a href="http://www.simonsfoundation.org/quanta/20140818-at-multiverse-impasse-a-new-theory-of-scale/" target="_blank">At Multiverse Impasse, a New Theory of Scale</a></span></span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">Simons Foundation: </span><span style="background-color: white; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: xx-small; font-weight: inherit; line-height: 36px; text-align: start;"><a href="http://www.simonsfoundation.org/quanta/20121120-as-supersymmetry-fails-tests-physicists-seek-new-ideas/" target="_blank">As Supersymmetry Fails Tests, Physicists Seek New Ideas</a></span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">AstronomicaMens: </span><span style="color: #2b2b2b; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: xx-small; line-height: 1.0909090909; text-align: start; text-transform: uppercase;"><a href="http://astronomicamens.wordpress.com/2013/07/30/no-sign-of-supersymmetry-yet-from-lhc-data/" target="_blank">NO SIGN OF SUPERSYMMETRY YET FROM LHC DATA</a></span><br />
<br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">AstronomicaMens: <span style="background-color: white; color: #666666; text-align: start;"><a href="http://astronomicamens.blogspot.it/2013/06/luniverso-potrebbe-non-essere-naturale.html" target="_blank">L’Universo potrebbe non essere ‘naturale’</a></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div style="text-align: start;">
<span style="color: #666666; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;"><br /></span></div>
<div style="text-align: start;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">arXiv:<span style="color: #666666;"> </span><span style="background-color: white; line-height: 28.799999237060547px;"><a href="http://arxiv.org/pdf/1310.4423v2" target="_blank">Electroweak and Conformal Symmetry Breaking by a Strongly Coupled Hidden Sector</a></span></span></div>
<div style="text-align: start;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;"><br /></span></div>
<div style="text-align: start;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">arXiv: <a href="http://arxiv.org/pdf/1403.4226v2" target="_blank">Agravity</a></span></div>
<div style="text-align: start;">
<br /></div>
<div style="text-align: start;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">arXiv: <a href="http://arxiv.org/pdf/1408.3429v1.pdf" target="_blank">Light Dark Matter, Naturalness, and the Radiative Origin of the Electroweak Scale</a></span></div>
<br />
<br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<o:p></o:p></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/08305106977611057570noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7973467142325335034.post-83557917711052422182014-06-08T12:42:00.000-07:002014-06-08T12:42:16.338-07:00La complessità dei buchi neri<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; line-height: 115%; mso-bidi-font-size: 12.0pt;">Nel corso di questi anni, la
ricerca di una <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_del_tutto" target="_blank">teoria unificata</a> ha portato diversi fisici teorici ad introdurre
una serie di argomentazioni nel tentativo di conciliare le due migliori descrizioni del mondo macroscopico (<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Relativit%C3%A0_generale" target="_blank">relatività generale</a>) e di quello
microscopico (<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Meccanica_quantistica" target="_blank">meccanica quantistica</a>). In particolare, un fisico teorico di nome
<a href="https://physics.stanford.edu/people/faculty/leonard-susskind" target="_blank">Leonard Susskind</a> ha presentato diverse idee spesso non facilmente intuitive,
come ad esempio la <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_delle_superstringhe" target="_blank">teoria delle superstringhe</a> o il concetto in base al quale il
nostro Universo tridimensionale potrebbe essere in realtà un <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Principio_olografico" target="_blank">ologramma bidimensionale</a>. Oggi egli è parte di un piccolo gruppo di scienziati che stanno
ragionando su un nuovo concetto altrettanto bizzarro: in altre parole, la
chiave verso quella che viene definita “la teoria del tutto” dovrà essere
trovata nell’ambito della scienza dei computer, nota anche come <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_della_complessit%C3%A0_computazionale" target="_blank">complessità computazionale</a>. Certamente, non si tratta di una disciplina della fisica dove
esplorare i processi più fondamentali ma essa è legata a qualcosa di più
pratico e riguarda il numero di operazioni logiche che sono necessarie per
eseguire un <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Algoritmo" target="_blank">algoritmo</a>. Se questo approccio funzionerà, allora secondo Susskind esso
potrebbe risolvere uno dei problemi teorici più impegnativi di questi anni,
cioè il <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Paradosso_dell'informazione_del_buco_nero" target="_blank">paradosso dell’informazione dei buchi neri</a>, il che implicherebbe la non validità della meccanica quantistica e della relatività generale. In
più, il metodo della complessità computazionale potrebbe fornire ai teorici un nuovo modo di comprendere
i concetti di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Spazio_(fisica)" target="_blank">spazio</a> e <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Tempo" target="_blank">tempo</a> utilizzando semplicemente delle idee basate
sostanzialmente sulla informazione.</span></div>
<a name='more'></a><o:p></o:p><br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; line-height: 115%; mso-bidi-font-size: 12.0pt;"><br /></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; line-height: 115%; mso-bidi-font-size: 12.0pt;">Al di là dell'orizzonte degli eventi<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; mso-layout-grid-align: none; mso-line-height-alt: 9.35pt; text-align: justify; text-autospace: none;">
<span style="color: #211d1e; font-family: "Arial","sans-serif"; mso-bidi-font-size: 12.0pt;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://www.nature.com/polopoly_fs/7.17528.1401196526!/image/Complexity.jpg_gen/derivatives/landscape_630/Complexity.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://www.nature.com/polopoly_fs/7.17528.1401196526!/image/Complexity.jpg_gen/derivatives/landscape_630/Complexity.jpg" height="213" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; mso-layout-grid-align: none; mso-line-height-alt: 9.35pt; text-align: justify; text-autospace: none;">
<span style="color: #211d1e; font-family: "Arial","sans-serif"; mso-bidi-font-size: 12.0pt;">Tutto
inizia circa 40 anni fa quando <a href="http://www.hawking.org.uk/" target="_blank">Stephen Hawking</a> si rese conto che gli effetti
quantistici determinavano una specifica emissione di radiazione proveniente da un buco nero sottoforma di
fotoni e di altre particelle, nota come <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Radiazione_di_Hawking" target="_blank">radiazione Hawking</a>,
fino a causare la sua completa evaporazione. Una volta che gli altri
ricercatori vennero a conoscenza di questa scoperta, emerse una contraddizione
alquanto preoccupante. Infatti, secondo le regole della meccanica quantistica,
il flusso di particelle che costituiscono la radiazione uscente deve
conservare l’informazione di tutto quello che cade verso il buco nero, così
come la materia che sta precipitando trasporta esattamente la stessa
informazione man mano che attraversa l’<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Orizzonte_degli_eventi" target="_blank">orizzonte degli eventi</a>, cioè quella
superficie ideale al di là della quale niente, nemmeno la luce, può tornare indietro.
Ma questo flusso a due direzioni potrebbe violare una legge chiave della
meccanica quantistica, nota come <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Teorema_di_no-cloning_quantistico" target="_blank">teorema di no-cloning quantistico</a>, in base alla
quale non è possibile riprodurre una copia perfetta dell’informazione
quantistica sconosciuta a priori. Nel 1995, come fecero poi felicemente notare Susskind e colleghi,
la natura sembrava effettivamente eludere qualsiasi violazione a tale regola
rendendo così impossibile vedere entrambe le copie allo stesso tempo: un
osservatore che rimane al di fuori dell’orizzonte degli eventi non potrà mai comunicare con un altro osservatore che lo ha già attraversato. Ma nel 2012,
quattro fisici della <a href="http://www.ucsb.edu/" target="_blank">Università della California a Santa Barbara</a>, <a href="http://cpr-grqc.blogspot.it/2012/07/12073123-ahmed-almheiri-et-al.html" target="_blank">Ahmed Almheiri</a>, <a href="http://www.physics.ucsb.edu/people/academic/donald-marolf" target="_blank">Donald Marolf</a>, <a href="http://www.kitp.ucsb.edu/joep/" target="_blank">Joseph Polchinski</a> e <a href="http://www.marxiv.org/?query=au%3ASully_James&page=0&type=search" target="_blank">James Sully</a>, noti come gruppo AMPS,
introdussero una eccezione pericolosa a questa regola. Essi trovarono uno
scenario in cui un osservatore potrebbe decodificare l’informazione contenuta nella
radiazione, “saltando” per così dire nel buco nero e quindi confrontando quella informazione
con la sua copia mentre sta oltrepassando l’orizzonte degli eventi. Tuttavia,
il gruppo AMPS concluse che la natura previene questa sorta di abominio
attraverso la creazione di una sorta di “barriera di fuoco” che si
trova appena superato l’orizzonte degli eventi e che incenerisce qualsiasi
osservatore, o meglio qualsiasi particella, che tenta di attraversarlo. In
effetti, lo spazio dovrebbe terminare improvvisamente proprio nell’orizzonte
degli eventi, anche se la relatività generale afferma che in questa regione lo
spazio deve essere continuo e regolare. Dunque, se la teoria del gruppo AMPS è vera,
allora “<i>ciò potrebbe essere un duro colpo
per la relatività generale</i>”, così come ha affermato il fisico teorico <a href="http://physics.berkeley.edu/index.php?option=com_dept_management&act=people&Itemid=312&task=view&id=357" target="_blank">Raphael Bousso</a>.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; mso-layout-grid-align: none; mso-line-height-alt: 9.35pt; text-align: justify; text-autospace: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 5.0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-line-height-alt: 10.0pt; text-autospace: none;">
<span style="color: #211d1e; font-family: "Arial","sans-serif"; mso-bidi-font-size: 12.0pt;"><b>L’informazione non può essere codificata</b><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 5.0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-line-height-alt: 10.0pt; text-autospace: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; mso-layout-grid-align: none; mso-line-height-alt: 9.35pt; text-align: justify; text-autospace: none;">
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; mso-layout-grid-align: none; mso-line-height-alt: 9.35pt; text-align: justify; text-autospace: none;">
<span style="color: #211d1e; font-family: "Arial","sans-serif"; mso-bidi-font-size: 12.0pt;">Da
quando sono emerse queste argomentazioni, la fisica fondamentale si è trovata
in un vero e proprio tumulto scientifico dato che gli scienziati hanno sempre
tentato di trovare una soluzione a questo paradosso. I primi ad introdurre il
concetto della complessità computazionale in questo campo dell’astrofisica furono
i fisici <a href="https://physics.stanford.edu/people/faculty/patrick-hayden" target="_blank">Patrick Hayden</a>, che si occupa anche di scienza dei computer, e <a href="http://www.pctp.princeton.edu/pcts/people/harlow_daniel.html" target="_blank">Daniel Harlow</a>. Se davvero la “barriera di fuoco” dipende dall’abilità di un osservatore a
codificare l'informazione contenuta nella radiazione uscente, la domanda è: quanto è possibile che ciò
avvenga? La risposta è: estremamente difficile, se non impossibile. Una analisi
basata sulla complessità computazionale ha mostrato che il numero di operazioni
logiche richieste per codificare l’informazione uscente dal buco nero potrebbe
aumentare esponenzialmente con il numero di particelle che costituiscono la radiazione. Ora,
nessun computer sarebbe in grado di portare a termine questi enormi e complessi
calcoli fino a che il buco nero non abbia irradiato tutta la sua energia e sia
evaporato assieme alle copie dell’informazione stessa. Ciò implica che la “barriera di fuoco” non ha ragione di esistere: questo scenario in cui
l’informazione può essere codificata non ha quindi senso e perciò il paradosso
scompare. Inizialmente, Hayden fu alquanto scettico del risultato. Ma poi
assieme ad Harlow trovò la stessa risposta nel caso di vari tipi di buchi neri. “<i>Sembra che sia un principio molto forte, una
specie di cospirazione della natura che non permette di realizzare questa
codifica dell’informazione prima che il buco nero non sia evaporato</i>”, ha
affermato Hayden. L’ipotesi di Harlow-Hayden fece una grande impressione su
<a href="http://www.scottaaronson.com/" target="_blank">Scott Aaronson, che si occupa di calcoli quantistici complessi al MIT</a>. “<i>Ho rispetto per il lavoro fatto dai colleghi che rappresenta una
delle più importanti sintesi della fisica e della scienza dei computer</i>”, ha
dichiarato. La eco di queste conclusioni giunse tra i fisici teorici anche se
nessuno rimase convinto. “<i>Anche se i calcoli
sono corretti</i>”, dice Polchinski, “<i>è
difficile vedere come uno dovrebbe formulare una teoria fondamentale su questi
concetti</i>”. Nonostante ciò, alcuni fisici ci stanno provando. C’è una
moderata convinzione tra gli scienziati sul fatto che le l<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Legge_fisica" target="_blank">eggi della natura</a> debbano
essere basate in qualche modo sull’informazione. E l’idea che le leggi della
natura possano essere descritte da metodi complessi di calcolo, che è definito
sostanzialmente in termini del concetto di informazione, offre una prospettiva
promettente. Tutto questo ha ispirato Susskind ad approfondire quale sia allora
il ruolo che può avere in tal senso la complessità computazionale e per far questo,
egli ha scelto un sistema di riferimento teorico noto come <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Spazio_Anti_de_Sitter" target="_blank">spazio anti-deSitter (AdS)</a> che descrive qualsiasi cosa contenuta nel cosmo, inclusi i buchi neri, governata dalla <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Interazione_gravitazionale" target="_blank">gravità</a>. A
differenza, però, del nostro Universo, lo spazio AdS ha un confine, cioè una regione dove
la gravità è assente e le <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Particella_elementare" target="_blank">particelle elementari</a> e i <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Campo_di_forze" target="_blank">campi di forze</a> sono governati dalle
regole della meccanica quantistica. A parte questa differenza, studiare la
fisica nel sistema AdS ha fornito molti indizi poiché qualsiasi oggetto e
processo fisico che si trovano all’interno di questo spazio possono essere
matematicamente descritti con un oggetto o con un processo fisico equivalenti che si
trovano, invece, nel suo confine. Ad esempio, un buco nero nel sistema AdS è
equivalente ad un gas caldo di particelle quantistiche che sono distribuite sul
suo bordo. Ancora meglio, anche i calcoli che sono spesso complicati in un dominio
diventano invece più semplici se utilizziamo l’altro. E una volta che i calcoli sono stati
completati, questi risultati che sono stati ottenuti nel sistema AdS possono
essere per così dire “trasferiti” o “tradotti” nel nostro Universo. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; mso-layout-grid-align: none; mso-line-height-alt: 9.35pt; text-align: justify; text-autospace: none;">
<span style="color: #211d1e; font-family: "Arial","sans-serif"; mso-bidi-font-size: 12.0pt;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 5.0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-line-height-alt: 10.0pt; text-autospace: none;">
<b><span style="color: #211d1e; font-family: "Arial","sans-serif"; mso-bidi-font-size: 12.0pt;">La
complessità aumenta<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 5.0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-line-height-alt: 10.0pt; text-autospace: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; mso-layout-grid-align: none; mso-line-height-alt: 9.35pt; text-align: justify; text-autospace: none;">
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 5.0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-line-height-alt: 10.0pt; text-align: justify; text-autospace: none;">
<span style="color: #211d1e; font-family: "Arial","sans-serif"; mso-bidi-font-size: 12.0pt;">Susskind decise allora
di guardare un buco nero da un'altra prospettiva, cioè dal punto centrale dello spazio AdS, e di
utilizzare la descrizione ottenuta sul confine dello spazio per esplorare ciò
che succede all’interno dell’orizzonte degli eventi. Altri colleghi hanno
fallito in questo tentativo mentre Susskind ha analizzato il problema
attraverso le lenti del calcolo numerico complesso. Passare dal confine dello
spazio AdS alle regioni più interne dell’orizzonte degli eventi richiede un
enorme numero di operazioni logiche che aumenta esponenzialmente man mano che
ci si avvicina verso il buco nero. Così come ha sottolineato Aaronson, “<i>la regione più interna del buco nero è come
se fosse protetta da una specie di armatura di complessità numerica</i>”. In
più, Susskind notò che questa complessità computazionale tende a crescere nel tempo
il che non implica un aumento del disordine o dell’<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Entropia" target="_blank">entropia</a>. In realtà, si
tratta di un puro effetto quantistico dovuto al modo con cui interagiscono le
particelle, che si trovano sul confine dello spazio, che causa un rapido
incremento della complessità relativa al loro <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Stato_quantico" target="_blank">stato quantistico</a>. Secondo
Susskind, questo aumento di complessità suggerisce delle somiglianze con il
campo gravitazionale. Immaginiamo, ad esempio, un oggetto che fluttua nello
spazio attorno a un buco nero. Dato che siamo nel sistema AdS, l’oggetto può
essere descritto da una qualsiasi configurazione di particelle e campi sul bordo dello spazio. E poiché la complessità di quel confine dello spazio tende ad
aumentare nel tempo, l’effetto è quello di far muovere l’oggetto verso le
regioni più interne dove la complessità è maggiore. Ma questo è un altro modo
di dire che l’oggetto sarà attratto verso il buco nero. In altre parole,
Susskind afferma che “<i>le cose cadono
perché esiste una tendenza verso la complessità</i>”. Un’altra conseguenza di questo
aumento di complessità è strettamente legato ad un altro concetto che Susskind
introdusse assieme a <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Juan_Mart%C3%ADn_Maldacena" target="_blank">Juan Maldacena</a>, l’unico fisico a riconoscere le
caratteristiche uniche del sistema AdS. Secondo la relatività generale, due
buchi neri possono essere separati da decine o centinaia di anni-luce ma possono
ancora essere connessi da una sorta di tunnel spazio-temporale, noto come
<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Ponte_di_Einstein-Rosen" target="_blank">wormhole o ponte di Einstein-Rosen</a>. Ora, in base alle regole della meccanica quantistica, i due buchi
neri possono essere ulteriormente connessi attraverso un effetto di
<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Entanglement_quantistico" target="_blank">entanglement quantistico</a>, cioè l’informazione dei loro stati quantici è condivisa tra loro
in un modo che non dipende dalla distanza. Dopo aver esplorato le varie
similitudini tra queste connessioni, Susskind e Maldacena conclusero che esse
erano due aspetti di una unica cosa, cioè che il grado di accoppiamento di un
buco nero, un fenomeno puramente quantistico, determina la larghezza del
wormhole, una proprietà puramente geometrica. Con il suo ultimo lavoro,
Susskind dice che l’incremento della complessità che avviene sul confine dello
spazio AdS si manifesta come un aumento della lunghezza del wormhole. Dunque,
se mettiamo tutto insieme, pare che l’entanglement sia un fenomeno legato in
qualche modo allo spazio mentre invece la complessità sia legata al tempo.
Naturalmente, lo stesso Susskind afferma che se da un lato tali idee sono delle
speculazioni e non costituiscono una vera e propria teoria scientifica
dall’altro egli ed altri colleghi sono convinti che esse permettono di superare
il paradosso dell’informazione. “<i>Non so
dove tutto questo porterà</i>”, dice Susskind, “<i>ma credo che queste relazioni tra complessità e geometria siano
solamente la punta dell’iceberg</i>”.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 5.0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-line-height-alt: 10.0pt; text-align: justify; text-autospace: none;">
<span style="color: #211d1e; font-family: Arial, sans-serif; font-size: x-small;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 5.0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-line-height-alt: 10.0pt; text-align: justify; text-autospace: none;">
<span style="color: #211d1e; font-family: Arial, sans-serif; font-size: x-small;">Nature: </span><span style="background-color: white; color: #222222; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; letter-spacing: -0.5px; line-height: 1.173;"><a href="http://www.nature.com/news/theoretical-physics-complexity-on-the-horizon-1.15285" target="_blank">Complexity on the horizon</a></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 5.0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-line-height-alt: 10.0pt; text-align: justify; text-autospace: none;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">AstronomicaMens: </span><span style="background-color: white; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;"><a href="http://astronomicamens.blogspot.it/2013/01/il-muro-di-fuoco-un-nuovo-paradosso-sui.html#more" target="_blank">Il 'muro di fuoco', un nuovo paradosso sui buchi neri</a></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 5.0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-line-height-alt: 10.0pt; text-align: justify; text-autospace: none;">
<a href="http://dx.doi.org/10.1103/PhysRevD.52.6997" target="_blank"><span class="vcard author" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">Lowe, D. A.</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">,</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;"> </span><span class="vcard author" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">Polchinski, J.</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">,</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;"> </span><span class="vcard author" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">Susskind, L.</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">,</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;"> </span><span class="vcard author" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">Thorlacius, L.</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;"> </span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">&</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;"> </span><span class="vcard author" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">Uglum, J.</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;"> </span><span class="source-title" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; font-style: italic; line-height: 23.916749954223633px;">Phys. Rev. D</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;"> </span><span class="volume" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; font-weight: bold; line-height: 23.916749954223633px;">52</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">, 6997 (</span><span class="year" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">1995)</span></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 5.0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-line-height-alt: 10.0pt; text-align: justify; text-autospace: none;">
<a href="http://arxiv.org/pdf/1207.3123.pdf" target="_blank"><span class="vcard author" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">Almheiri, A.</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">,</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;"> </span><span class="vcard author" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">Marolf, D.</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">,</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;"> </span><span class="vcard author" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">Polchinski, J.</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;"> </span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">&</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;"> </span><span class="vcard author" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">Sully, J.</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;"> </span><span class="source-title" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; font-style: italic; line-height: 23.916749954223633px;">J. High Energy Phys.</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;"> </span><span class="volume" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; font-weight: bold; line-height: 23.916749954223633px;">2013</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">, 62 (</span><span class="year" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">2013</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">)</span></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 5.0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-line-height-alt: 10.0pt; text-align: justify; text-autospace: none;">
<a href="http://dx.doi.org/10.1007/JHEP06(2013)085" target="_blank"><span class="vcard author" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">Harlow, D.</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;"> </span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">&</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;"> </span><span class="vcard author" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">Hayden, P.</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;"> </span><span class="source-title" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; font-style: italic; line-height: 23.916749954223633px;">J. High Energy Phys.</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;"> </span><span class="volume" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; font-weight: bold; line-height: 23.916749954223633px;">2013</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">, 85 (</span><span class="year" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">2013</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">)</span></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 5.0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-line-height-alt: 10.0pt; text-align: justify; text-autospace: none;">
<a href="http://dx.doi.org/10.1002/prop.201300020" target="_blank"><span class="vcard author" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">Maldacena, J.</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;"> & </span><span class="vcard author" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">Susskind, L.</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;"> </span><span class="source-title" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; font-style: italic; line-height: 23.916749954223633px;">Fortschr. Phys.</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;"> </span><span class="volume" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; font-weight: bold; line-height: 23.916749954223633px;">61</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">, </span><span class="start-page" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">781</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">–</span><span class="end-page" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">811</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;"> (</span><span class="year" style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">2013</span><span style="background-color: white; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 23.916749954223633px;">)</span></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 5.0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-line-height-alt: 10.0pt; text-align: justify; text-autospace: none;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;"><a href="http://arxiv.org/abs/1402.5674" target="_blank">Susskind, L. (preprint) (2014)</a></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 5.0pt; mso-layout-grid-align: none; mso-line-height-alt: 10.0pt; text-align: justify; text-autospace: none;">
<span style="background-color: white; color: #333333; font-family: arial, helvetica, clean, sans-serif; font-size: 14px; line-height: 23.916749954223633px;"><br /></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/08305106977611057570noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7973467142325335034.post-45317367942979962362014-06-05T02:41:00.000-07:002014-06-05T02:59:27.819-07:00SETI, entro vent'anni il 'primo' contatto<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La domanda se siamo soli
nell’Universo sta diventando ormai molto vecchia. Esistono delle storie su
questo argomento che risalgono persino agli antichi greci e sembra difficile
credere che anche i primi esseri umani comparsi sul nostro pianeta non abbiano mai volto lo sguardo verso il cielo chiedendosi se esistono altri esseri come loro </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">da qualche parte nello spazio</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">. Rispetto ai nostri antenati, oggi abbiamo una
tecnologia sufficientemente avanzata e adeguata che ci permette di affrontare
il problema secondo il <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Metodo_scientifico" target="_blank">metodo scientifico</a>. Dunque, trovare che esistono intelligenze extraterrestri
potrebbe definire il nostro posto nello spazio cosmico. Inoltre, una tale
scoperta completerebbe la cosiddetta <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Rivoluzione_copernicana" target="_blank">rivoluzione copernicana</a>. Circa 470 anni
fa, le meticolose osservazioni del cielo ed il ragionamento scientifico ci
portarono a comprendere il nostro ruolo nell’Universo. Oggi, lo scopo della ricerca
<a href="http://www.seti.org/" target="_blank">SETI (Search for Extra Terrestrial Intelligence)</a> è quello di comprendere in quale piano intellettivo noi esseri umani ci poniamo rispetto ad eventuali esseri intelligenti nell’Universo. Insomma, le
nostre capacità intellettive sono uniche o sono semplicemente le sole che
esistono tra tante altre?</span><br />
<span style="font-size: 10.5pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"></span></span><br />
<a name='more'></a><span style="font-size: 10.5pt;"><b style="font-family: GeorgiaRegular;"><o:p></o:p></b></span><br />
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Così
come verso la fine del XV secolo le grandi navi e l’invenzione del compasso segnarono
l’inizio della grande era delle esplorazioni terrestri, analogamente l’era
della tecnologia moderna, unita ad una maggiore comprensione della <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Struttura_a_grande_scala_dell'universo" target="_blank">struttura dell’Universo su larga scala</a> che capivamo qualche decennio fa, ci
fornisce la possibilità di scoprire la vita altrove nello spazio. Il programma
SETI è sinonimo di esplorazione e le conseguenze dell’esplorazione sono spesso
profondamente illuminanti e di una utilità inaspettata. Sappiamo
che noi esseri umani siamo speciali, ma siamo unici? Questa è la domanda a cui il SETI
spera di rispondere.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Perchè pensiamo che la vita esista altrove<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/a/a8/ALH84001_structures.jpg/290px-ALH84001_structures.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/a/a8/ALH84001_structures.jpg/290px-ALH84001_structures.jpg" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="background-color: white;"><span style="line-height: 17.318561553955078px; text-align: left;"><span style="font-family: inherit; font-size: x-small;">Particolare struttura biologica del meteorite ALH 84001</span></span></span></td></tr>
</tbody></table>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ad
oggi, non abbiamo una evidenza certa dell’esistenza di vita aliena al di fuori
della Terra. Nel 1996, nonostante la notizia dell’esistenza di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/ALH_84001" target="_blank">microbi fossili presenti su un meteorite marziano</a> generò un ampio clamore, oggi gli
astrobiologi ne sono poco convinti. Ma se viene chiesto agli stessi
astrobiologi cosa ne pensano della vita aliena, se essa sia comune o facilmente
esplorabile, la loro risposta è quasi inevitabilmente affermativa. Fino al
1995, sapevamo che non c’era alcun pianeta in orbita su altre stelle, sia esso abitabile
o meno, e ci furono una serie di argomentazioni che tali mondi potessero essere alquanto
comuni, anche se si trattava solo di speculazioni. Negli ultimi vent’anni, grazie
ai dati che ci ha fornito la missione <a href="http://kepler.nasa.gov/" target="_blank">Kepler della NASA</a>, gli astronomi hanno
rivelato un <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Pianeta_extrasolare" target="_blank">esopianeta</a> dopo l’altro. <a href="http://planetquest.jpl.nasa.gov/" target="_blank">Oggi se ne conoscono oltre quattro mila di cui circa tre mila sono candidati che aspettano di essere analizzati</a>. Le stime
indicano che almeno il 70% di tutte le stelle hanno un sistema di pianeti e
si stima che il loro numero sia dell’ordine di un trilione, cioè mille miliardi, almeno nella Via Lattea. Ma è importante
ricordare che la nostra Galassia è solo una delle 150 miliardi di galassie
visibili dai nostri telescopi, ognuna delle quali dotata di propri <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_planetario" target="_blank">sistemi planetari</a>. Insomma, si tratta di un numero che va al di là della nostra
comprensione. L’obiettivo principale della missione Kepler è quello di
determinare quale frazione di questi numerosi sistemi planetari alieni sia
costituita da corpi celesti che possano ospitare la vita. Di solito, il 'metro' che ci permette di distinguere se un pianeta sia abitabile o meno è dato dalla
presenza di acqua liquida sulla superficie. La maggior parte di questi
pianeti potranno essere o troppo freddi o troppo caldi o appartenenti ad una particolare classe,
come ad esempio <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Giove_(astronomia)" target="_blank">Giove</a>, dove non esiste una vera e propria superficie solida. Le recenti
osservazioni di Kepler suggeriscono che una stella su cinque può ospitare un <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Pianeta_terrestre" target="_blank">pianeta di tipo terrestre</a>, potenzialmente abitabile. Un tale numero potrebbe diventare
più grande di almeno un fattore due o tre e se così fosse vorrebbe dire che la
nostra Galassia ospiterebbe, in linea di principio, da 10 a 80 miliardi di corpi
celesti simili alla Terra. In altre parole, possiamo dire che esiste un vero e proprio 'ambiente
cosmico' adeguato per forme di vita extraterrestre, inclusa la vita intelligente. Un
ulteriore dato che è stato elaborato da uno studio recente suggerisce che i
mattoni chimici fondamentali della vita, cioè i vari <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Categoria:Composti_del_carbonio" target="_blank">composti del carbonio</a>,
come ad esempio gli <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Amminoacido" target="_blank">aminoacidi</a>, che sono presenti in tutti gli organismi
terrestri, si formano in maniera naturale e sono abbondanti nel cosmo. I
requisiti biologici sono presenti ovunque nello spazio e se da un lato ciò non
garantisce che la vita possa evolvere in tutti quei pianeti dove le condizioni
fisiche sono simili a quelle presenti sul nostro pianeta, dall’altro ciò induce a pensare che questo processo avvenga in maniera frequente. Se solo su una ogni
mille ipotetiche terre si sviluppasse la vita, nella nostra Galassia potrebbero
essere presenti decine di milioni di mondi alieni dotati di flora e fauna. Ad
ogni modo, il programma SETI rappresenta un insieme di esperimenti che sono
stati concepiti per trovare non proprio la vita ma esseri tecnologicamente
sviluppati, ossia delle civiltà il cui livello di intelligenza e di sviluppo
sia almeno uguale al nostro. A questo punto è spontaneo chiedersi, assumendo
che esistano molti mondi alieni che ospitano forme di vita, qual sarà la frazione
di questi che potrà evolversi acquisendo le capacità intellettive dell’Homo
Sapiens? Certamente è una domanda controversa e allo stesso tempo difficile da
rispondere. Così come è stato sottolineato da qualche famoso biologo
evoluzionista, tra cui <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Ernst_Mayr" target="_blank">Ernst Mayr</a> e <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Stephen_Jay_Gould" target="_blank">Stephen Jay Gould</a>, la strada che parte da
<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Organismo_pluricellulare" target="_blank">forme di vita pluricellulari</a>, come i <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Trilobita" target="_blank">trilobiti</a>, per arrivare a noi è
estremamente incerta. Per esempio, se l’asteroide che causò l’estinzione dei
dinosauri, e di almeno due terzi di tutte le specie terrestri, circa 65 milioni
di anni fa, fosse arrivato con 15 minuti di ritardo avrebbe mancato la Terra,
implicando così che il percorso evoluzionistico dai mammiferi a noi esseri
umani non sarebbe mai stato spiegato. Questo semplice argomento ci fa capire
che mentre la vita può essere un fenomeno comune, la vita intelligente può
essere molto rara. Tuttavia, alcuni ricercatori hanno dimostrato che molte
specie diverse di animali, tra cui i delfini, le balene, gli octopus, alcune
specie di uccelli, si sono evolute diventando più intelligenti negli ultimi 50
milioni di anni. Una spiegazione plausibile può essere data dal fatto che l’intelligenza possiede un
elevato grado di sopravvivenza che </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">potrà svilupparsi in qualsiasi mondo alieno </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">assumendo che esistano delle condizioni biologiche complesse e
il giusto intervallo di tempo. Certo è che
non sappiamo nulla su ciò che riguarda l’emergere delle capacità cognitive. Ma
trovare un altro esempio di civiltà intelligente vorrà dire che l’Homo Sapiens
non è in definitiva un fenomeno singolare. La possibilità di rispondere a questa domanda è, di fatto, una delle motivazioni fondamentali per cui sono stati concepiti gli esperimenti
del SETI.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La ricerca di intelligenze extraterrestri<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://62e528761d0685343e1c-f3d1b99a743ffa4142d9d7f1978d9686.ssl.cf2.rackcdn.com/files/46925/width668/fjy5pq48-1398259091.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="240" src="https://62e528761d0685343e1c-f3d1b99a743ffa4142d9d7f1978d9686.ssl.cf2.rackcdn.com/files/46925/width668/fjy5pq48-1398259091.jpg" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Illustrazione grafica di una luna aliena</td></tr>
</tbody></table>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nonostante
gli 'incontri ravvicinati' con esseri alieni siano argomento di fantascienza,
l’idea di verificare l’esistenza di tali esseri rimane ancora molto lontana. I
pianeti che orbitano attorno al Sole potrebbero ospitare qualche forma di vita
aliena, come ad esempio <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Marte_(astronomia)" target="_blank">Marte</a> o alcune lune di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Satelliti_naturali_di_Giove" target="_blank">Giove</a> e <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Satelliti_naturali_di_Saturno" target="_blank">Saturno</a>, ma di sicuro
sono privi di vita intelligente, almeno come noi la intendiamo. Esseri
intelligenti, assumendo che esistano, devono vivere sui pianeti, o possibilmente
su <a href="http://astronomicamens.wordpress.com/2014/04/29/exomoons-could-host-alien-life-too/" target="_blank">lune molto grandi</a>. Questi corpi celesti sono al momento irraggiungibili e persino
utilizzando i nostri vettori più veloci impiegheremmo almeno 100 mila anni
prima di arrivare su <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Alfa_Centauri" target="_blank">Alfa Centauri, il sistema stellare più vicino</a>. L’idea che esseri di altri
mondi siano venuti sulla Terra, i cosiddetti UFO, non è considerata attendibile
dalla maggior parte della comunità scientifica, nonostante circa un terzo della
popolazione terrestre crede al fenomeno. La ricerca che viene condotta al SETI
non si basa sul concetto delle 'visite spaziali'. Il SETI cerca un segnale, una
portante, che arrivi ai radiotelescopi alla velocità della luce. Il <a href="http://www.seti.org/seti-institute/project/details/project-ozma-first-seti-search" target="_blank">primo esperimento del SETI</a> fu condotto negli anni ’60 quando l’astronomo <a href="http://www.seti.org/drake" target="_blank">Frank Drake</a>
utilizzò il <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Radiotelescopio_di_Green_Bank" target="_blank">vecchio radiotelescopio del National Radio Astronomy Observatory</a> nella West Virginia allo scopo di catturare un segnale radio che fosse trasmesso
volontariamente o per caso da una civiltà intelligente distante decine di
anni-luce dalla Terra. Drake utilizzò un ricevitore molto semplice ed esaminò
due sistemi stellari vicini. Gli esperimenti SETI successivi hanno fatto uso di
un sistema più sensibile e hanno permesso di espandere l’area di cielo da
esplorare. Il <a href="http://www.seti.org/seti-institute/project/details/project-phoenix" target="_blank">progetto Phoenix</a>, una survey di circa un migliaio di stelle,
utilizzava una serie di antenne dotate di ricevitori di segnali deboli e
permetteva di analizzare contemporaneamente 10 milioni di canali radio. Oggi,
il SETI utilizza un insieme di 42 antenne, noto come <a href="http://www.seti.org/ata" target="_blank">Allen Telescope Array(ATA)</a>, che sono situate nella California del Nord. Il vantaggio di un tale
strumento è che può essere utilizzato per un maggiore intervallo di tempo
rispetto ai precedenti esperimenti dove il tempo di utilizzo dei vari radiotelescopi veniva
suddiviso con quello dedicato per fare la consueta ricerca astronomica. L’altro
gruppo del SETI è localizzato presso l’Università della California a Berkeley.
Il loro progetto a lungo termine denominato <a href="https://seti.berkeley.edu/serendip" target="_blank">SERENDIP</a> utilizza <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Radiotelescopio_di_Arecibo" target="_blank">il grande paraboloide di Arecibo</a>, in Porto Rico. In questo caso il ricevitore esplora il cielo in
maniera casuale seguendo il puntamento del radiotelescopio che è dedicato alla
ricerca convenzionale. Nonostante ciò, nel corso di diversi anni, questo metodo del tutto casuale ha permesso finora di esplorare un terzo del cielo osservabile. Il ricevitore può
monitorare simultaneamente più di 100 milioni di canali radio e data l’enorme
mole di dati che esso produce, alcuni di essi sono stati resi pubblici per
essere analizzati da singoli utenti con il proprio computer da casa
(<a href="http://setiathome.ssl.berkeley.edu/" target="_blank">SETI@home</a>). Approssimativamente, ad oggi sono circa 10 milioni gli utenti che
hanno scaricato il programma che utilizza il salva schermo del PC per elaborare l’analisi
dei dati. L’altro programma SETI a tempo pieno viene condotto da un gruppo
dell’Università di Bologna presso l’<a href="http://www.med.ira.inaf.it/" target="_blank">Osservatorio Radioastronomico di Medicina</a>.
Storicamente, la ricerca dei segnali radio del programma SETI ha preceduto un
altro esperimento che cerca, invece, brevi impulsi di luce (<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Laser" target="_blank">laser</a>) ed è noto
come <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/SETI#Esperimenti_SETI_ottici" target="_blank">SETI ottico</a>. Ad ogni modo, le <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Onda_radio" target="_blank">onde radio</a> rappresentano la tecnica
migliore per stabilire un eventuale contatto con qualche civiltà intelligente
dato che l’energia richiesta per inviare un <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Bit" target="_blank">bit</a> di informazione verso un altro
sistema stellare è inferiore rispetto a quella richiesta da altri metodi e perciò sembra
plausibile a prescindere da qualsiasi altra tecnica che eventuali intelligenze possano utilizzare per le comunicazioni interstellari. Per fare una analogia, la ruota è una antica
invenzione ma l’uso che ne facciamo vale ancora oggi e lo sarà per sempre. Gli
esperimenti radio del SETI non hanno ancora rivelato un segnale che sia
effettivamente di origine extraterrestre. Alcuni, sia appartenenti alla
comunità scientifica e non, ritengono che la mancanza di un contatto sia il
frutto del fatto che non esistano altri esseri intelligenti là fuori, un concetto noto come <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Paradosso_di_Fermi" target="_blank">paradosso di Fermi</a>. Ora,
mentre ciò potrebbe essere confortante per quelli che preferiscono pensare che
la nostra specie sia l’unica, certamente non è una conclusione soddisfacente. È
anche vero che la nostra esplorazione pluridecennale dello spazio rimane un
tentativo e di fatto finora abbiamo potuto analizzare poco più di un migliaio
di sistemi stellari. Nella Via Lattea ci sono centinaia di miliardi di stelle e
di conseguenza è un po’ come esplorare la mega fauna africana quando invece
siamo ancora al livello di un quartiere di città. Sebbene non sappiamo che tipo
di segnale potrà produrre una civiltà aliena, le stime più conservative
suggeriscono che per trovare una trasmissione che provi l’esistenza di
intelligenze extraterrestri occorrerà esplorare almeno, se non più, un milione
di sistemi stellari. Ciò si potrà nel futuro immediato grazie anche allo
sviluppo dell’elettronica digitale. E non è nemmeno irragionevole pensare che gli
scienziati potranno rivelare un segnale di origine extraterrestre nel giro di
un ventennio o forse meno, assumendo che esisteranno le risorse per portare
avanti la ricerca. Trovare fondi per il SETI è sempre stato problematico. Il
programma più ambizioso, quello pianificato dalla NASA negli anni ’80 e ’90,
iniziò a stento le osservazioni per poi essere <a href="http://history.nasa.gov/garber.pdf" target="_blank">cancellato dal Congresso americano verso la fine del 1993</a>. Da allora, il SETI negli Stati Uniti è andato avanti
tramite fondi di privati o è stato in parte incluso per caso in qualche
programma di ricerca universitario. In più, se contiamo quante persone sono
dedicate oggi alla ricerca SETI, almeno negli Stati Uniti, si trova un numero pari a poco più di una dozzina.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Evoluzione del SETI radio<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="http://archive.seti.org/archive-ata-gallery/images/medium/ATA_pix2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="http://archive.seti.org/archive-ata-gallery/images/medium/ATA_pix2.jpg" height="212" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Allen Telescope Array. Credit: SETI Institute</td></tr>
</tbody></table>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Oggi,
gli esperimenti del programma SETI radio sono circa 100 trilioni di volte più
efficienti rispetto ai primi esperimenti che furono realizzati negli anni ’60,
grazie soprattutto alla velocità, alla sensibilità e all’intervallo di
frequenze radio analizzate. Lo sviluppo sempre più rapido sia dell’elettronica
analogica che di quella digitale ha permesso di accelerare le capacità
esplorative del SETI. Per dare un esempio, nel 1980 i ricevitori erano in grado
di monitorare 10 mila canali radio simultaneamente mentre oggi vengono
analizzati fino a 10-100 milioni di canali con un incremento di un fattore
mille in termini di velocità. Questo parametro è essenziale per ottenere
risultati positivi. Come detto in precedenza, stime molto conservative
suggeriscono che sia necessario “ascoltare” almeno un milione di sistemi stellari per riuscire
a catturare un segnale di tipo intelligente. Una tecnologia digitale a basso
costo, che può essere tradotta in termini di una migliore potenza di calcolo,
porta immediatamente a ricevitori con più canali il che vuol dire che si
richiede meno tempo per esplorare tutte le frequenze interessanti per un dato sistema
che analizza il SETI. Nel caso di un insieme di antenne, un sistema di calcolo di
basso costo può aumentare la velocità delle osservazioni incrementando il
numero di sistemi stellari analizzati simultaneamente. Un esempio, attualmente
ATA è in grado di esaminare tre sistemi stellari alla volta. Ma questo numero
potrebbe essere portato a qualche centinaia o migliaia utilizzando una maggiore potenza di
calcolo e contestualmente aumentando la velocità esplorativa.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Risorse attuali e future<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Abbiamo
detto in precedenza che oggi le risorse del SETI radio sono minime, basti
pensare che gli scienziati e gli ingegneri dedicati a tempo pieno alla ricerca sono poco più di una dozzina. Nel 1992, quando la NASA lanciò il
programma SETI, l’investimento annuale fu di 10 milioni di dollari, equivalente
ad un millesimo dell’investimento dell’agenzia spaziale americana. Questo
finanziamento iniziale permise di supportare una serie di esperimenti per due
tipi di osservazioni, ossia due survey del cielo, una a bassa e l’altra ad
elevata sensibilità, che ebbero lo scopo di analizzare un migliaio di stelle
più vicine alla Terra. Il numero di ricercatori coinvolti nel
programma fu all’epoca cinque volte maggiore rispetto a quello attuale. I fondi
dedicati a tutti gli esperimenti SETI negli Stati Uniti sono ora circa il 20
percento rispetto a quelli iniziali della NASA e provengono sia da donazioni
private o da attività di ricerca presso l’Università della California. Ciò
rappresenta un livello inadeguato per mantenere in essere il programma di
ricerca. È probabile che senza investimenti, la ricerca SETI americana possa
essere sorpassata da altri progetti che stanno emergendo in Asia e in Europa,
come ad esempio <a href="https://www.skatelescope.org/" target="_blank">SKA (Square Kilometer Array)</a> che sarà operativo a pieno regime
tra qualche decennio. Ribadiamo ancora che SETI è sinonimo di esplorazione e come tutte le
esplorazioni non sappiamo cosa troveremo, anche se sarà altrettanto possibile
che non troveremo nulla. Ma se non cercheremo, le possibilità di successo saranno di altri. Se arriverà quel giorno, la prima evidenza di non
essere soli nell’Universo sarà ricordata dai nostri discendenti come la più
profonda e la più significativa di tutta la storia del genere umano, come un
punto di svolta, insomma come un evento epocale. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">L’interesse del pubblico<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="http://mail.colonial.net/~hkaiter/astronomyimages09/saganjoditele.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="http://mail.colonial.net/~hkaiter/astronomyimages09/saganjoditele.jpg" height="252" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Una scena dal film "Contact" di Robert Zemeckis</td></tr>
</tbody></table>
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">L’idea dell’esistenza di civiltà extraterrestri ha un enorme impatto mediatico nel pubblico come nessun altro programma di ricerca della scienza moderna.
Ricordiamo ad esempio i due grandi enigmi della cosmologia, la <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Materia_oscura" target="_blank">materia scura</a> e
l’<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Energia_oscura" target="_blank">energia scura</a>, di cui non sappiamo ancora nulla sulla loro origine e natura (vedasi <a href="http://www.ibs.it/ebook/Ruscica-Corrado/Enigmi-astrofisici/9788878691100.html" target="_blank">Enigmi Astrofisici</a>). Nel
2012, la <a href="http://astronomicamens.wordpress.com/2013/03/07/quella-particella-che-tanto-assomiglia-al-bosone-di-higgs/" target="_blank">scoperta di una particella che tanto “assomiglia” al bosone di Higgs</a>
fu un po’ difficile da comprendere, se non per coloro che hanno un livello
avanzato di conoscenze nel campo della fisica. L’idea della vita nello spazio
“contamina”, per così dire, il senso comune attraverso la rappresentazione di creature e mostri che
piovono dai cieli come li vediamo spesso nei film di fantascienza. In più,
c’è da dire che la tecnica del SETI, anche se complessa, è semplice in linea di
principio. Il <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Contact_(romanzo)" target="_blank">romanzo di Carl Sagan, “Contact”</a>, ebbe una notevole popolarità e
trasmise bene il concetto scientifico che sta alla base della ricerca SETI. In
altre parole, SETI è una avventura dove tutti sono coinvolti,
in particolare gli studenti più giovani che si avvicinano all’astronomia, alla biologia
o alle scienze planetarie. Anche se il SETI fallirà nei prossimi anni,
rappresenterà comunque un grande bene che avrà lo scopo di stimolare le nuove
generazioni al fine di sviluppare nuovi metodi e tecniche di ricerca. Il nostro
interesse per gli “alieni”, che potremmo paragonare a quello che i giovani
hanno per i dinosauri, potrebbe derivare dal punto di vista della
sopravvivenza. In altre parole, potremmo immaginare gli extraterrestri come quella tribù
sconosciuta che sta oltre la collina, potenziali concorrenti o compagni, ma in
ogni caso qualcuno che avremmo il piacere di conoscere per saperne di più. È
anche vero, però, che a volte il programma SETI genera delle provocazioni dato
che il suo obiettivo, cioè trovare “gli alieni”, viene deriso e spesso
ridicolizzato, una conseguenza del fatto che si confonde scienza e
fantascienza. Quello che è certo è che man mano che i nostri telescopi
continuano ad esplorare il cosmo, diveniamo sempre più consapevoli che la Terra
è solo uno tra 100 mila miliardi di miliardi di pianeti che si muovono nelle
immense vastità dello spazio. Alla fine, non sarebbe logico non domandarsi chi
c’è là fuori.
</span></span><br />
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span>
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;"><i>Nel seguente video, <a href="http://www.seti.org/users/seth-shostak" target="_blank">Seth Shostak</a> e <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Dan_Werthimer" target="_blank">Dan Werthimer</a> del SETI spiegano i metodi scientifici e le tecniche utilizzate per la ricerca di civiltà intelligenti.</i></span></span><br />
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span>
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><object align="middle" classid="clsid:d27cdb6eae6d-11cf-96b8-444553540000" codebase="http://fpdownload.macromedia.com/pub/shockwave/cabs/flash/swflash.cab#version=9,0,0,0" height="500" id="cspan-video-player" width="410"><param name='allowScriptAccess' value='true'/><param name='movie' value='http://static.c-span.org/assets/swf/CSPANPlayer.1399044287.swf?pid=319504-1'/><param name='quality' value='high'/><param name='bgcolor' value='#ffffff'/><param name='allowFullScreen' value='true'/><param name='flashvars' value='system=http://www.c-span.org/common/services/flashXml.php?programid=347558&style=full&version=2014-01-23'/><embed name='cspan-video-player' src='http://static.c-span.org/assets/swf/CSPANPlayer.1399044287.swf?pid=319504-1' allowScriptAccess='always' bgcolor='#ffffff' quality='high' allowFullScreen='true' type='application/x-shockwave-flash' pluginspage='http://www.macromedia.com/go/getflashplayer' flashvars='system=http://www.c-span.org/common/services/flashXml.php?programid=347558&style=full&version=2014-01-23' align='middle' height='500' width='410'></embed></object>
<span style="font-size: 10.5pt;"> </span></span></span><br />
<br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 40px;">Astrobiology Web: </span><span style="background-color: white; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 32px; text-align: left;"><a href="http://astrobiology.com/2014/05/seth-shostak-using-radio-in-the-search-for-extraterrestrial-intelligence.html" target="_blank">Using Radio in the Search for Extraterrestrial Intelligence</a></span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-size: x-small; line-height: 16.100000381469727px;">SETI: <a href="http://www.seti.org/BiPiSci/ANewHopeForLifeInSpace" target="_blank">A new hope for life in space</a></span></span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;"><br /></span>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">SETI: <a href="http://www.seti.org/May-21-2014-Science-Space-Tech-Subcommittee-Hearing-SETI" target="_blank">Seth Shostak testified before the Science, Space and Technology Subcommittee</a></span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 40px;">Next Big Future:</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small; font-style: italic; line-height: 40px;"> </span><a href="http://nextbigfuture.com/2014/06/seti-will-likely-find-intelligent-life.html" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 40px;" target="_blank"><span style="font-size: x-small;">SETI will likely find intelligent life in the next twenty years</span></a><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">Daily Mail: <span style="background-color: white; text-align: left;"><a href="http://www.dailymail.co.uk/sciencetech/article-2636195/We-alien-life-20-years-Leading-astronomers-say-bizarre-universe.html" target="_blank">We will find alien life in 20 years</a></span></span><br />
<div>
<br /></div>
</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/08305106977611057570noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7973467142325335034.post-19507463857252083042013-06-26T11:22:00.000-07:002014-12-30T06:11:13.284-08:00L’Universo potrebbe non essere ‘naturale’<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ad una conferenza tenutasi lo
scorso mese di Aprile presso la <a href="http://www.columbia.edu/" target="_blank">Columbia University</a>, il fisico teorico <a href="http://www.ias.edu/people/faculty-and-emeriti/arkani-hamed/" target="_blank">Nima Arkani-Hamed dell’Institute for Advanced Study di Princeton</a>, ha discusso alcuni recenti
risultati dalle implicazioni contraddittorie relativi agli esperimenti condotti
al <a href="http://home.web.cern.ch/about/accelerators/large-hadron-collider" target="_blank">Large Hadron Collider (LHC)</a>. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"></span></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="font-size: 13px; text-align: center;">
<br /></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://www.quantamagazine.org/wp-content/uploads/2013/05/fork-in-road_web.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="273" src="https://www.quantamagazine.org/wp-content/uploads/2013/05/fork-in-road_web.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">L'Universo in cui viviamo è naturale o facciamo parte di una bolla speciale che fa parte di un multiverso?<br />
Gli esperimenti condotti all'LHC sembrerebbero favorire la seconda ipotesi.<br />
Credit: Giovanni Villadoro</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><i><span style="line-height: 115%;">“L’Universo è inevitabile, l’Universo è impossibile”, </span></i><span style="line-height: 115%;">ha commentato Arkani-Hamed. La spettacolare
scoperta di una particella le cui proprietà sembrano essere consistenti con
quelle del <a href="http://astronomicamens.wordpress.com/tag/bosone-di-higgs/" target="_blank">bosone di Higgs</a>, così come è stato annunciato dai fisici del <a href="http://home.web.cern.ch/" target="_blank">CERN</a> lo
scorso 4 Luglio 2012 (<a href="http://astronomicamens.wordpress.com/2012/07/04/lhc-osservata-una-nuova-particella-consistente-con-il-bosone-di-higgs/" target="_blank">post1</a>; <a href="http://astronomicamens.wordpress.com/2013/03/17/habemus-higgs/" target="_blank">post2</a>), ha confermato una vecchia teoria introdotta negli
anni ’60 da <a href="http://www.ph.ed.ac.uk/higgs/" target="_blank">Peter Higgs</a> che spiegherebbe il meccanismo mediante il quale le
particelle elementari acquisiscono la massa, fino a determinare la formazione
di strutture complesse, come le stelle e le galassie, inclusa la vita stessa. <i>“Il fatto che abbiamo osservato questa
particella nel punto in cui ce l’aspettavamo è un trionfo della teoria e degli
esperimenti ed è inoltre una indicazione del fatto che le leggi della fisica
funzionano”</i>, dice Arkani-Hamed.<i> </i>Nonostante ciò, prima di capire quale fosse la massa del
bosone di Higgs, gli esperimenti condotti all’LHC hanno prodotto tutta una
serie di altre particelle che non si sono dimostrate essere la famigerata “particella
di dio”. Con la scoperta di una sola particella, gli esperimenti del grande
collisore adronico hanno permesso di approfondire uno dei grandi problemi della
fisica che è stato dibattuto per decenni. Le equazioni sembrano quasi ‘catturare’
l’essenza della realtà con grande accuratezza e prevedono in maniera corretta non
solo i valori delle <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Costante_fisica" target="_blank">costanti fisiche della natura</a> ma anche l’esistenza di particelle
come il bosone di Higgs. Tuttavia, i valori di alcune costanti fondamentali, come ad
esempio la massa del bosone di Higgs, appaiono ancora estremamente differenti da
quelli previsti dalle equazioni al punto tale che non dovrebbero permettere l’esistenza
della stessa vita. Ma qualche scienziato ritiene che l’Universo sia strutturato
perchè esista qualche strano e sconosciuto meccanismo di ‘aggiustamento’ dei
valori delle costanti. Il concetto di ‘naturalità’ potrebbe essere in pericolo,
cioè il sogno di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Albert_Einstein" target="_blank">Albert Einstein</a> secondo cui le leggi della natura sono
sublimi, inevitabili e autoconsistenti. Senza questa ipotesi, i fisici si
troverebbero davanti ad una difficile prospettiva per cui le leggi della fisica
sarebbero una sorta di insieme di fluttuazioni casuali, arbitrarie e caotiche
presenti nel tessuto dello <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Spaziotempo" target="_blank">spaziotempo</a>. In altre parole, anche se non tutti
sono d’accordo, Arkani-Hamed e altri fisici di fama mondiale stanno prendendo
sul serio la possibilità che il nostro Universo potrebbe non essere ‘naturale’.
<i>“Dieci o venti anni fa, ero convinto del
concetto di naturalità”, </i>dice <a href="http://www.ias.edu/people/faculty-and-emeriti/seiberg" target="_blank">Nathan Seiberg dell’Institute for AdvancedStudy di Princeton</a>, <i>“ma oggi non ne sono
certo. La mia speranza è che esista qualcosa su cui non abbiamo ancora
riflettuto, forse qualche altro meccanismo che potrebbe spiegarci tutte queste
cose. Ma non vedo quale potrebbe essere”. </i>I fisici ritengono che se l’Universo
non è fisicamente naturale, cioè è caratterizzato da alcune costanti fisiche fondamentali
che sono estremamente improbabili per permettere forme di vita, allora deve
esistere un numero elevato di altri universi per far sì che possa esistere
anche il nostro, ritenuto improbabile. Altrimenti la domanda è: perché il
nostro Universo dovrebbe essere tale da renderci così fortunati? L’idea di una ‘non
naturalità’ dovrebbe rafforzare l’ipotesi del <a href="http://astronomicamens.wordpress.com/tag/multiverso/" target="_blank">multiverso</a> secondo la quale il
nostro Universo sarebbe uno dei tanti infiniti ed inaccessibili ‘universi-bolla’.
Secondo la <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_delle_stringhe" target="_blank">teoria delle stringhe</a>, ce ne sarebbero 10<sup>500</sup> e in
qualcuno di essi i valori delle costanti fisiche fondamentali che osserviamo potrebbero
essere dovuti a qualche meccanismo di ‘autocancellazione’. In base a queste
ipotesi, niente di questo Universo risulta inevitabile e ciò lo rende
imprevedibile. <a href="http://www.sns.ias.edu/~witten/" target="_blank">Edward Witten, un famoso teorico delle stringhe che lavorapresso l’Institute for Advanced Study di Princeton</a>, dice: <i>“Sarei personalmente felice se il concetto di multiverso non fosse
esatto, in parte perché esso limita virtualmente la nostra capacità di
comprendere le leggi della fisica. Ma nessuno di noi è stato ‘consultato’
quando è stato creato l’Universo”. </i>Secondo <a href="http://www.physics.berkeley.edu/research/faculty/bousso.html" target="_blank">Raphael Bousso, un fisico dellaUniversity of California a Berkeley</a>, molti scienziati odiano il concetto di
multiverso. <i>“Non credo”, </i>dice, <i>“che dobbiamo analizzare questi concetti dal
punto di vista emotivo. Si tratta di una possibilità logica che sta prendendo
sempre più piede grazie alla mancanza di un principio di naturalità così come
sembra emergere dagli esperimenti condotti all’LHC”. </i>Nel 2015, quando sarà
nuovamente operativo, ciò che LHC permetterà di scoprire, o di non scoprire, favorirà
una tra due possibilità: 1) o viviamo in un Universo estremamente complicato e a sé
stante, oppure 2) facciamo parte di un ‘universo-bolla’ speciale che fa parte
di un multiverso. Forse, tutto questo lo scopriremo tra cinque o dieci anni,
quando i fisici delle particelle saranno in grado di elaborare e realizzare esperimenti di alta energia sempre più sofisticati.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Coincidenza cosmica <o:p></o:p></span></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Per tutto il XX secolo, la
convinzione che le leggi della natura siano armoniose, e perciò ‘intrinsecamente
naturali’, si è dimostrata una guida attendibile verso la ricerca della verità.
Secondo Arkani-Hamed, le costanti della natura, cioè la massa delle particelle
e altre proprietà fissate che caratterizzano il nostro Universo, emergono
direttamente dalle leggi della fisica anziché essere il risultato improbabile
di eventuali autocancellazioni. Ogni qualvolta una costante appariva ‘sintonizzata’
sul suo valore naturale, un pò come se fosse stata magicamente modificata per
tener conto di determinati effetti, i fisici hanno sempre sospettato che
mancasse qualcosa. Avrebbero cercato ed inevitabilmente trovato qualche
particella o qualche caratteristica che materialmente modificasse la costante,
ovviando così ad un eventuale meccanismo di autocancellazione. Ma questa volta,
le proprietà di autoregolamentazione, per così dire, dell’Universo sembrano
fallire. Secondo i dati prodotti dagli esperimenti di LHC, il bosone di Higgs
ha una massa di 126 GeV e le interazioni con le altre particelle note
dovrebbero sommare circa 10<sup>18</sup> GeV alla sua massa. Ciò implica che
esiste un meccanismo che determina una cancellazione quasi perfetta da portare
la cosiddetta ‘massa nuda’ del bosone di Higgs al valore di 126 GeV. Ora, i
fisici sono passati attraverso tre generazioni di acceleratori alla ricerca di
nuove particelle previste dalla <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Supersimmetria" target="_blank">supersimmetria</a>, una teoria estensione del
<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Modello_standard" target="_blank">modello standard delle particelle elementari</a>, che dovrebbe portare la massa del
bosone di Higgs al valore osservato, così come l’interazione con le altre
particelle ne determinerebbe l’incremento della sua massa. Ma finora, essi sono
rimasti a mani vuote. LHC dovrebbe esplorare scale di energie ancora più
elevate ma anche se si troveranno nuove particelle, esse saranno quasi
certamente troppo pesanti per influenzare la massa del bosone di Higgs nel modo
appropriato che risulterà perciò 10 o 100 volte ancora troppo leggero. I
teorici, però, non sono d’accordo sul fatto che ciò possa essere vero in un
Universo naturale e a sé stante. <i>“Forse
succede che la massa del bosone di Higgs venga leggermente modificata”, </i>dice
<a href="http://www.physics.harvard.edu/people/facpages/randall.html" target="_blank">Lisa Randall dell’Harvard University</a>. Tuttavia, Arkani-Hamed è convinto che
modificare di poco la massa del bosone di Higgs è come dire avere una sorta di ‘particella
incinta’, non esiste proprio. Se poi non si troveranno nuove particelle e la massa
del bosone di Higgs rimane modificata per un valore estremamente elevato, cioè
di 18 ordini di grandezza, allora l’ipotesi del multiverso tornerà alla ribalta
a grandi passi. <i>“Ciò non vuol dire che l’ipotesi
del multiverso sia corretta”, </i>spiega Bousso, <i>“ma implica che sia l’unica ipotesi in gioco”. </i>Alcuni fisici, come
<a href="http://home.fnal.gov/~lykken/Home.html" target="_blank">Joe Lykken del Fermi National Accelerator Laboratory</a> e <a href="http://www.df.unipi.it/users/ALESSANDRO-STRUMIA" target="_blank">Alessandro Strumia dell’Universitàdi Pisa</a>, parlano di una terza ipotesi. Essi ritengono che bisognerebbe
dissociare gli effetti che hanno le altre particelle sulla massa del bosone di
Higgs per cui quando essa viene determinata in maniera differente, essa dovrebbe apparire in maniera naturale. Questo concetto di ‘<a href="http://arxiv.org/abs/1303.7244">naturalità modificata</a>’ viene meno
quando si considerano nei calcoli altre particelle, come quelle sconosciute
che costituiscono la <a href="http://astronomicamens.wordpress.com/tag/materia-scura/" target="_blank">materia scura</a>, anche se questo approccio poco ortodosso potrebbe
fornire altre idee. Ad ogni modo, l’idea di una naturalità modificata non può
risolvere un problema di naturalità ancora più grande: il fatto cioè che l’Universo
non venne inizialmente distrutto dalla sua stessa energia subito dopo il Big
Bang. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Un oscuro dilemma<o:p></o:p></span></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">L’<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Energia_del_vuoto" target="_blank">energia dello spazio vuoto</a>, nota
anche come energia del vuoto, <a href="http://astronomicamens.wordpress.com/tag/energia-scura/" target="_blank">energia scura</a> o <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Costante_cosmologica" target="_blank">costante cosmologica</a>, è
straordinariamente 120 ordini di grandezza più piccola rispetto al suo valore
naturale e non esiste alcuna teoria che può risolvere questo problema teorico
decisamente imbarazzante. È chiaro, però, che la costante cosmologica debba
essere enormemente ‘sintonizzata’ per prevenire un rapido collasso
gravitazionale di tutta la materia presente nell’Universo e quindi per
permettere alla vita stessa di esistere. Per spiegare questo concetto, negli
ultimi decenni si è fatta strada l’ipotesi del multiverso al punto da ricevere
una sua credibilità nel 1987 quando il Premio Nobel <a href="http://www.ph.utexas.edu/~weintech/weinberg.html" target="_blank">Steven Weinberg, oggiprofessore di fisica all’University of Austin in Texas</a>, calcolò che la costante
cosmologica del nostro Universo <a href="http://prl.aps.org/abstract/PRL/v59/i22/p2607_1">fosse attesa anche nell’ambito
dello scenario del multiverso</a>. Tra tutti i possibili universi capaci di
supportare la vita, quelli cioè che possono essere osservati e contemplati in
primo luogo, il nostro è tra quelli meno autoregolati. <i>“Se la costante cosmologica fosse più grande di quella osservata,
diciamo di un fattore 10, non avremmo galassie”, </i>spiega <a href="http://www.phy.tufts.edu/vilenkin.html" target="_blank">Alexander Vilenkin,un cosmologo di fama mondiale che lavora presso la Tufts University</a>. <i>“Viene difficile pensare come la vita
potrebbe esistere in questo tipo di universo”. </i>La maggior parte dei fisici
delle particelle speravano che si trovasse una spiegazione più plausibile del
problema relativo alla costante cosmologica. Ma nessuno ce l’ha. Ora, dicono i
fisici, il valore non naturale della massa del bosone di Higgs rende il
problema del valore non naturale della costante cosmologica ancora più
importante e significativo. Arkani-Hamed ritiene addirittura che i due problemi
siano correlati. <i>“Non abbiamo una ricetta
di base per comprendere il nostro Universo. È molto grande e contiene cose
molto grandi”. </i>Il concetto di multiverso divenne un argomento importante
nel 2000 quando Bousso e <a href="http://www.kitp.ucsb.edu/joep" target="_blank">Joe Polchinski, un fisico teorico dell’University ofCalifornia a Santa Barbara</a>, trovarono un meccanismo che dava luogo ad un
insieme di <a href="http://astronomicamens.wordpress.com/tag/universi-paralleli/" target="_blank">universi paralleli</a>. La teoria delle stringhe, una ipotetica ‘teoria
del tutto’ che si basa sull’esistenza di stringhe vibranti infinitesimali,
afferma che lo spaziotempo sia caratterizzato da 10 dimensioni, cioè le 3
dimensioni spaziali a cui siamo abituati più 1 dimensione temporale, e poi ci
sono 6 dimensioni extra arrotolate o compattificate in ogni punto dello
spaziotempo quadridimensionale. <a href="http://arxiv.org/pdf/hep-th/0004134.pdf">Bousso e Polchinski hanno
calcolato</a> che esistono circa 10<sup>500</sup> modi differenti con cui le 6
<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Dimensione_compattata#Dimensioni_extra_in_teoria_delle_stringhe" target="_blank">dimensioni extra</a> possono essere arrotolate nello spazio quadridimensionale
producendo così un insieme estremamente enorme di possibili universi. In altre
parole, qui non è richiesto il concetto di naturalità. Dunque, non esiste un
singolo universo, inevitabile e perfetto. <i>“I
fisici delle particelle, specialmente i teorici delle stringhe, avevano il
sogno di prevedere in maniera univoca le costanti della natura”, </i>dice
Bousso. <i>“Qualsiasi cosa dovrebbe saltar fuori
semplicemente dalla matematica e noi abbiamo detto: ‘Guardate, non può
succedere e c’è una ragione per cui non sia così. Stiamo pensando a tutto
questo nella maniera sbagliata’”.<o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Vita nel multiverso<o:p></o:p></span></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nello scenario del multiverso
secondo il modello di Bousso-Polchinski, il Big Bang rappresenta una
fluttuazione. Un ‘nodo’ compatto, a sei dimensioni, che forma una maglia nel
tessuto dello spaziotempo, improvvisamente prende forma, rilasciando energia
che dà luogo ad una ‘bolla’ di spazio e di tempo. La maggior parte degli
universi che vengono creati in questo modo sono densi di energia del vuoto.
Essi si possono espandere o collassare così rapidamente che la vita non può
esistere. Ma alcuni universi atipici, dove un processo di autocancellazione
improbabile determina un valore molto piccolo della costante cosmologica,
sarebbero come il nostro. In un <a href="http://arxiv.org/abs/1304.6407">articolo</a>
scritto da Bousso e dal collega <a href="http://www.physics.berkeley.edu/research/faculty/hall.html" target="_blank">Lawrence Hall della UC a Berkely</a>, gli autori
affermano che la massa del bosone di Higgs ha anche senso nello scenario del
multiverso. Essi scrivono che gli ‘universi-bolla’, che contengono abbastanza
materia visibile se confrontata con la materia scura tale da supportare forme
di vita, molto spesso possiedono particelle supersimmetriche le cui energie si
trovano al di la dei limiti attuali di LHC e una massa del bosone di Higgs
modificata. Allo stesso modo, <a href="http://arxiv.org/pdf/hep-ph/9707380v2.pdf">altri fisici mostrarono nel
1997</a> che se il bosone di Higgs fosse
5 volte più pesante, ciò eliminerebbe il processo della formazione degli atomi
rispetto all’idrogeno determinando per altre vie un universo senza vita. Nonostante
queste spiegazioni risultino ragionevoli, molti scienziati temono di non raccogliere
tanto dal concetto di multiverso. L’ipotesi degli universi paralleli non può
essere verificata e ancora peggio l’idea di un Universo non naturale resiste ad
ogni sua comprensione. <i>“Senza la
naturalità, perderemo la motivazione di cercare una nuova fisica”, </i>dice
<a href="http://www.ias.edu/people/cos/users/10613" target="_blank">Kfir Blum, un fisico dell’Institute for Advanced Study di Princeton</a>. <i>“Sappiamo che è lì ma non c’è alcun buon
motivo per cui la dovremmo trovare”. </i>Fa da eco l’idea di Randall: <i>“Mi piacerebbe che l’Universo fosse naturale”.<o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><i><br /></i></span></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Insomma, le teorie possono
svilupparsi ed evolvere. Dopo aver speso più di un decennio della sua vita
studiando l’ipotesi del multiverso, Arkani-Hamed oggi trova questa idea ancora
più plausibile, un modo cioè per comprendere come funziona il mondo che ci
circonda. Per concludere, il concetto di naturalità potrebbe farcela o potrebbe
costituire una falsa speranza, anche se in una porzione alquanto strana anche
se confortevole del multiverso.</span><span style="font-size: 20pt;"><o:p></o:p></span></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/08305106977611057570noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7973467142325335034.post-24113679985835939912013-03-16T09:24:00.000-07:002013-03-17T02:40:33.888-07:00È tempo di pensare ad una ‘nuova’ fisica?<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="background-color: white; background-position: initial initial; background-repeat: initial initial; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 10pt; line-height: 115%;">Qualche
secolo fa, gli scienziati andavano affermando che non ci fosse più nulla da
scoprire, un pensiero che venne ben presto superato quando agli inizi del XX
secolo vennero prima formulati i concetti base della teoria dei quanti, ad
opera di <u><a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Max_Planck" target="_blank">Max Planck</a></u>, e qualche decennio più tardi la teoria della
relatività generale, grazie al genio di <u><a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Albert_Einstein" target="_blank">Albert Einstein</a></u>. Oggi, dobbiamo
dire che tra i fisici non c’è più quell’arroganza anche perché la relatività ci
ha fornito un modello estremamente accurato dell’Universo che siamo in grado di
osservare. Nonostante ciò dobbiamo tener conto di tutta una serie di altri
modelli che tentano invece di spiegare quei fenomeni fisici “invisibili” che
rimangono ancora un mistero. </span>Di fatto, il sogno degli scienziati del XXI secolo
è quello di riconciliare i due pilastri fondamentali della fisica e cioè da un
lato la relatività generale e dall’altro la meccanica quantistica (vedasi <u><a href="http://www.ibs.it/ebook/Ruscica-Corrado/Idee-sull-universo/9788878690264.html" target="_blank">Idee sull’Universo</a></u>). Ma allora, è forse giunto il momento di introdurre un
cambiamento radicale a partire dalle questioni più fondamentali? Vedremo nei
seguenti paragrafi quali sono i temi fondamentali che i fisici stanno oggi
discutendo e quali potrebbero essere i passi successivi verso una comprensione
più profonda dei fenomeni naturali. </span><br />
<a name='more'></a></div>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"></span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">
<o:p></o:p></span>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white; background-position: initial initial; background-repeat: initial initial; font-family: Arial, sans-serif; font-size: 10pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="background-color: white; background-position: initial initial; background-repeat: initial initial; font-family: Arial, sans-serif; font-size: 10pt; line-height: 115%;">Il ‘linguaggio’ della natura</span></b><span style="background-color: white; background-position: initial initial; background-repeat: initial initial; font-family: Arial, sans-serif; font-size: 10pt; line-height: 115%;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="background-color: white; background-position: initial initial; background-repeat: initial initial; font-family: Arial, sans-serif; font-size: 10pt; line-height: 115%;"><br /></span></b></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://www.quantumdiaries.org/wp-content/uploads/2012/09/sm_lagrangian_UCDavis.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://www.quantumdiaries.org/wp-content/uploads/2012/09/sm_lagrangian_UCDavis.png" width="296" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="background-color: white; background-position: initial initial; background-repeat: initial initial; font-family: Arial, sans-serif; font-size: 10pt; line-height: 115%;">Cos’è
che ci rende sicuri sul fatto che il linguaggio della fisica, cioè la
matematica, possa permetterci di rivelare come funziona il mondo che ci
circonda? Verso la fine del XIX secolo, quando <u><a href="http://en.wikipedia.org/wiki/James_Clerk_Maxwell" target="_blank">James Clerk Maxwell</a></u> aveva
capito che la luce era in definitiva un’onda elettromagnetica, le sue equazioni
mostravano che la velocità della luce doveva essere dell’ordine di 300 mila
chilometri al secondo. Questo valore era vicino a quello che era stato misurato
in seguito agli esperimenti ma le equazioni di Maxwell lasciavano una domanda
aperta: ossia una velocità della luce relativa a che cosa? Inizialmente, gli
scienziati spostarono il problema assumendo che esistesse una sostanza
invisibile che permeasse l’intero spazio, l’etere, e che costituisse una sorta
di sistema di riferimento ideale. Ma fu Einstein che agli inizi del XX secolo
affermò che gli scienziati dovevano prendere in maniera più seria le equazioni
di Maxwell. Se le equazioni di Maxwell non si riferivano ad un sistema di
riferimento in quiete, allora non c’era più bisogno di assumere un sistema di
riferimento ideale. La velocità della luce, così come forzatamente dichiarò lo
stesso Einstein, è sempre pari a 300 mila chilometri al secondo rispetto a
qualsiasi cosa. Naturalmente, non ci soffermeremo sui dettagli che sono
comunque di interesse storico ma riportiamo questo episodio per spiegare meglio
un punto. In altre parole, tutti avevano accesso alle equazioni matematiche di
Maxwell ma ci volle il genio di Einstein per comprenderne la loro essenza. La
sua assunzione sul fatto che la luce abbia una velocità assoluta gli permise di
arrivare per primo alla teoria della relatività speciale superando così secoli
di pensiero in merito ai concetti di spazio, tempo, materia ed energia.
Successivamente, Einstein arrivò a formulare la teoria della relatività
generale, cioè la teoria della gravità che sta alla base del nostro modello di
Universo. La storia è il primo esempio di ciò che il </span><a href="http://www.nobelprize.org/nobel_prizes/physics/laureates/1979/"><span style="background-color: white; background-position: initial initial; background-repeat: initial initial; line-height: 115%;">Premio Nobel Steven Weinberg</span></a><span style="background-color: white; background-position: initial initial; background-repeat: initial initial; font-family: Arial, sans-serif; font-size: 10pt; line-height: 115%;"> voleva dire quando egli scrisse: <i>“Il nostro errore non è quello di prendere
molto sul serio le nostre teorie ma quello di non prenderle abbastanza
seriamente”</i>. Weinberg si stava riferendo ad un'altra grande scoperta della
cosmologia e cioè alla previsione di <u><a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Ralph_Asher_Alpher" target="_blank">Ralph Alpher</a></u>, <u><a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Robert_Herman" target="_blank">Robert Herman</a></u>
e <u><a href="http://en.wikipedia.org/wiki/George_Gamow" target="_blank">George Gamow</a></u> </span><span style="background-color: white; line-height: 115%;">sull’esistenza della
radiazione cosmica di fondo, cioè l’eco della grande
esplosione iniziale dovuta al Big Bang, una diretta conseguenza della
relatività generale e della termodinamica. In realtà, si parlò tanto di questa
radiazione fossile solamente dopo che fu scoperta teoricamente una seconda
volta quando venne rivelata, circa dodici anni dopo, in maniera del tutto casuale.
Ma per essere sicuri, l’affermazione di Weinberg deve essere utilizzata con cautela.
Nonostante la sua scrivania abbia ospitato, per così dire, una grande quantità
di articoli e libri di matematica che sono stati fondamentali per la
comprensione della realtà, in assenza di chiari risultati sperimentali il fatto
di decidere quale matematica dovrebbe essere presa seriamente in considerazione
costituisce una forma d’arte tanto quanto è la scienza. Einstein fu proprio il
maestro di quell’arte. Infatti, nel decennio successivo al 1905, il cosiddetto <i>annus mirabilis</i> quando pubblicò la
teoria della relatività speciale, egli divenne molto familiare con diverse
discipline della matematica che a quell’epoca la maggior parte dei fisici
ignorava o conosceva poco. Man mano che andava verso la formulazione finale
della relatività generale, Einstein dimostrava una rara capacità di manipolare,
in un certo senso, complesse equazioni mantenendo sempre solido il suo intuito.
Quando egli ricevette la notizia relativa alle osservazioni dell’eclisse solare
del 1919 che confermavano le previsioni della sua teoria, e cioè che i raggi
luminosi di una stella seguono traiettorie curve in prossimità di un campo
gravitazionale, egli fece notare che sarebbe stato meglio se i risultati fossero
stati diversi: in altre parole Einstein “<i>sarebbe
stato dispiaciuto con Dio dato che la sua teoria si dimostrava corretta</i>”.
Immaginatevi come avrebbe reagito veramente Einstein se i risultati fossero
stati effettivamente, invece, diversi. Insomma, secoli di scoperte hanno reso
alquanto evidente il fatto che la matematica abbia permesso di rivelare i
segreti più nascosti del mondo che ci circonda. Tuttavia, ci fu un limite al
percorso che stava intraprendendo Einstein nel seguire la “sua” matematica.
Egli non prese “abbastanza seriamente” la teoria della relatività generale per
studiare, ad esempio, il comportamento dei buchi neri o l’espansione
dell’Universo. Furono altri scienziati che, invece, analizzarono le equazioni
di Einstein molto più scrupolosamente di quanto non fece lo scienziato tedesco
e le loro conquiste teoriche hanno permesso in seguito di costruire il corso
della cosmologia per quasi un secolo. Negli ultimi vent’anni della sua vita,
Einstein si concentrò sulla ricerca di una teoria unificata della fisica.
Guardando indietro col senno di poi, si può concludere che durante questi anni
egli fu fortemente preso dal desiderio che stava costantemente cercando. Anche
Einstein a volte prese la decisione sbagliata in merito alla scelta di
equazioni matematiche che fossero più appropriate rispetto ad altre. La
meccanica quantistica è un altro esempio di questo dilemma. Per molti anni
l’equazione di </span><span style="line-height: 115%;"><a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Erwin_Schr%C3%B6dinger" target="_blank">Erwin Schrödinger</a></span><span style="line-height: 115%;">, che elaborò
nel 1926 per descrivere l’evoluzione quantistica delle onde, venne vista solo
nel dominio delle piccole cose: cioè molecole, atomi e particelle. Ma nel 1957,
<u><a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Hugh_Everett_III" target="_blank">Hugh Everett</a></u> fece da eco ad Einstein: ossia, prendere sul serio la
matematica. Everett affermava che l’equazione di Schrödinger poteva essere
applicata a qualsiasi cosa dato che tutte le cose materiali, a parte la
dimensione, sono fatte di molecole, atomi e particelle subatomiche che evolvono
secondo regole probabilistiche. Seguendo questa logica emerse che non sono proprio
gli esperimenti che evolvono in questo modo ma anche coloro che realizzano gli
esperimenti. Ciò portò Everett alla sua idea di "multiverso quantistico" in cui
tutte le possibili storie accadono in un insieme numeroso di universi
paralleli. Più di 50 anni dopo, non sappiamo ancora se un tale approccio sia
giusto oppure no. Ma se prendiamo la matematica della teoria dei quanti sul
serio, diciamo molto sul serio, Everett potrebbe aver fatto una delle scoperete
più importanti di tutta l’esplorazione scientifica. In altre parole, l’idea del
multiverso nelle sue forme più varie è diventata una caratteristica essenziale
di quella parte della matematica che presuppone di darci una comprensione molto
più profonda della realtà. Ciò implica che nella sua vera essenza, cioè il “multiverso
ultimo”, ogni possibile universo permesso dalla matematica corrisponde ad un
universo reale. In maniera estrema possiamo anche affermare che la matematica
“è” realtà. Se qualche parte della matematica o tutta la matematica che ci
porta a pensare all’esistenza di universi paralleli si dimostra rilevante ai
fini della realtà, allora la famosa domanda di Einstein, e cioè se le proprietà
fisiche dell’Universo sono implicate dal fatto che semplicemente non può
esistere un altro universo, potrebbe avere una risposta definitiva: ossia no.
Insomma, il nostro Universo non è l’unico possibile. Le sue proprietà
potrebbero essere differenti così come le proprietà di altri “universi membri”
potranno essere altrettanto diverse. Se questo è il caso, cercare una spiegazione
fondamentale sul perchè certe cose sono così come sono potrebbe essere
triviale. Bisognerebbe inserire delle probabilità statistiche nella nostra
comprensione del cosmo che potrebbe essere estremamente immenso. Non sappiamo
con certezza se ciò è il modo corretto attraverso il quale funzionano le cose e
certamente nessuno lo sa. È solo grazie alla ricerca di teorie razionali,
incluse anche quelle che ci possono portare verso strani domini, che abbiamo
una possibilità di rivelare i segreti più nascosti della realtà, ma solo se
prenderemo sul serio la matematica.</span><span style="background-color: white; background-position: initial initial; background-repeat: initial initial; font-family: Arial, sans-serif; font-size: 10pt; line-height: 115%;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 115%;">Il ‘triumvirato ombra’<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 115%;"><br /></span></b></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://www.city-data.com/forum/attachments/space/51075d1255725430-dark-flow-joins-dark-matter-dark-universe02.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><img border="0" height="209" src="http://www.city-data.com/forum/attachments/space/51075d1255725430-dark-flow-joins-dark-matter-dark-universe02.jpg" width="320" /></span></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 115%;">Quando alziamo lo sguardo al cielo di notte e ammiriamo le stelle
a prima vista ci sembra di guardare l’intero Universo. Ma per i cosmologi si
tratta solo di un puntino insignificante di quello che è in realtà lo spazio
cosmico. Rispetto alla materia ordinaria, di cui sono fatte le stelle o le
galassie che rappresentano la materia visibile, esistono altre due entità
elusive: la materia scura e l’energia scura. Esse rappresentano i due enigmi
più bizzarri della moderna cosmologia, non sappiamo che cosa sono tranne per il
fatto che permeano l’intero Universo. Queste due “gemelle scure” stanno
sfidando gli scienziati che non hanno più certezze sulla validità del modello
cosmologico standard costruito nel corso del secolo scorso per descrivere
l’evoluzione dell’Universo. Ma non solo da sole. Il modello del Big Bang
afferma che lo spazio prese forma una piccolissima frazione di secondo
immediatamente dopo la nascita dell’Universo a causa di una terza entità
sconosciuta che viene chiamata inflatone. Ciò potrebbe implicare l’esistenza di
un multiverso, formato da infiniti universi che non possiamo vedere, in modo tale
da costruire dei modelli appropriati per descrivere il funzionamento del nostro
Universo. Ma è davvero così? La cosmologia standard si basa sulla teoria della
relatività generale. Einstein iniziò con una semplice osservazione: che
qualsiasi massa gravitazionale è esattamente uguale alla sua resistenza
all’accelerazione, detta anche massa inerziale. Da qui egli dedusse una serie
di equazioni che mostravano come lo spazio sia distorto dalla massa e dal moto
e ciò che percepiamo come curvatura non è altro che la gravità. Le mele cadono
dagli alberi perché la massa della Terra curva lo spaziotempo. In una regione
dello spazio dove gli effetti della forza gravitazionale sono piccoli, come la
Terra, la relatività generale si può approssimare secondo le leggi formulate da
<u>I<a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Isaac_Newton" target="_blank">saac Newton</a></u> che descrisse la gravità come una forza che agisce
istantaneamente a distanza tra due corpi dotati di grande massa. Nel caso di
campi gravitazionali più intensi, le due descrizioni divergono sensibilmente.
Una ulteriore conseguenza della relatività generale è che nel caso in cui
abbiamo enormi corpi celesti che si muovono di moto accelerato si ha la
formazione di piccole distorsioni del tessuto spaziotemporale che sono chiamate
onde gravitazionali. Nonostante queste deformazioni della struttura dello
spaziotempo non siano mai state rivelate direttamente, nel 1974 venne scoperta una
coppia di pulsar che stanno muovendosi a spirale l’una attorno all’altra
proprio in modo tale da perdere energia attraverso l’emissione di onde
gravitazionali. La gravità è la forza che domina l’Universo su scale
cosmologiche, dunque la relatività generale è il quadro teorico migliore per descrivere
come funziona ed evolve il nostro Universo. Tuttavia, le sue equazioni sono
alquanto complesse e strutturate. Se si introduce un termine che descrive, ad
esempio, la distribuzione casuale della materia e dell’energia, le equazioni
diventano impossibili da risolvere. Dunque, per costruire un modello
cosmologico che funzioni dobbiamo fare una serie di assunzioni che semplificano
il problema. L’assunzione principale, detta <u><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Principio_copernicano" target="_blank">principio copernicano</a></u>,
afferma che noi non siamo situati in un posto speciale nello spazio. L’Universo
dovrebbe perciò apparire abbastanza uguale in tutte le direzioni, come del
resto sembra essere, e con la materia distribuita in maniera alquanto ordinata
su larga scala. Questo vuol dire che possiamo inserire un solo termine nelle
equazioni della relatività: la densità universale della materia. Il primo
universo di Einstein, che egli immaginava fosse riempito di una polvere inerte
di densità uniforme, si contraeva sotto l’effetto della sua gravità. Ciò fu un
problema che superò aggiungendo un nuovo termine nelle equazioni per mezzo del
quale lo spazio vuoto acquisisce una densità di energia costante. Il suo
effetto gravitazionale è di natura repulsiva e perciò aggiungendo la giusta
quantità di questo termine, definito in seguito costante cosmologica, si assicurava
una adeguata stabilità all’Universo. Ma quando negli anni ’20 fu dimostrato che
in realtà lo spazio si sta espandendo, Einstein parlò della sua decisione di
inserire il termine costante come del suo “più grande abbaglio”. Dunque, fu
lasciato ad altri la possibilità di applicare le equazioni della relatività
all’Universo in espansione. Gli scienziati arrivarono ad un modello del cosmo
che evolve da un punto infinitesimale di inimmaginabile densità e la cui
espansione viene gradualmente rallentata dalla gravità dovuta alla materia: era
la nascita della cosmologia del Big Bang. Tuttavia, il problema principale era
quello di capire se l’espansione sarebbe arrivata ad una fine. La risposta
sembrava essere negativa dato che si riteneva ci fosse poca materia presente
nelle galassie per determinare un contributo notevole alla gravità e arrestare
l’espansione dello spazio. Perciò, l’Universo si sarebbe espanso per sempre. Ma
gli “spettri cosmici” si sarebbero presto materializzati. Il primo “emissario
dell’oscurità” mise piede negli anni ’30 ma fu “visto”, per così dire, nella
sua interezza solamente verso la fine degli anni ’70 quando gli astronomi
trovarono che le galassie ruotavano molto velocemente. Secondo la relatività
generale, la gravità dovuta alla materia visibile sarebbe stata troppo debole
per mantenere insieme le galassie. Gli astronomi conclusero che ci doveva
essere una ulteriore quantità di materia non visibile, oltre alle stelle, per
determinare una maggiore attrazione gravitazionale. L’esistenza della materia
scura è stata confermata da altre evidenze che riguardano il moto degli ammassi
di galassie e la curvatura dei raggi luminosi che essi causano, un fenomeno
noto come lente gravitazionale. Oggi, le osservazioni indicano che esiste
almeno una quantità di materia scura pari mediamente a cinque volte la massa
visibile presente sottoforma di stelle o gas in una galassia. L’identità della
materia scura è tuttora sconosciuta. Sembra che sia qualcosa che vada al di là
del modello standard delle particelle elementari e nonostante gli sforzi degli
ultimi decenni gli scienziati non hanno ancora osservato o creato una eventuale
particella di materia scura. Questa misteriosa componente, che rappresenta circa
il 23% del contenuto materia-energia dell’Universo, ha modificato leggermente
il modello cosmologico standard: il suo effetto gravitazionale è identico a
quello della materia ordinaria, secondo la relatività generale, e persino la
sua distribuzione spaziale non è tale da arrestare l’espansione dell’Universo.
Il secondo “emissario dell’oscurità” richiede, invece, un cambiamento più radicale.
Negli anni ’90, gli astronomi dedussero il tasso dell’espansione dello spazio
in maniera molto più accurata rispetto al passato utilizzando come “candele
standard” le supernovae di tipo Ia. Essi mostrarono che l’espansione cosmica
sta accelerando. La causa di ciò pare dovuta ad una sorta di forza repulsiva
che permea tutto l’Universo e che domina l’effetto gravitazionale attrattivo
dovuto a tutta la materia. Questa componente misteriosa potrebbe essere la
costante cosmologica, diremo “resuscitata”, cioè l’energia del vuoto che genera
una forza di natura repulsiva. Ma c’è un problema: oggi i fisici delle
particelle stanno tentando di spiegare perché lo spazio dovrebbe avere una
piccolissima densità di energia. Da qui, i teorici si sono scatenati a trovare
idee alternative, come per esempio campi di energia prodotti da particelle che
non sono state mai viste o forze che provengono da altri universi o dimensioni.
Qualunque cosa sia, l’energia scura sembra essere davvero reale. La radiazione
cosmica di fondo, che emerse quando i primi atomi si formarono appena 370 mila
anni dopo il Big Bang, è caratterizzata dalle deboli tracce formate da regioni
più calde e più fredde in cui lo spazio era più o meno denso. Le dimensioni
tipiche di queste regioni possono essere poi utilizzate per determinare fin
dove l’intero spazio è stato deformato dai moti della materia in esso
distribuita. I dati indicano che la geometria dello spazio appare quasi
esattamente piatta il che vuol dire che tutte queste deformazioni si sono
cancellate le une con le altre. Ciò, di nuovo, implica una quantità extra di
energia repulsiva che bilanci la curvatura dello spazio dovuta da un lato all’espansione
e dall’altro alla gravità prodotta dalla materia. Tutto ciò ci fornisce una “ricetta
ben precisa” che caratterizza l’Universo. La densità media di energia della
materia ordinaria è pari a circa 250 protoni per centimetro cubo, il che vuol
dire 4,5% della densità totale di energia presente nell’Universo. La materia
scura rappresenta circa il 22,5% mentre l’energia scura il 73% circa. Il nostro
modello cosmologico standard, o del Big Bang, che si basa sulla relatività
generale descrive molto bene i dati osservativi. Nonostante ciò, dobbiamo
andare oltre nel senso che per spiegare come mai l’Universo appare così
straordinariamente uniforme in tutte le direzioni dobbiamo introdurre un altro
elemento esotico. In altre parole, 10<sup>-36</sup> secondi dopo il Big Bang
emerse una forza immane. Definita dai cosmologi con il termine inflatone, si
tratta di una forza di natura repulsiva, come l’energia scura ma molto più
potente, che causò una improvvisa espansione esponenziale dello spazio determinando
un aumento di volume di un fattore dell’ordine di 10<sup>25</sup> e un appiattimento
dello spazio rendendo molto più uniformi le irregolarità in esso contenute.
Quando questo periodo dell’inflazione terminò, il campo di forze inflatone si
trasformò in materia e radiazione. Le fluttuazioni quantistiche presenti nel
campo inflatone divennero piccole variazioni di densità che alla fine si
trasformarono in quei “siti cosmici” osservabili nella radiazione cosmica di
fondo e da cui emersero le galassie che vediamo oggi. Di nuovo, questa storia
fantastica sembra essere in accordo con i dati. Tuttavia, dobbiamo dire che
l’inflazione non determina alcun problema per la relatività generale dato che
dal punto di vista matematico essa richiede l’aggiunta di un termine identico a
quello che rappresenta la costante cosmologica. In una sola volta, il campo
inflatone deve aver costituito il 100% del contenuto dell’Universo e la sua
origine rimane ancora un mistero così come quelli relativi alla materia scura e
all’energia scura. In più, pare che l’inflazione abbia prodotto un tipo di
universo che sembra essere diverso dal nostro. Il modello non spiega alcuni
dati osservativi: ad esempio </span><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-size: 7.5pt;">il Big Bang produce
molto più litio-7 in teoria rispetto a quanto viene misurato; il modello non spiega alcuni effetti geometrici di
allineamento di alcune componenti presenti nella radiazione cosmica di fondo o
perché certe galassie lungo la linea di vista sembrano possedere un moto
di rotazione sinistrorso. Infine, la recente scoperta
di una gigantesca struttura supergalattica che si estende per circa 4
miliardi di anni-luce implica che l’Universo sia
molto più regolare su larga scala. È alquanto probabile che queste discrepanze
scompariranno man mano che saranno analizzati sempre più dati. Ma il problema
più grande rimane: cioè, non sappiamo che cos’è l’energia scura né tantomeno la
materia scura, un fatto imbarazzante. La matematica che caratterizza le
equazioni della relatività non è cambiata essenzialmente dai tempi in cui
Einstein elaborò il suo primo modello cosmologico, anche se queste ‘componenti
aggiuntive’ rendono il modello più dinamico e ricco di maggiori dettagli. La
sua età e le sue costituenti sono note con precisione. La materia scura sembra
aver creato le galassie e le altre strutture; l’energia scura implica che il
cosmo continuerà ad accelerare la sua espansione causando un destino molto
freddo e desolato per l’Universo; l’inflazione suggerisce una nascita molto
violenta. Ogni membro del cosiddetto “triumvirato ombra” sembra puntare ad una
nuova fisica e dà un senso non di disperazione quanto di ispirazione. Tuttavia,
fino a quando non avremo da un lato alcuna evidenza sulla natura della materia
scura e dall’altro una prova scientifica che ci dimostri la vera essenza
dell’energia scura, la possibilità rimane quella per cui viviamo in una sorta
di profonda ignoranza che rimane celata anche nel linguaggio della matematica e
che non siamo in grado di immaginare. Forse, una eventuale teoria quantistica
della gravità potrebbe mostrarci la strada verso la soluzione dei misteri cosmologici
o magari qualche osservazione, in un futuro prossimo, potrebbe portarci ad una
nuova formulazione del nostro modello cosmologico. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 10.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-size: 7.5pt;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 10.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-size: 7.5pt;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 115%;">Un ‘vicolo cieco’<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 115%;"><br /></span></b></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://cds.cern.ch/record/1406073/files/gg-run177878-evt188723900-3d-nologo.jpg?subformat=icon-640" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><img border="0" height="232" src="https://cds.cern.ch/record/1406073/files/gg-run177878-evt188723900-3d-nologo.jpg?subformat=icon-640" width="320" /></span></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 115%;">È proprio di questi giorni la notizia che è emersa dal 48° meeting </span><a href="https://indico.in2p3.fr/conferenceDisplay.py?confId=7411" style="-webkit-transition: all 0.18s ease-out; background-color: white; border: 0px; color: #05799d; line-height: 21px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; text-decoration: none; vertical-align: baseline;" target="_blank">Rencontres de Moriond tenutosi a La Thuile, in Italia, sul tema delle interazioni elettrodeboli e le teorie unificate</a>,<span style="line-height: 115%;"> </span></span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 115%;">secondo la quale i fisici che lavorano agli esperimenti presso LHC
sono sempre più convinti che la nuova particella osservata sia effettivamente
il bosone di Higgs. Se ciò si dimostrerà vero, la scoperta andrebbe a
completare il modello standard delle particelle elementari, ritenuto il quadro
scientifico più accurato della storia della fisica, anche se non si tratterà di
un punto di arrivo bensì dell’inizio di nuovi problemi. Ma facciamo un passo
indietro. Correva l’anno 1964 quando qualcosa preoccupava un fisico teorico di
nome </span><a href="http://www.nobelprize.org/nobel_prizes/physics/laureates/1969/gell-mann-bio.html" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-size: 7.5pt;">Murray Gell-Mann</span></a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 115%;">. Cosa sarebbe stato se protoni e neutroni che costituiscono la
materia fossero, a loro volta, composti da entità più piccole? A quell’epoca,
la fisica aveva bisogno di nuove idee. Dozzine di nuove particelle esotiche
venivano rivelate nei raggi cosmici senza una apparente ragione. L’invenzione,
per così dire, di Gell-Mann permise di spiegare come i protoni e i neutroni
fossero la combinazione di due o tre entità più fondamentali che vennero
successivamente chiamate quark. Ma questa idea sembrò alquanto bizzarra per la
maggior dei fisici. Le nuove particelle dovevano possedere cariche elettriche
frazionarie e non potevano essere osservate singolarmente. Come mai la natura
doveva presentarsi sotto questo aspetto? E perchè no? Così fu provato e i quark
divennero le componenti fondamentali di uno dei quadri teorici meglio
verificati sperimentalmente. Nel corso di quarant’anni, il modello standard si
è dimostrato molto valido nel confermare la struttura della materia e la
scoperta, a quanto pare, del bosone di Higgs rappresenta l’ultimo spettacolare
esempio. Nonostante ciò, ci sono “voci di corridoio” che sembrano andare nel
verso opposto a questa apparente celebrazione del modello standard. Con il
bosone di Higgs il modello che si dimostrava palesemente incompleto risulta ora
completo. Anche in questo campo, la fisica delle particelle urge il bisogno di
qualcosa di più radicale. Il termine ‘modello standard’ fu coniato da Steven
Weinberg e aveva lo scopo di non essere considerato un dogma ma piuttosto una
base da cui partire per stimolare tutta una serie di discussioni ed esperimenti
che avrebbero potuto portare alla scoperta che fosse, invece, sbagliato. I suoi
concetti base possono essere scritti su una cartolina: sei quark sono
assemblati in coppie per dar luogo a tre famiglie o generazioni di particelle
che sono tutte uguali tranne per i valori della massa; sei leptoni, come gli
elettroni o i neutrini, sono accoppiati allo stesso modo; e poi esiste una
manciata di bosoni che rappresentano i mediatori delle interazioni
fondamentali. La cosa essenziale di tutte queste entità è che sono particelle
quantistiche. La teoria dei quanti venne sviluppata in seguito ad una serie di
scoperte agli inizi del XX secolo. Grazie ad essa venne dimostrato che le
lunghezze d’onda della radiazione emessa o assorbita dagli atomi potevano
essere solamente spiegate assumendo che l’energia fosse costituita da pacchetti
discreti chiamati ‘quanti’. Ciò lasciò una assurda dualità al livello delle
scale più piccole dove una particella è anche un’onda e viceversa. Queste “nebulose”,
per così dire, onde-particelle non si muovono seguendo le regole della
meccanica classica ma secondo regole probabilistiche e bizzare in uno spazio
matematico astratto. La meccanica quantistica prese il sopravvento verso la
metà degli anni ’20 e si è sempre dimostrata corretta dal punto di vista
sperimentale. Ma verso la fine degli anni ’20, quando <u><a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Paul_Dirac" target="_blank">Paul Dirac</a></u> e altri
iniziarono a “mescolare” la meccanica quantistica con la relatività speciale,
le cose cominciarono a prendere forma. L’equazione di Dirac per l’elettrone
aveva più di una soluzione e sembrava prevedere l’esistenza di una particella
proprio come l’elettrone ma con una carica elettrica opposta. Cinque anni più
tardi venne rivelato il positrone nei raggi cosmici e ciò aveva fatto nascere
il concetto di antimateria come una sorta di invenzione nata dalla penna di un
teorico. La teoria quantistica dei campi, che sta alla base del modello
standard, rappresenta l’apice di questa logica. Sebbene l’idea di un campo di
forze risale a <u><a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Michael_Faraday" target="_blank">Michael Faraday</a></u> nel XIX secolo, la struttura matematica
dei campi quantistici possiede una strana proprietà: i campi possono dar luogo
alla formazione di particelle dallo spazio vuoto ma possono anche distruggerle.
Così, secondo la teoria dell’elettrodinamica quantistica, due elettroni si
respingono grazie al fotone, la particella quantistica della radiazione
elettromagnetica, che appare dal nulla e passa da un elettrone all’altro. Una
infinita serie di fluttuazioni dovute a “particelle virtuali” modificano le
proprietà degli elettroni di quantità piccolissime, un fatto che è stato già
confermato in maniera molto accurata da tanti esperimenti a partire dagli anni
’40. Ci è voluto un pò di più per rivelare le altre forze. L’interazione
nucleare debole, che trasforma una particella in un’altra mediante decadimento
radioattivo, saltò fuori da una serie di calcoli matematici impossibili e la strada
da perseguire, intrapresa da Weinberg e altri durante gli anni ’60, fu quella
di tentare di unificare l’elettromagnetismo con la forza nucleare debole in una
unica forza, detta poi elettrodebole, che si manifesta a più valori più alti di
energia tipici delle epoche primordiali della storia cosmica. Così come
l’equazione di Dirac aveva previsto l’esistenza dell’antimateria, questa teoria
presagiva l’esistenza di particelle che non erano state mai state osservate: i
bosoni W e Z che sono i mediatori della forza debole e il bosone di Higgs.
Quest’ultima particella era necessaria per assicurare il fatto che, durante la
rottura dell’unificazione della forza elettrodebole, i bosoni W e Z
acquisissero massa confinando la forza debole su distanze atomiche, mentre i
fotoni dell’elettromagnetismo non lo fanno e ciò gli permette di vagare
nell’Universo. Allo stesso tempo, la teoria quantistica della forza nucleare
forte, che tiene uniti i nuclei atomici, stava evolvendo verso il trionfo. La
cromodinamica quantistica, un altro termine coniato da Gell-Mann, diede valore
al concetto dei quark, descrivendo le loro interazioni per mezzo dello scambio
di otto gluoni, che portano una carica detta “colore”, e mostrò come questa
forza diventa sempre più intensa se aumenta la distanza tra due quark. Dal 1973
il modello standard poteva considerarsi definito. C’era da un lato la teoria
elettrodebole, a cui tutte le particelle sembravano soccombere, e dall’altro la
cromodinamica quantistica che riguardava solamente il comportamento dei quark e
dei gluoni. Il modello non era proprio perfetto anche se era alquanto elegante.
Le sue equazioni mostravano una simmetria bellissima al punto che sembrava
dettassero il “carattere”, per così dire, della natura delle forze e indicassero,
allo stesso tempo, dove andare a cercare le nuove particelle. Il susseguirsi
degli esperimenti utilizzando gli acceleratori di particelle produsse i primi
dati che furono accompagnati dalle forti emozioni che provavano gli scienziati
coinvolti nella ricerca. L’evidenza dei tre quark era stata già acquisita
grazie agli esperimenti condotti verso la fine degli anni ’60 anche se alcuni
anni più tardi i fisici furono convinti che doveva esistere un quarto, un
quinto e finalmente, nel 1995, un sesto quark. Ricordiamo che dal 2000, il
neutrino del tau, l’ultimo dei leptoni, è stato rivelato. Sull’altro fronte,
nel 1979 il gluone venne “intrappolato” al laboratorio <a href="http://www.desy.de/index_eng.html" target="_blank">DESY</a> mentre nel 1983
toccò ai bosoni W e Z al <a href="http://home.web.cern.ch/" target="_blank">CERN</a>. E, finalmente, nel 2012 la notizia della
scoperta di un bosone scalare, molto probabilmente un bosone di Higgs, che se
venisse confermato potrebbe completare l’ultimo tassello mancante del modello
standard. Nonostante la sua marcia trionfale esistono alcune “ragioni estetiche”
che non sono spiegate dal modello standard. Perché, ad esempio, esistono tre
famiglie di particelle e come mai la massa del quark più pesante è circa 75 mila
volte maggiore della particella più leggera? Certo, le equazioni del modello
standard possono apparire eleganti ma per dar loro un potere predittivo esse
devono essere caratterizzate da 20 parametri “liberi”, come la massa delle
particelle. Una teoria veramente fondamentale dovrebbe far uso della teoria
quantistica o, forse, di qualche idea più profonda di cui nessuno ha mai
pensato finora. Inoltre, il modello standard non permette di unificare la forza
forte. La teoria elettrodebole e la cromodinamica quantistica sono “incastrate”
insieme piuttosto che essere “mescolate” al livello dei campi quantistici così
come lo sono la forza debole e quella elettromagnetica, e questo rappresenta il
primo vero ostacolo verso la ricerca di una teoria del tutto ancora prima di
parlare della gravità che invece è descritta da una teoria non quantistica. Un
altro problema è come mai la forza di gravità risulti estremamente più debole
in confronto alle altre. Il cosiddetto “<u><a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Hierarchy_problem" target="_blank">problema gerarchico</a></u>” è uno dei
misteri del modello standard. Ci sono poi delle evidenze che derivano dagli
esperimenti per cui non tutto è come sembra. </span><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-size: 7.5pt;">Il
neutrino, che si suppone non abbia massa, ha di fatto una massa molto piccola. Tutto questo indebolisce la consistenza matematica del
modello standard e, forse, indica la strada verso la ricerca di una nuova
fisica. Ancora più misteriose sono la materia scura e l’energia scura quelle
componenti enigmatiche che prese insieme rappresentano quasi il 96% del
contenuto materia-energia dell’Universo. Il modello standard rimane “in
silenzio” e non dice nulla sulla loro identità. Dato che esistono queste
problematiche, i teorici stanno tentando di aggirare il problema proponendo
delle soluzioni che si basano, ad esempio, sull’esistenza di nuove particelle e
di nuove simmetrie della natura. Ma nessun acceleratore ha finora mostrato
delle evidenze relative all’esistenza di particelle esotiche inaspettate e
nemmeno <a href="http://lhc.web.cern.ch/lhc/" target="_blank">LHC</a>. Anche se fra qualche anno il grande collisore adronico utilizzerà
fasci di particelle con valori di energia ancora superiori sarà molto probabile
che il modello standard venga confermato ma certamente ad oggi non lo sappiamo.
Insomma, pare che i fisici si trovino nella stessa posizione del filoso greco <u><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Democrito" target="_blank">Democrito</a></u>
il quale era convinto che la materia non potesse essere suddivisa ulteriormente
e indefinitivamente, una idea che venne solo ribaltata duemila anni più tardi.
Bisogna ricordare che il concetto dei “primi atomi” non concluse
definitivamente la storia nel senso di Democrito e, forse, possiamo dire di non
essere certamente sicuri che siamo arrivati analogamente alla stessa
conclusione con il concetto dei quark di Gell-Mann. È probabile che gli
esperimenti futuri o qualche mente geniale possano riservarci delle sorprese.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 10.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-size: 7.5pt;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 10.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-size: 7.5pt;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 115%;">Il desiderio di saper ‘tutto’<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 115%;"><br /></span></b></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://www.newscientist.com/data/images/archive/2906/29062701.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><img border="0" height="180" src="http://www.newscientist.com/data/images/archive/2906/29062701.jpg" width="320" /></span></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 115%;">È colpa degli antichi filosofi greci. Sì, perché tutto è cominciato
da loro o meglio dai quattro elementi (aria, acqua, terra, fuoco) che venivano
considerati gli elementi fondamentali della natura. Di che cosa è fatta allora
la materia? Quali sono le regole che governano il suo comportamento? Dobbiamo
andare in profondità e vedere se possiamo arrivare a formulare una teoria che
spieghi tutti i fenomeni naturali. In un certo senso, gli scienziati hanno
lavorato molto bene. Le stranezze della meccanica quantistica ci possono
lasciare molto perplessi ma il modello standard riduce le cose a poche
particelle elementari e a tre interazioni fondamentali. La relatività generale
tratta la gravità come la deformazione dello spaziotempo e ci fornisce una
descrizione alquanto dettagliata dell’Universo su larga scala. È vero, ci sono
ancora delle lacune nelle due teorie ma certamente saranno eliminate man mano
che la scienza fa progressi</span><span style="line-height: 115%;">. </span></span><span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Siamo, però, sicuri che si arriverà ad una unificazione delle
leggi fisiche che possano essere formulate nell’ambito di una unica teoria? Se
pensiamo, ad esempio, alla tavola periodica degli elementi, inventata da <u><a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Dmitri_Mendeleev" target="_blank">Dmitri Mendeleev</a></u>, la cosa che notiamo è l’eleganza di una classificazione ben
strutturata ma non abbiamo idea di quale sia la vera essenza fisica di questa
struttura. Ora sappiamo che la relatività generale e la meccanica quantistica
non sono compatibili. Ma questo non rappresenta un problema quando utilizziamo singolarmente
la relatività per descrivere il macrocosmo, cioè le stelle, le galassie o le strutture
cosmiche, o la teoria quantistica per descrivere il microcosmo, cioè il mondo
degli atomi e delle particelle subatomiche. Nonostante ciò, per avere una comprensione
globale di come funzioni l’Universo dobbiamo sapere come si è originato. In
altre parole, se andiamo indietro nel tempo fino a raggiungere il momento del
Big Bang abbiamo bisogno di entrambe le teorie. Allo stesso modo, quando
vogliamo capire come funzionano i buchi neri dobbiamo ricorrere sia alla
relatività generale che alla meccanica quantistica. Negli anni ’70, <u><a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Stephen_Hawking" target="_blank">Stephen Hawking</a></u> e <u><a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Jacob_Bekenstein" target="_blank">Jacob Bekenstein</a></u> mostrarono che questi “mostri del cielo”
possono distruggere l’informazione, un fatto che però è vietato dalla teoria
quantistica. Persino la descrizione basilare dello spaziotempo mette in
evidenza l’incompatibilità delle due teorie. Lo spaziotempo della relatività è
una entità unica ed è descritto come un “tessuto” quadridimensionale liscio,
piano e regolare. Invece, per la meccanica quantistica lo spazio diventa
alquanto irregolare, estremamente distorto e ingarbugliato, essendo costituito
da unità elementari che hanno dimensioni dell’ordine di 10<sup>-35</sup> metri,
e non tratta il tempo come una entità reale e osservabile. Se dovessero
scommettere per l’una o l’altra teoria, molti fisici sceglierebbero quasi
sicuramente la meccanica quantistica perchè viene considerata “giusta”,
“corretta” dato che la sua struttura matematica alquanto complessa ci permette
di descrivere al meglio come funziona il mondo che ci circonda. Altri, invece, da
Einstein in poi, hanno preso di mira la meccanica quantistica poiché sembra
“irreale”, “bizzarra” e perché ammette delle correlazioni tra oggetti che
sembrano apparentemente scorrelati. Se non si trovano delle motivazioni
scientifiche convincenti per giustificare questi fenomeni allora la meccanica
quantistica potrebbe essere una “approssimazione” di una teoria ancora più
profonda. Alcuni tentativi che sono stati fatti per superare queste difficoltà
concettuali hanno portato i teorici a formulare idee alternative e tra queste
la cosiddetta simmetria. La supersimmetria è una teoria ampiamente condivisa
che viene vista come una sorta di tappa nel percorso che porta alla teoria
delle stringhe, cioè la miglior candidata per essere considerata la teoria
ultima. La teoria delle stringhe implica che lo spazio sia caratterizzato da
dimensioni spaziali extra nascoste dove esistono delle simmetrie che “piegano”,
per così dire, l’energia in forme geometriche che assomigliano a certe
particelle fondamentali o simulano il modo con cui lo spazio viene distorto in
presenza della massa. La teoria prevede l’esistenza di alcune particelle, come
il gravitone, un bosone a lungo cercato che dovrebbe essere responsabile della
trasmissione dell’interazione gravitazionale. Pare, dunque, che la teoria delle
stringhe possa prendere piede verso un quadro unificato di tutte e quattro le
forze della natura sulla base dei concetti descritti nella teoria quantistica.
Ma come tutte le altre teorie che sono state proposte come “teoria del tutto”,
la teoria delle stringhe prevede l’esistenza di entità fondamentali, le
stringhe appunto, che non potranno mai essere osservate o rivelate
sperimentalmente. Naturalmente, c’è chi dice che da un lato la teoria è salva
ma dall’altro potrà essere superata non essendoci alcuna ragione per affermare
che essa esista o possa essere trovata in futuro. Uno dei problemi è che la
matematica fornisce infiniti modi con cui i numeri e le equazioni possono
essere assemblati ma ciò non dà alcuna indicazione di quello che potrebbe
esistere al di là di essa. Insomma, la matematica vale nel dominio delle cose
astratte mentre la fisica non si pone il problema di capire cosa sono quelle
cose astratte né tenta di trovarle per verificare se corrispondo, o meno, alla
realtà. C’è da dire anche che la frazione di matematica pura che gli scienziati
hanno sviluppato nel corso del tempo per costruire teorie fisiche è
relativamente piccola. Ad esempio, tutte le relazioni tra le particelle e le
forze e lo spazio e il tempo possono essere rappresentate da un sottoinsieme di
operazioni matematiche calcolabili da una <u><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Macchina_di_Turing" target="_blank">macchina di Turing</a></u> che sta alla
base di tutti i nostri computer. Ma non sappiamo le ragioni perché debba essere
così e ciò sembra un fatto decisamente “brutale”. Oggi, i progressi scientifici
verso la ricerca di una teoria del tutto possono richiedere alcune aree della
matematica che non sono facilmente trattabili con i computer. C’è, però, chi
vuole cambiare il punto di vista e abbandonare l’idea in base alla quale iniziare
dalla matematica non necessariamente implica arrivare alla realtà fisica.
Forse, dovremmo prima guardare ai problemi più attuali come quelli che
riguardano la materia scura o l’energia scura o, ancora, come mai la forza di
gravità sia estremamente più debole rispetto alle altre tre forze e cercare
così di trovare delle soluzioni che possano risolvere questi enigmi astrofisici
(vedasi <u><a href="http://www.ibs.it/ebook/Ruscica-Corrado/Enigmi-astrofisici/9788878691100.html" target="_blank">Enigmi Astrofisici</a></u>). Solo allora potremo formulare delle
equazioni matematiche e verificarle sperimentalmente. Potrebbe essere la
direzione giusta per affrontare questi problemi anche se ci sono molti teorici
che procedono al contrario e spesso non ottengono risultati positivi. Ma ne
vale la pena? Sì se assumiamo, nel modo con cui viene definita dai fisici, il
fatto che quando si parla di teoria del tutto si intenda un modello matematico
che non dia tutte le risposte: ad esempio, questa teoria non potrebbe mai
spiegare l’origine della vita o, ancora peggio, fornirci una risposta sul
perché siamo qui. Può darsi anche che il motivo per cui i teorici vogliono
continuare a cercare non sia l’obiettivo ultimo ma siano le strade o i modi per
arrivare ad essa. Le nostre conquiste più grandi del pensiero scientifico sono
arrivate sempre da una serie di tentativi che hanno permesso di semplificare e
di mettere insieme le più disparate aree della conoscenza. Per un fisico
teorico puro che tenti di arrivare ad una teoria ultima, forse per la sua
gloria, potrebbe essere rischioso e deludente così come gli scienziati che credevano,
verso la fine del XIX secolo, che fossero state scoperte tutte le leggi della
fisica. Si potrebbe arrivare certamente alla formulazione di uno schema
meraviglioso, che potrebbe stare all’interno di una sfera di cristallo, ed
essere ammirato e celebrato da tutti come la più grande conquista
dell’intelletto umano. Ma ricordiamoci, però, che esiste sempre la possibilità
che qualcuno altro possa arrivare a formulare una teoria migliore e più
profonda. </span><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: x-small;"><o:p></o:p></span></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/08305106977611057570noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7973467142325335034.post-78398855000959530952013-02-12T09:01:00.002-08:002013-02-12T09:01:52.639-08:00Il multiverso e l’idea dell’infinita ripetizione delle storie<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Tra i tanti temi di cui si occupa
la cosmologia moderna uno riguarda il concetto di multiverso, cioè la
possibilità che esistano infiniti universi e perciò infiniti mondi che
potrebbero ospitare altrettante terre con forme di vita differenti. Ma è davvero
così? Nonostante questa idea sia alquanto affascinante, tuttavia qualche
scienziato rimane molto scettico. È il caso di due ricercatori spagnoli che
hanno pubblicato di recente un articolo dove criticano l’idea dell’infinita
ripetizione delle storie, che è strettamente collegata al concetto di storie
alternate, ma anche a quello degli universi paralleli o persino all’interpretazione
dei molti mondi (vedasi <a href="http://www.ibs.it/ebook/Ruscica-Corrado/Enigmi-astrofisici/9788878691100.html" target="_blank">Enigmi Astrofisici</a>).</span></span></div>
<a name='more'></a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><o:p></o:p></span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://i.space.com/images/i/000/024/272/i02/shutterstock_16130800.jpg?1354898332" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="239" src="http://i.space.com/images/i/000/024/272/i02/shutterstock_16130800.jpg?1354898332" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><a href="http://www.us.es/eng/acerca/directorio/ppdi/personal_10773/(language)/eng-GB" target="_blank">Francisco Josè Soler Gil dell’Università di Siviglia</a> e <a href="http://arantxa.ii.uam.es/~alfonsec/" target="_blank">Manuel Alfonseca dell’Università Autonoma di Madrid</a> hanno
presentato due proposte, una basata sulla cosmologia classica e l’altra sulla
meccanica quantistica, in base alle quali si suppone che noi viviamo in un Universo
infinito nel quale ogni storia viene ripetuta nello spazio un numero infinito
di volte. Considerando separatamente le due proposte, gli scienziati affermano
che esse sono fortemente speculative, anche se spesso vengono presentate come dei
concetti plausibili. Inoltre, gli scienziati affermano che effettivamente non
siamo in grado di sapere se viviamo in un ‘Universo infinito’ dato che anche un
‘Universo finito’ sembra altrettanto probabile. L’idea che sta alla base dell’infinita
ripetizione delle storie nello spazio è che, se prendiamo noi stessi per un
attimo e cambiamo una cosa, ad esempio modifichiamo il colore della nostra
maglietta da bianca a nera, ci sarà un'altra copia di noi stessi da qualche
parte che sarà esattamente uguale a noi tranne per questa piccola differenza (il
colore della maglietta). Se poi il colore della maglietta diventa rosso, ci
sarà una terza copia di noi stessi e così via. Continuiamo a modificare, ad
esempio, il nostro bicchiere d’acqua e lo facciamo diventare caffè, in questo
caso ci sarà ancora un’altra copia di noi stessi. In più, ci saranno le copie
di tutti i rispettivi universi formando così un numero infinito di copie. Nel
loro articolo, Soler Gil e Alfonseca sostengono che “<i>in un Universo infinito, ogni possibile evento accade un numero
infinito di volte</i>”. Questa idea delle infinite ripetizioni si incontra nella
filosofia e nella mitologia antica e oggi anche nelle storie di fantascienza.
Ci si chiede, però, se essa possa avere una identità scientifica e quindi possa
occupare un posto nella Scienza ufficiale. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nella prima proposta che analizzano
Soler Gil e Alfonseca, <a href="http://www.mth.uct.ac.za/~ellis/" target="_blank">Ellis</a> e <a href="http://academic.research.microsoft.com/Author/51327520/g-b-brundrit" target="_blank">Brundrit</a> affermano che il concetto delle
infinite ripetizioni deriva in maniera logica dalla fisica relativistica
classica. In altre parole, a) se l’Universo, il numero dei pianeti e delle
galassie, e il numero delle possibili storie, come ad esempio quella a noi
familiare che dura ormai da 13,7 miliardi di anni, sono infiniti; b) se la
probabilità che esista la vita basata sulla molecola del DNA è maggiore di zero;
c) se il numero delle molecola del DNA su cui si basano le forme di vita è
finito (dato che la dimensione della molecola del DNA non può essere
arbitrariamente grande), allora un Universo infinito deve contenere un numero
infinito di copie relative al numero finito di forme di vita basate sul DNA e
alcune di esse seguiranno delle linee di storia molto simili o addirittura
identiche. Possiamo altresì dire che storie infinite più forme di vita finite
vuol dire che le storie di quelle forme di vita si ripeteranno un numero
infinito di volte. A queste conclusioni, Soler Gil e Alfonseca ribattono
affermando che non si è certi che la probabilità che la vita si basi sul DNA
sia maggiore di zero. In più, considerare la nostra esistenza o un numero
finito di casi in cui la vita esiste su altri mondi non possono essere presi a
supporto per dedurre che la probabilità sia maggiore di zero. Di conseguenza,
il numero infinito delle storie diventa maggiore del numero infinito dei
singoli esseri viventi, in questo modo ogni pianeta che sia compatibile per l’esistenza
della vita può avere la propria storia. La seconda ipotesi, analizzata da
Garriga e Vilenkin, riguarda un numero finito di storie ma si basa sul concetto
della meccanica quantistica in base al quale regioni discrete di spazio
possiedono quantità finite di energia. Nell’interpretazione delle storie non
coerenti della meccanica quantistica, l’Universo infinito può essere suddiviso
in un numero infinito di regioni che sono disconnesse casualmente dato che sono
separate dagli orizzonti degli eventi. <a href="http://www.ffn.ub.es/gcg/personal/jaume.html" target="_blank">Garriga</a> e <a href="http://cosmos2.phy.tufts.edu/vilenkin.html" target="_blank">Vilenkin</a> deducono perciò che
il numero delle possibili storie in ogni regione è finito perché la quantità di
energia di ogni regione è finita e, secondo la meccanica quantistica, essa è
quantizzata. Per farla breve, un numero infinito di regioni più un numero
finito di possibili storie in ciascuna regione vuol dire che ogni storia si
deve ripetere un numero infinito di volte. Soler Gil e Alfonseca criticano
quasi tutte le assunzioni di questa ipotesi, a partire dal tentativo di
applicare la meccanica quantistica alla cosmologia, pura speculazione senza
fondamento sperimentale. Emergono poi altri problemi quando si prendono in
considerazione gli effetti gravitazionali dei buchi neri e l’espansione dell’Universo,
che può potenzialmente aumentare il numero delle possibili storie in maniera
indefinita, impedendo le ripetizioni. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ma la critica maggiore da parte
degli scienziati spagnoli all’idea delle infinite ripetizioni in entrambe le
ipotesi è l’assunzione del fatto che l’Universo sia infinito. Capire se l’Universo
sia o meno infinito rimane una delle grandi domande aperte della moderna
cosmologia a cui gli scienziati non potranno, forse, mai dare una risposta.
Soler Gil e Alfonseca notano che, guardando al passato della storia della
fisica, sono emerse delle situazioni in cui la presenza degli infiniti sembrava
un ostacolo impossibile da superare mentre invece la formulazione di teorie
sempre più avanzate ha permesso di eliminarli. Ad oggi, però, le due teorie
fondamentali che abbiamo a disposizione, e cioè la meccanica quantistica e la
relatività generale, prevedono entrambe gli infiniti: nella relatività li
incontriamo nelle singolarità dei buchi neri e nel Big Bang; nella meccanica
quantistica, si trovano nell’energia del vuoto e in certe parti della teoria
quantistica dei campi. Forse, entrambe le teorie sono semplici approssimazioni
di una terza e più generale teoria che non presenta infiniti. Nonostante ciò,
mentre Soler Gil e Alfonseca non possono al momento dimostrare la veridicità
del concetto delle infinite ripetizioni, essi sottolineano il fatto che il
punto cruciale della loro critica è quello di mostrare che l’idea rimane comunque
nell’ambito della filosofia o della fantascienza e non nell’ambito della cosmologia
moderna e la definiscono “scienza ironica”. Insomma, l’idea che le nostre vite
siano ripetute un numero infinito di volte da qualche parte nello spazio non è
in alcun modo certa o lontana dall’essere considerata probabile o plausibile. </span><span style="font-size: large;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<span style="background-color: white; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;"><span style="line-height: 115%;">arXiv: </span><span style="line-height: 18px;"><a href="http://arxiv.org/pdf/1301.5295v2" target="_blank">About the Infinite Repetition of Histories in Space</a></span></span><br />
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/08305106977611057570noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7973467142325335034.post-66245454930619313812013-01-20T10:29:00.003-08:002013-01-23T06:03:14.337-08:00Il 'muro di fuoco', un nuovo paradosso sui buchi neri<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">In un recente articolo apparso su </span></span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 14px;"><a href="https://simonsfoundation.org/" target="_blank">Simons Foundation</a> dal titolo </span><span style="background-color: white; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 1.31em; text-align: start;"><a href="https://simonsfoundation.org/features/science-news/mathematics-and-physical-science/alice-and-bob-meet-the-wall-of-fire/" style="color: #384da0;" target="_blank">Alice and Bob Meet the Wall of Fire</a>,</span><span style="background-color: white; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 1.31em; text-align: start;"> </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><strong style="background-color: white; border: 0px; font-weight: normal; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"><a href="http://www.jenniferouellette-writes.com/" style="line-height: 24px;" target="_blank">Jennifer Ouellette</a><span style="line-height: 20.953125px;"><span style="font-size: x-small;"> </span>riporta le ultime idee bizzarre emerse al workshop di Stanford tenutosi a Novembre dell'anno passato su un nuovo paradosso che riguarda gli enigmatici buchi neri.<span style="font-size: x-small;"> </span></span></strong></span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 115%;">Di solito, quando vengono proposti alcuni esperimenti mentali i protagonisti principali si chiamano Alice e Bob. Oggi, però, pare che i due ragazzi siano arrivati ad un
bivio. Tra i due, la più avventuriera e piuttosto spericolata Alice vuole saltare
in un buco nero molto massiccio, lasciandosi alle spalle lo sconsolato Bob che
rimane al di là dell’orizzonte degli eventi, cioè quella regione ideale
superata la quale niente, nemmeno la luce, può tornare indietro. Ma vediamo un pò più in dettaglio di che cosa si tratta.</span></div>
</div>
<a name='more'></a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><o:p></o:p></span><br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkf20OtglaOtsm7LQCEpwylVHlnAFXYKhuOt-352DQpM1jXhek_Mv91XVyV3DGE-Cei-N3p1YVRBdnt2JfBJa3drde0y-HRnOK7mj0nu_aJTZLAX9VU8pvWc7Ic6MYRSaq42TP2s_bLLes/s1600/alice-falling.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="256" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkf20OtglaOtsm7LQCEpwylVHlnAFXYKhuOt-352DQpM1jXhek_Mv91XVyV3DGE-Cei-N3p1YVRBdnt2JfBJa3drde0y-HRnOK7mj0nu_aJTZLAX9VU8pvWc7Ic6MYRSaq42TP2s_bLLes/s320/alice-falling.jpg" width="320" /></a></div>
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Per convenzione, i fisici hanno
assunto una ipotesi in base alla quale nel caso in cui il buco nero sia
abbastanza grande Alice non avrà modo di notare nulla di strano man mano che
attraversa l’orizzonte degli eventi. In questo caso, che è stato denominato in
maniera fantasiosa “nessun dramma”, le forze gravitazionali non diventeranno così
estreme finchè Alice non raggiunge un particolare punto all’interno del buco
nero, cioè la singolarità. Qui, l’attrazione gravitazionale sarà molto più
intensa in prossimità dei piedi rispetto alla testa al punto tale che il suo
corpo assumerà la forma di uno spaghetto. Ma oggi una nuova ipotesi dà alla
povera Alice una situazione ancora più drammatica. In altre parole, secondo
questa ipotesi alternativa, si ha che nel momento in cui Alice attraversa l’orizzonte
degli eventi essa incontrerà una sorta di “muro o barriera di fuoco” che la incenerirà
immediatamente. Tuttavia, ciò implica che almeno una delle tre nozioni della
fisica teorica deve essere sbagliata. Da quando questo argomento è stato proposto,
sin già al workshop di Stanford, molti teorici sono rimasti
scettici e hanno dibattuto in maniera alquanto accesa queste idee. Inoltre, dopo
la pubblicazione di una serie di articoli, alcuni scienziati hanno fatto un
passo indietro e ritengono che siamo di fronte ad un forte paradosso. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 115%;">In fisica, i paradossi spesso
permettono di chiarire alcuni concetti. Nel nostro caso, il punto cruciale del
puzzle ruota attorno al conflitto tra tre postulati fondamentali della fisica.
Il primo, che si basa sul principio di equivalenza della relatività generale,
porta allo scenario “nessun dramma”: dato che Alice si trova in caduta libera
mentre attraversa l’orizzonte degli eventi, e dato che non esiste alcuna
differenza tra caduta libera e moto inerziale, essa non dovrebbe sentire gli
effetti estremi della forza di gravità. Il secondo postulato si basa sull’assunzione
dell’unitarietà della meccanica quantistica secondo cui l’informazione che cade
verso un buco nero non viene persa irreversibilmente. Infine, c’è l’ipotesi
della “normalità” e cioè il fatto che la fisica funziona come ci aspettiamo in
una regione molto distante dal buco nero, anche se viene meno in qualche punto
al suo interno, o nel punto della singolarità o ancora in prossimità dell’orizzonte
degli eventi. Presi insieme, questi tre postulati formano ciò che <a href="http://physics.berkeley.edu/index.php?option=com_dept_management&act=people&Itemid=312&task=view&id=357" target="_blank">Raphael Bousso, un fisico presso l’University of California a Berkeley</a></span>, chiama
molto tristemente “il menu dell’inferno”. Dunque, per risolvere il paradosso,
occorre sacrificare uno dei tre postulati ma nessuno è in grado di dire quale
di essi dovrebbe essere. Ora ai fisici non piace abbandonare un postulato che si
basa sul concetto di tempo e questo è il motivo perché molti scienziati trovano
l’ipotesi del muro di fuoco alquanto 'nociva'. “<i>Odio questo paradosso</i>” ha dichiarato <a href="http://www.theory.caltech.edu/~preskill/" target="_blank">John Preskill del California Institute of Technology (Caltech)</a> ad un meeting informale organizzato da <a href="https://physics.stanford.edu/people/faculty/leonard-susskind" target="_blank">Leonard Susskind della Stanford University</a> l’estate scorsa dove per due giorni una
cinquantina di fisici si sono confrontati presentando le loro idee strane e bizzarre
al fine di risolvere il paradosso del muro di fuoco. Secondo <a href="http://www.kitp.ucsb.edu/joep" target="_blank">Joseph Polchinski, un teorico delle stringhe presso l’University of California a Santa Barbara</a>, la
soluzione più semplice è quella per cui il principio di equivalenza venga meno
in prossimità dell’orizzonte degli eventi causando il muro di fuoco. Polchinski
è uno degli autori dell’<a href="http://arxiv.org/pdf/1207.3123.pdf">articolo</a>
da dove tutto è cominciato, scritto assieme ad <a href="http://cpr-grqc.blogspot.it/2012/07/12073123-ahmed-almheiri-et-al.html" target="_blank">Ahmed Almheiri</a>, <a href="http://www.physics.ucsb.edu/people/academic/donald-marolf" target="_blank">Donald Marolf</a> e
<a href="http://www.marxiv.org/?query=au%3ASully_James&page=0&type=search" target="_blank">James Sully</a>, un gruppo di ricercatori che viene spesso indicato con la sigla “AMPS”.
Ma lo stesso Polchinski ritiene che questa idea sia un pò bizzarra. Se c’è un
errore concettuale all’ipotesi del muro di fuoco, questo errore non è del tutto
ovvio. Per questo siamo di fronte ad un buon paradosso scientifico. Se il
gruppo AMPS si sbaglia, <a href="http://arxiv.org/abs/1208.3445">secondo
Susskind</a>, allora i fisici dovranno spingersi oltre verso la formulazione di
una solida teoria della gravità quantistica. Dopo tutto, i buchi neri sono gli
oggetti più enigmatici e i più interessanti per gli astrofisici poiché sia la
relatività generale che la meccanica quantistica vengono applicate, rispetto al
resto dell’Universo, là dove gli oggetti sono governati dalla meccanica
quantistica su scale subatomiche e dalla relatività generale su larga scala. Le
due teorie sono valide nei rispettivi regimi ma l’obiettivo dei fisici è quello
di unificarle al fine di risolvere alcune ‘anomalie fisiche’ come i buchi neri
e l’origine dell’Universo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Gli argomenti sono molto complicati
e sottili, perciò se fossero semplici da trattare quasi certamente non staremmo
qui a parlare di paradossi. C’è da dire che la maggior parte dei concetti
presentati dal gruppo AMPS si basano sulla nozione del cosiddetto ‘entanglement
quantistico monogamo’, cioè si può avere un tipo di entanglement quantistico
per volta. I quattro scienziati sostengono che affinchè i tre postulati siano
veri occorrono almeno due tipi di entanglement. Ma dato che le regole della
meccanica quantistica non permettono di avere entrambi gli entanglement
quantistici, bisogna sacrificare uno dei tre postulati. </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://simonsfoundation.org/wp-content/uploads/2012/12/monogamy2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="188" src="https://simonsfoundation.org/wp-content/uploads/2012/12/monogamy2.jpg" width="400" /></a></td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">Con le correlazioni quantistiche,
Bob può risultare estremamente correlato con Alice o con Carrie, ma non con
entrambi. Credit: John Preskill</span><span style="font-size: large;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-size: x-small;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il fenomeno dell’entanglement,
che Einstein definì ridicolizzandolo come “<i>un’azione a distanza che fa accapponare
la pelle</i>”, è una caratteristica ben nota della meccanica quantistica. Perciò,
nel nostro esempio, Alice e Bob rappresentano una coppia di particelle ‘correlate’.
Quando le particelle subatomiche collidono, esse possono diventare invisibilmente
connesse anche se fisicamente possono essere separate. Persino ad una certa
distanza, le particelle sono in qualche modo interconnesse e si muovono come se
fossero un singolo oggetto. Questo vuol dire che se conosciamo il comportamento
di una particella possiamo rivelare istantaneamente quello dell’altra. Il punto
è che si può avere un entanglement alla volta. Nella fisica classica, così come
ha spiegato <a href="http://quantumfrontiers.com/2012/12/03/is-alice-burning-the-black-hole-firewall-controversy/">Preskill
nel blog Quantum Frontiers</a>, Alice e Bob possono avere entrambi la copia
dello stesso giornale il che dà loro la stessa informazione e li rende “fortemente
correlati”. Una terza persona, Carrie, può comprare una copia dello stesso
giornale che le permette di avere la stessa informazione e di creare di
conseguenza una correlazione con Bob senza indebolire la sua correlazione con
Alice. Di fatto, un numero imprecisato di persone può comprare la stessa copia
di giornale e diventare così fortemente correlato l’uno con l’altro, come in
una sequenza a catena. Tuttavia, questo non è il caso in meccanica quantistica.
Affinchè Alice e Bob abbiano la massima correlazione, i rispettivi giornali
devono avere la stessa orientazione. Finchè l’orientamento dei giornali è lo
stesso, Alice e Bob avranno accesso alla stessa informazione. “<i>Dato che esiste un solo modo di leggere il
giornale nella fisica classica e diversi modi nella fisica quantistica, le
correlazioni quantistiche sono più forti rispetto a quelle classiche” </i>ha
dichiarato Preskill<i>. </i>Ciò fa sì che Bob
non sia fortemente correlato con Carrie rispetto a quanto lo sia con Alice
senza sacrificare parte della sua correlazione con la stessa Alice. Tutto
questo risulta molto problematico dato che esiste più di un tipo di
correlazione associata con un buco nero e con le ipotesi avanzate dal gruppo
AMPS le due vanno in conflitto. C’è una correlazione tra Alice, l’osservatore
in caduta libera, e Bob, l’osservatore che rimane al di là dell’orizzonte degli
eventi, che è richiesta per preservare lo scenario “nessun dramma”. Ma c’è
anche una seconda correlazione che emerge da un altro famoso paradosso in
fisica relativo alla questione sull’informazione se venga persa, o meno, in un
buco nero. </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://simonsfoundation.org/wp-content/uploads/2012/12/Hawking-diagram.png" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="400" src="https://simonsfoundation.org/wp-content/uploads/2012/12/Hawking-diagram.png" width="363" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">La radiazione Hawking è il
risultato della produzione di coppie di particelle virtuali che emergono dal
vuoto quantistico in prossimità dell’orizzonte degli eventi: una particella
cade verso il buco nero mentre la compagna riesce a sfuggire verso l’esterno.
Come conseguenza di ciò, la massa del buco nero descresce e viene emesse
sottoforma di radiazione. </span></span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 115%;">Credit: Joseph Polchinski</span></div>
</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 115%;">Negli anni ’70, <a href="http://www.hawking.org.uk/" target="_blank">Stephen Hawking</a> trovò che i buchi neri non sono
completamente neri. Mentre tutto può sembrare a posto per Alice man mano che
attraversa l’orizzonte degli eventi, dal punto di vista di Bob l’orizzonte
degli eventi potrebbe ‘ardere’, per così dire, come un pezzo di carbone, un
fenomeno noto come radiazione Hawking. La radiazione Hawking è dovuta all’apparizione
di coppie di particelle virtuali che emergono dal vuoto quantistico in
prossimità dell'orizzonte degli eventi. Di solito, le particelle collidono e annichilano
emettendo energia, ma a volte capita che una delle due particelle viene
attratta dal buco nero e l’altra sfugge verso l’esterno. La massa del buco
nero, che deve decrescere leggermente per far fronte a questo effetto e
assicurare che l’energia sia conservata, ‘evapora’ gradualmente. Quanto poi
velocemente evapori dipende dalla dimensione del buco nero: più grande è il
buco nero e più lentamente esso evapora. Hawking assume che una volta che la
radiazione evapora, qualsiasi informazione contenuta dal buco nero viene persa
in quella radiazione. “</span><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 115%;">Non solo Dio gioca
a dadi ma a volte ci confonde lanciando i dadi dove non possono essere visti” </i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 115%;">dichiarò
una volta Hawking. Ricordiamo che negli anni ‘90 lo stesso Hawking e <a href="http://www.its.caltech.edu/~kip/" target="_blank">Kip Thorne</a>
fecero una scommessa con il più scettico Preskill sul paradosso della perdita
dell’informazione nel buco nero. Preskill insisteva che l’informazione fosse
conservata mentre al contrario Hawking e Thorne ritenevano che l’informazione
fosse persa. I fisici trovarono alla fine che è possibile preservare l’informazione
ma a un costo: man mano che il buco nero evapora, la radiazione Hawking deve
diventare via via sempre più correlata con l’area esterna all’orizzonte degli eventi.
In questo modo quando Bob osserva la radiazione egli è in grado di estrarre, in
qualche modo, l’informazione. Ma che succede se Bob confrontasse la sua
informazione con quella di Alice una volta superato l’orizzonte degli eventi? </span><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 115%;">“Sarebbe un disastro”, </i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 115%;">afferma Bousso, </span><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 115%;">“perché Bob, l’osservatore esterno, vede la
stessa informazione nella radiazione Hawking e se loro ne parlassero si
tratterebbe di una specie di ‘fotocopia quantistica’, cosa che non permessa
nella meccanica quantistica”</i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 115%;">. I fisici, guidati da Susskind, hanno
dichiarato che la discrepanza tra questi due punti di vista del buco nero va
bene fino a che è impossibile per Alice e Bob condividere le rispettive
informazioni. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://simonsfoundation.org/wp-content/uploads/2012/12/Entangled-diagram.png" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="400" src="https://simonsfoundation.org/wp-content/uploads/2012/12/Entangled-diagram.png" width="228" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">La correlazione delle particelle
nell’ambito dello scenario Nessun Dramma: Bob, che sta al di fuori dell’orizzonte
delle particelle (linee puntiformi), è correlato con Alice che si trova
immediatamente all’interno dell’orizzonte degli eventi, nel punto (b). Nel
corso del tempo, Alice (b’) si sposta verso la singolarità (linea a zigzag)
mentre Bob (b’’) rimane al di fuori del buco nero. </span></span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 115%;">Credit: Joseph Polchinski</span></div>
</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 115%;">Questo concetto, chiamato complementarità, dice semplicemente che
non esiste una contraddizione diretta poiché
nessun singolo osservatore può stare sia all’interno che all’esterno dell’orizzonte
degli eventi. Se Alice sorpassa l’orizzonte degli eventi, ad esempio essa vede
una stella all’interno di quella superficie ideale e lo vuole dire a Bob, la
relatività generale pone dei limiti tali che ad Alice sia impedito di farlo. Le
argomentazioni di Susskind sul fatto che l’informazione possa essere preservata
senza ricorrere al concetto di ‘fotocopia quantistica’ fu abbastanza
convincente al punto che Hawking perse la scommessa nel 2004. Egli regalò a
Preskill una enciclopedia del baseball scrivendo la frase “<i>l’informazione può
essere estratta a piacere</i>”, anche se Thorne si dimostrò più cocciuto nel considerarsi
sconfitto. Bousso ritenne che il concetto di complementarità potesse venire in
soccorso per risolvere il paradosso del muro di fuoco e ben presto capì che era
insufficiente. La complementarità è un concetto teorico che è stato sviluppato
per spiegare un determinato problema e cioè quello di riconciliare i due punti
di vista degli osservatori che si trovano all’interno e all’esterno rispetto
all’orizzonte degli eventi. Ma il muro di fuoco è una sorta di “</span><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 115%;">bit</i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 115%;">”, il più piccolo che si trova all’esterno
dell’orizzonte degli eventi e che fornisce ad Alice e a Bob lo stesso punto di
vista, così che la complementarità non risolve il paradosso.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Se Alice e Bob vogliono superare il
problema del muro di fuoco e preservare lo scenario “nessun dramma”, i fisici
devono trovare un nuovo approccio teorico a questa situazione unica o ammettere
che Hawking aveva forse ragione per cui l’informazione viene davvero persa. A
questo punto, Preskill dovrà restituire l’enciclopedia a Hawking. Dunque, è stato
alquanto sorprendente vedere lo stesso Preskill suggerire ai suoi colleghi al
meeting di Stanford il fatto di riconsiderare la possibilità che l’informazione
vada persa. Sebbene non sappiamo come renderla sensata nell’ambito della
meccanica quantistica senza considerare il concetto di unitarietà, “<i>questo non significa che non possa essere
fatto”</i> ha detto Preskill. <i>“Guardati
allo specchio e chiediti: dovrei scommettere la mia vita sul concetto dell’unitarietà?”.</i>
Polchinski dichiara, in modo quasi persuasivo, che Alice e Bob debbano essere
correlati per preservare lo scenario “nessun dramma” e che la radiazione
Hawking sia correlata con l’area all’esterno dell’orizzonte degli eventi affinchè
l’informazione quantistica sia conservata. Tuttavia, non si possono avere
entrambi. Se si sacrifica la correlazione della radiazione Hawking con l’area
esterna all’orizzonte degli eventi, si perde l’informazione. Se si sacrifica la
correlazione tra Alice e Bob si ottiene il muro di fuoco. <i>“La meccanica quantistica non permette l’esistenza di entrambe” </i>spiega
Polchinski. <i>“Se si perde la correlazione tra
Alice, in caduta libera verso il buco nero, e Bob, che è l’osservatore esterno,
significa che dobbiamo mettere qualche tipo di vincolo nello stato quantistico
proprio all’orizzonte degli eventi. Abbiamo spezzato un legame, in qualche
modo, e quel legame spezzato richiede energia. Questo ci dice che il <a href="http://blogs.discovermagazine.com/cosmicvariance/2012/09/27/guest-post-joe-polchinski-on-black-holes-complementarity-and-firewalls/#.UMpNp7ZidT4">muro
di fuoco deve essere là</a>”.</i> La conseguenza nasce dal fatto che la correlazione
tra l’area esterna all’orizzonte degli eventi e la radiazione Hawking deve
aumentare man mano che il buco nero evapora. Quando circa metà della massa è
stata irradiata, il buco nero assume la massima correlazione e subisce
essenzialmente una sorta di ‘crisi di mezza età’. “<i>E’ come se la singolarità, che ci aspettavamo proprio in profondità del
buco nero, fosse avanzata pian piano fino all’orizzonte degli eventi una volta
che il buco nero è, per così dire, invecchiato”. </i>E il risultato di questa
collisione tra la singolarità e l’orizzonte degli eventi è proprio il nostro
terribile muro di fuoco.<i> </i>L’immagine
mentale di una singolarità che migra dalle profondità del buco nero fino all’orizzonte
degli eventi ha provocato una sorta di incredulità durante il meeting, una
reazione che <a href="http://arxiv.org/abs/arXiv:1207.5192">Bousso ha trovato
incomprensibile</a>. <i>“Dovremmo essere
arrabbiati”, </i>dice Bousso. <i>“Si tratta
di un terribile colpo per la relatività generale”. </i>Come tutti coloro che
sono scettici al concetto del muro di fuoco, anche <a href="http://www.youtube.com/watch?v=fnHEZxbK3lU">Bousso è preoccupato come
parte in causa di questo dibattito scientifico</a>. <i>“Forse questa è la cosa più eccitante che mi è capitata da quando
faccio il fisico. Si tratta certamente di uno dei paradossi più difficili da
risolvere e sono contento di lavorarci”. </i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Insomma, la morte di Alice a causa del muro
di fuoco sembra destinata ad unirsi alla lista degli esperimenti mentali della
fisica classica. Man mano che i fisici comprenderanno sempre più la gravità
quantistica, essa apparirà sempre più diversa dal quadro mediante il quale
comprendiamo come funziona l’Universo. Ora gli scienziati si trovano di fronte a
un bivio e cioè quello di sacrificare o il concetto di unitarietà o quello del
nessun dramma, altrimenti dovranno prendere una strada diversa che li conduca ad
un cambiamento radicale nell’ambito della teoria quantistica dei campi. O,
forse, si tratta solo di un grosso abbaglio. Ad ogni modo, i fisici sono
consapevoli che continuano ad imparare nuove cose.</span><span style="font-size: large;"><o:p></o:p></span></span><br />
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">Per maggiori approfondimenti vedasi: <a href="http://www.ibs.it/ebook/Ruscica-Corrado/Enigmi-astrofisici/9788878691100.html" target="_blank">Enigmi Astrofisici</a></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/08305106977611057570noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7973467142325335034.post-65226513512708411172012-12-29T03:51:00.002-08:002012-12-29T05:30:46.752-08:00Materia scura, siamo sulla ‘soglia’ di una scoperta?<br />
<div style="text-align: left;">
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 115%;">Sono passati più di 2000 anni dai
tempi in cui l’uomo si chiedeva di cosa siamo fatti, di che cosa è fatto l’Universo
che circonda. Abbiamo pensato che tutto ciò che brillasse intorno a noi, sia
sulla Terra che nello spazio, costituisse tutta la materia presente nell’Universo.
Ma gli scienziati hanno scoperto che non è tutto ciò che brilla nella luce che
caratterizza l’Universo piuttosto ciò che si nasconde nell’oscurità. C’è quindi
un problema: il contenuto di tutta la materia visibile nell’Universo è solo il
4-5% circa. Dov’è tutto il resto?</span><span style="line-height: 115%;"> </span><span style="line-height: 115%;">Si ritiene che la cosiddetta materia scura
contribuisca a circa il 23% del contenuto materia-energia dell’Universo, anche
se gli scienziati non hanno idea di che cosa si tratti dato che non è possibile
osservarla direttamente (per questo motivo è stata definita con l’aggettivo “scura”).
Dunque, come possiamo rivelarla e, se un giorno saremo in grado di farlo, che
tipo di informazione ricaveremo sulla natura dell’Universo?</span></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://www.kavlifoundation.org/sites/default/files/image/astrophysics/PIA13616-350.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" border="0" height="320" src="http://www.kavlifoundation.org/sites/default/files/image/astrophysics/PIA13616-350.jpg" title="This is one of the most detailed maps of dark matter in our universe ever created. The location of the dark matter (tinted blue) was inferred through observations of magnified and distorted distant galaxies seen in this picture. (Credit: NASA/JPL-Caltech/ESA/Institute of Astrophysics of Andalusia, University of Basque Country/JHU)" width="311" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 115%;">L’<a href="http://www.kavlifoundation.org/" target="_blank">Istituto Kavli per la Cosmologia presso l’Università di Chicago</a> e l’<a href="http://www.nasonline.org/" target="_blank">Accademia Nazionale per le Scienze</a> hanno
organizzato di recente un meeting allo scopo di far incontrare cosmologi,
fisici delle particelle e astrofisici, unificando, per così dire, tre campi
della ricerca per tentare di risolvere questo enigma della cosmologia moderna. Il
meeting, tenutosi verso la metà di Ottobre presso il <span id="goog_1321939179"></span><a href="http://www.thebeckmancenter.org/" target="_blank">Centro Beckman della </a></span><span style="color: windowtext; line-height: 115%; text-decoration: initial;"><a href="http://www.thebeckmancenter.org/" target="_blank">National Academy of Sciences</a></span><span style="line-height: 115%;"><a href="http://www.thebeckmancenter.org/" target="_blank"> a Irvine,in California</a><a href="http://www.blogger.com/"><span id="goog_1321939180"></span></a>, aveva per titolo “<a href="http://www.cvent.com/events/dark-matter-colloquium/event-summary-a461624cc2b74e05894dd87a02e9650b.aspx" target="_blank"><i>Dark Matter Universe: On the Threshold of Discovery</i></a>”. Lo scopo del congresso era quello di far luce sulle ultime
teorie e sui modelli che tentano di spiegare la natura e l’origine della
materia scura, di discutere quanto siamo vicini ad una eventuale scoperta e
stimolare varie tematiche e collaborazioni internazionali allo scopo di
risolvere questo enigma astrofisico. Alla conclusione del meeting, l’Istituto
Kavli ha incontrato tre scienziati che sono stati tra i leader e gli
organizzatori del congresso: <a href="http://kicp.uchicago.edu/people/profile/michael_turner.html" target="_blank">Michael Turner</a>, <a href="http://kicp.uchicago.edu/people/profile/edward_kolb.html" target="_blank">Edward Kolb</a> e <a href="http://www.hep.caltech.edu/~smaria/" target="_blank">Maria Spiropulu</a>. Qui
di seguito la trascrizione di alcune domande, con le relative risposte, che
l’Istituto Kavli ha posto ai tre scienziati. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 115%;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Istituto Kavli</span></b><span style="line-height: 115%;">: Questo congresso ha riunito cosmologi, astronomi osservativi
e fisici delle particelle. Come mai questa varietà di ricercatori e perché
oggi?<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Michael Turner</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Cercare di
comprendere cos’è la materia scura è diventato un problema che astrofisici,
cosmologi e fisici delle particelle vogliono tutti risolvere, dato che essa
giuoca un ruolo fondamentale per capire come funziona il nostro Universo. Oggi
abbiamo a disposizione una ipotesi che si basa sull’esistenza di alcune
particelle, denominate WIMPs. Queste particelle, che non irradiano la luce e
che interagiscono raramente con la materia ordinaria, si pensa siano le
migliori particelle candidate come costituenti della materia scura. Dopo
decenni di tentativi, finalmente abbiamo tre modi per verificare se tale
ipotesi sia vera o falsa.<o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Edward Kolb</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Il titolo del
congresso è proprio la risposta alla Vostra domanda e forse tra uno o due anni
saremo vicini alla soglia della scoperta. Dunque, è importante sentire i pareri
e le opinioni di vari ricercatori che appartengono a discipline diverse.<o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 115%;"><i><br /></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Istituto Kavli</span></b><span style="line-height: 115%;">: Dunque, la materia scura è un puzzle che tutti
vogliono risolvere.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Michael Turner</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Dieci anni fa,
non credo che avreste trovato astronomi, cosmologi e fisici delle particelle
riuniti insieme per discutere il problema della materia scura. Oggi le cose
sono cambiate. E tutti ritengono che il mistero possa essere risolto in tempi
brevi. E’ assolutamente interessante ascoltare i fisici delle particelle mentre
spiegano le eventuali evidenze dell’esistenza della materia scura e viceversa
gli astronomi quando spiegano come le particelle WIMPs potrebbero rappresentare
la materia scura. Una cosa è certa: durante questo congresso nessuno ha detto
di negare l’evidenza o tantomeno di ridicolizzare il fatto che esista una nuova
forma di materia a noi sconosciuta.<o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Maria Spiropulu</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Una cosa importante
che è saltata fuori da questo meeting è che i ricercatori delle varie
discipline cominciano ad utilizzare un nuovo linguaggio che nonostante non sia
ancora assodato viene comunque compreso dalla comunità scientifica. Questo è
importante perché cosmologi e fisici delle particelle hanno a lungo dibattuto sul
fatto di collegare, in qualche modo, l’Universo infinitamente grande con quello
infinitamente piccolo. <o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Michael Turner</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Vorrei
sottolineare un punto: in realtà, il tentativo di far convergere il mondo delle
particelle con quello delle galassie ebbe inizio negli anni ’80. Tutto cominciò
con il problema dell’asimmetria barionica, mentre i problemi legati ai monopoli
magnetici e alla materia scura ebbero un minor peso. I fisici delle particelle
furono d’accordo nell’ammettere che la materia scura rappresentasse un problema
reale ma fu detto anche che la soluzione dovesse arrivare dall’astrofisica.</i> <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 115%;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Istituto Kavli</span></b><span style="line-height: 115%;">: Perché è importante la questione della materia
scura?<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Edward Kolb</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Come
cosmologo, posso dire che uno dei punti chiave è quello di capire di che cosa è
fatto l’Universo. Con buona approssimazione possiamo dire che le galassie e le
altre strutture che ammiriamo oggi sono fatti essenzialmente di materia scura.
Siamo arrivati a questa conclusione dopo una serie di forti evidenze per cui
ora dobbiamo capire di che cosa stiamo parlando. L’emozione che stiamo tutti
vivendo è che siamo vicini ad una risposta e, con ogni probabilità, sarà uno
studente o un ricercatore che, dopo aver analizzato i propri dati nel corso dei
prossimi 10 anni, scoprirà definitivamente di che cosa sono fatte
principalmente le galassie, un fatto che accadrà solo una volta nella storia
degli esseri umani.<o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Michael Turner</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Il problema
della materia scura ha le sue origini a partire dagli anni ’30, quando
l’astronomo svizzero <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Fritz_Zwicky" target="_blank">Fritz Zwicky</a> trovò che non c’erano abbastanza stelle negli
ammassi di galassie per mantenerle insieme sotto l’azione della gravità. Poi,
lentamente si ebbero altre osservazioni e contributi, come ad esempio gli studi
sulle curve di rotazione delle galassie a spirale eseguite da <a href="http://www.physics.ucla.edu/~cwp/articles/rubindm/rubindm.html" target="_blank">Vera Rubin</a> negli
anni ’70, fino ad arrivare ai nostri giorni per cui oggi possiamo affermare che
la percentuale di materia scura ammonta al 23%, mentre la materia ordinaria
rappresenta solo il 4,5% e tutto il resto costituisce un mistero ancora più
grande (l’energia scura). Niente in cosmologia ha senso senza considerare la
materia scura. Essa è stata necessaria per formare le galassie, le stelle e le
altre strutture presenti nell’Universo. Quindi essa è assolutamente
fondamentale per la cosmologia. Inoltre sappiamo che nessuna delle particelle
note costituisce la materia scura, perciò deve esistere in natura una nuova
particella. <o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Maria Spiropulu</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Voglio dire
una cosa. Il fenomeno associato alla materia scura è stato scoperto grazie alle
osservazioni. Sappiamo che le galassie sono sistemi legati che non si
disperdono nello spazio e vale lo stesso discorso per gli ammassi di galassie.
Quindi abbiamo delle strutture. Qualsiasi cosa le tenga insieme, qualsiasi
forma essa abbia, la chiamiamo materia scura. Questo è il modo con cui lo
spiego ai miei studenti. E’ come una storia fantastica, un mistero “oscuro”,
tuttavia tutte le strutture che osserviamo nell’Universo sono legate insieme
grazie alla presenza di questa componente enigmatica.<o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 115%;"><i><br /></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Istituto Kavli</span></b><span style="line-height: 115%;">: La materia scura viene spesso descritta dai media
come qualcosa che è stata desunta grazie ai suoi effetti gravitazionali che
essa esercita sulla materia ordinaria. Tuttavia non ci si limita solo a questa
descrizione, così come ha dichiarato <a href="http://www.astro.princeton.edu/people/webpages/jpo/" target="_blank">Jeremiah Ostriker</a>.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Michael Turner</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Assolutamente.
La materia scura giuoca un ruolo importante per la cosmologia e l’evidenza
della sua esistenza proviene da tutta una serie di misure: la quantità di
deuterio prodotto in seguito al Big Bang, la radiazione cosmica di fondo, la
formazione delle strutture cosmiche, le curve di rotazione delle galassie, il
fenomeno della lente gravitazionale, e così via.<o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 115%;"><i><br /></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Istituto Kavli</span></b><span style="line-height: 115%;">: Secondo Ostriker, l’esistenza della materia scura
nell’Universo sarebbe in accordo con le previsioni del modello cosmologico
standard. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Michael Turner</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Secondo il
punto di vista di Ostriker, si. Abbiamo detto che la quantità di materia scura
è cinque volte superiore a quella della materia ordinaria e la sua esistenza ci
permette di capire la storia cosmica dalle origini fino ad oggi. Se qualcuno affermasse
che non abbiamo più bisogno di ammettere l’esistenza della materia scura, il
nostro attuale modello cosmologico verrebbe meno. <o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 115%;"><i><br /></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Istituto Kavli</span></b><span style="line-height: 115%;">: Ostriker ha inoltre affermato che dovremmo essere
aperti ad assumere come componenti della materia scura qualsiasi altra forma di
particella e non solamente limitarci alle WIMPs. Ad esempio, altre particelle
candidate potrebbero essere i neutrini o gli assioni.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Michael Turner</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Si perché lui
non si preoccupa di capire cosa può essere la materia scura. Tutte queste
particelle vanno bene ma il rovescio della medaglia è che la cosmologia ci dice
poco sulla sua natura e origine tranne il fatto che essa è ‘fredda’.<o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 115%;"><i><br /></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Istituto Kavli</span></b><span style="line-height: 115%;">: Secondo Voi, queste particelle vanno altrettanto
bene per spiegare la materia scura?<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Edward Kolb</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>In realtà, per
la materia scura fredda, cioè composta da particelle che si muovono molto
lentamente in confronto alla velocità della luce e che sono quelle richieste
per formare le galassie e gli ammassi di galassie, tutte queste particelle sono
buone candidate. Sulle WIMPs abbiamo buone possibilità di realizzare una serie
di test sperimentali. Quindi non dobbiamo aspettare i prossimi 30 anni o il
prossimo secolo come potrebbe darsi nel caso in cui tentassimo di rivelare un
altro tipo di particella che stiamo ipotizzando oggi. In altre parole, non
occorre costruire un acceleratore di particelle più grande di LHC.<o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 115%;"><i><br /></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Istituto Kavli</span></b><span style="line-height: 115%;">: Cosa vi rende ottimisti sul fatto che siamo oggi
sulla soglia di una scoperta?<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Edward Kolb</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Prima di
tutto, l’ipotesi in base alla quale la materia scura è costituita dalle
particelle WIMPs, e che è stata generata da particelle normali, come i quark,
durante le fasi primordiali della storia dell’Universo, è una conquista
affascinante. Ci aspettiamo di produrre le WIMPs negli acceleratori di
particelle non solo ma ci aspettiamo che esse annichilino ancora oggi nella
Galassia per cui dovremmo rivelarle indirettamente. Dunque, chi sarà il primo a
rivelare le WIMPs? Forse un ricercatore tra 30 anni, comunque sia dovremmo
essere capaci di rivelarle sia direttamente che indirettamente. <o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Maria Spiropulu</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Con <a href="http://lhc.web.cern.ch/lhc/" target="_blank">LHC</a>, e
ancora prima con il <a href="http://www-bdnew.fnal.gov/tevatron/" target="_blank">Tevatron</a>, abbiamo realizzato una serie di esperimenti alla
scopo di rivelare le particelle che compongono la materia scura. Per noi
scienziati, l’ottimismo è dovuto al fatto che LHC è operativo e ci permette di
raccogliere una grande quantità di dati. Il cosiddetto Modello Standard, che
descrive le proprietà ed il comportamento delle particelle elementari e le loro
interazioni fondamentali, ci dice matematicamente come si ottiene la materia
scura e se la matematica descrive accuratamente la realtà, allora LHC dovrà
raggiungere quelle energie necessarie per produrre le particelle che formano la
materia scura. Per esempio, abbiamo trovato una particella che assomiglia al
bosone di Higgs, ma ciò era previsto. Dunque il prossimo grande passo per
costruire il nostro “edificio della conoscenza” sarà quello di trovare le
superparticelle, cioè le particelle previste dalla supersimmetria, un modello
che se si dimostrerà vero potrà darci le ‘giuste’ particelle candidate per formare
la materia scura. Diciamo che si tratta di un miracolo perché la matematica
funziona. Tuttavia, il modo con cui si comporta la natura, alla fine della
storia, è ciò che vediamo nei dati. Dunque se sarà così, non parleremo di
miracoli. <o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Michael Turner</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Queste
particelle candidate, o WIMPs, spesso non interagiscono con la materia
ordinaria. Ci sono voluti 25 anni prima di migliorare la sensibilità dei
rivelatori di un fattore pari a circa un milione, perciò oggi abbiamo una
possibilità unica di rivelare le particelle della materia scura. Riteniamo che
siamo sulla strada giusta. Per quanto invece riguarda le osservazioni
indirette, oggi disponiamo dei telescopi spaziali, quali il <a href="http://fermi.gsfc.nasa.gov/" target="_blank">satellite Fermi</a>, o
il rivelatore terrestre <a href="http://icecube.wisc.edu/" target="_blank">IceCube</a> che possono rivelare le particelle ordinarie,
cioè positroni, raggi gamma o neutrini, che si generano quando le particelle della
materia scura annichilano, rivelandole così in maniera indiretta. <o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 115%;"><i><br /></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Istituto Kavli</span></b><span style="line-height: 115%;">: Solo pochi scienziati hanno dichiarato che le
particelle della materia scura potrebbero non essere mai rivelate.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Michael Turner</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Per la maggior
parte di noi, da circa 20 o 30 anni l’idea che la materia scura faccia parte
integrante di una teoria unificata è stata il “Santo Graal” della fisica e ha
portato all’ipotesi delle WIMPs e al fatto che la rivelazione di queste
particelle sia possibile. Tuttavia, c’è una generazione di fisici che affermano
che esiste una strada alternativa. In altre parole, la materia scura sarebbe la
punta dell’iceberg appartenente ad un mondo che non fa parte del nostro. Non
posso dire nulla di quest’altro mondo dove potrebbero non esistere regole,
almeno come noi le conosciamo. Forse, questa idea potrebbe essere corretta e
potrebbe essere la soluzione al mistero della materia scura. Ed è ciò che ha
portato lo stesso Ostriker a dichiarare che la scoperta delle particelle che
compongono la materia scura potrebbe avverarsi forse tra 100 anni. <o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 115%;"><i><br /></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Istituto Kavli</span></b><span style="line-height: 115%;">: Tra altri, <a href="http://hep.ucsb.edu/people/witherel/witherel.html" target="_blank">Michael Witherell</a> ha affermato che la
natura non sempre garantisce l’osservazione sperimentale.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Michael Turner</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Vero. Ma noi
abbiamo l’ipotesi delle WIMPs che è verificabile o meno. E ci sono buone
probabilità che sia vera.</i> <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 115%;"><i><br /></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Istituto Kavli</span></b><span style="line-height: 115%;">: Quando pensate di rivelare le WIMPs?<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Edward Kolb</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>E’ facile a
dirsi, almeno tra dieci anni. Abbiamo gli esperimenti di LHC, che sarà
pienamente operativo tra almeno un anno, le osservazioni di Fermi, e persino
esperimenti sotto terra con il rivelatore <a href="http://xenon.astro.columbia.edu/XENON100_Experiment/" target="_blank">Xenon100</a>.<o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 115%;"><i><br /></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Istituto Kavli</span></b><span style="line-height: 115%;">: Come anche il programma <a href="http://luxdarkmatter.org/" target="_blank">LUX</a>, ad esempio.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Edward Kolb</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Tra dieci
anni, se non avremo ottenuto alcuna evidenza dell’esistenza delle WIMPs o delle
superparticelle, dovremmo cambiare strada. Oggi nessun esperimento suggerisce
di farlo ma se tra dieci anni non otteniamo alcun indizio dovremo cercare delle
alternative. Oggi possiamo fare questa affermazione che non era possibile farla
dieci o addirittura cinque anni fa.</i> <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 115%;"><i><br /></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Istituto Kavli</span></b><span style="line-height: 115%;">: Questo perché abbiamo tanto lavoro da fare e abbiamo
eliminato altre possibilità.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Edward Kolb</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Siamo</i> <i>come in Ghostbusters, abbiamo gli strumenti.
Abbiamo il talento.<o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Maria Spiropulu</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Credo che sia
difficile dire che la scoperta sia dietro l’angolo. Se continuiamo con le
esclusioni, dovremo cercare altre idee. Stiamo cercando di capire che cosa sia
la materia scura. Non stiamo dicendo “è la materia scura”, non vogliamo dire
“l’Universo è” ma vogliamo capire esattamente di che cosa è fatto l’Universo.
Ci aspetta un grande lavoro e qualcuno comincia a dire che non sarà così facile
come dare la caccia al bosone di Higgs.<o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 115%;"><i><br /></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Istituto Kavli</span></b><span style="line-height: 115%;">: Vi aspettate che dalla materia scura si abbiano
ulteriori indizi sull’altro grande mistero della moderna cosmologia, l’energia
scura?<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Edward Kolb</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Forse non
impareremo nulla. Ma dipenderà dalla risposta che otterremo. Insomma, è anche
possibile che non avremo alcuna informazione importante sulla natura
dell’energia scura.<o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Michael Turner</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Possiamo dire
che ci sono due punti di vista. Uno è conservativo e vuole che la materia scura
è fatta proprio da quelle particelle che non emettono luce, insomma le
particelle più importanti rispetto a quelle di cui siamo fatti e che abbiamo
scoperto circa 70 anni fa. E l’energia scura è, invece, un problema nuovo che
non è correlato con la materia scura.</i>
<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 115%;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Istituto Kavli</span></b><span style="line-height: 115%;">: E l’unica cosa che esse condividono è il fatto che
sono sconosciute?<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Michael Turner</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Esatto. Il
punto di vista conservativo è il fatto che l’energia scura non sia correlata
alla materia scura. Ricordiamo che l’energia scura è quella forma di energia
che sta determinando l’espansione accelerata dell’Universo. Si tratta di un
modo molto semplicistico di risolvere i problemi considerandoli uno alla volta.
L’altro punto di vista è più radicale ed è stato introdotto da <a href="http://staff.science.uva.nl/~erikv/" target="_blank">Erik Verlinde</a> il
quale afferma che le due componenti siano correlate e che non abbiano a che
fare con le particelle. Si tratta di qualcosa di grande, molto grande. Le due
componenti sono correlate e puntano ad una spiegazione più completa. Non si può
discernere dalle due parlando di una in termini di particelle, la materia
scura, e l’altra in termini di energia, l’energia scura. Bisogna riconsiderare
il problema da un altro punto di vista.<o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Maria Spiropulu</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Credo che
bisogna osservare che il cosiddetto “settore scuro” debba aver a che fare con
la gravità. Forse la materia scura e l’energia scura sono correlate dalla
gravità. La forza di gravità è l’unica delle quattro forze che non siamo
riusciti a mettere insieme con le altre tre interazioni fondamentali.<o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Michael Turner</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Hai ragione,
la gravità potrebbe essere il legame, per così dire, tra le due componenti. Di
fatto, la gravità è la forza più importante in cosmologia e in astrofisica
mentre è la meno importante al livello atomico.<o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Edward Kolb</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Per fare una
battuta,</i> <i>la materia scura non solo tiene
insieme le galassie ma anche i cosmologi e i fisici delle particelle.<o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Michael Turner</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Sappiamo che
Einstein non ebbe l’ultima parola sulla gravità perché la sua teoria non
contempla la meccanica quantistica. Così, qualsiasi problema che riguarda la
presenza della gravità potrebbe essere il punto di partenza per arrivare a
formulare una teoria più completa della gravità. <o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Edward Kolb</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Non credo che
il pubblico sarebbe contento di sapere che ciò che è stato ritenuto corretto
per circa 30 anni sulle leggi fisiche e su come funziona l’Universo si
dimostrasse improvvisamente sbagliato.</i> <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Michael Turner</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Vogliamo nuovi
puzzle da risolvere.<o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Maria Spiropulu</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Sempre. E devo
dire che nel campo della fisica delle particelle esiste una lista di
esperimenti che sono stati concepiti negli ultimi 30 anni e che non hanno
trovato quello per cui erano stati costruiti. Nessuno. Hanno trovato
tutt’altro, altre cose certamente importanti. E’ incredibile. Un esempio
eclatante è il telescopio spaziale Hubble che ha permesso di rivelare più di
quanto non fosse stato concepito durante la sua progettazione.<o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Michael Turner</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>Credo che
l’Universo sia vasto. Spesso esso si trova ben al di là dei limiti
raggiungibili dai nostri strumenti ma oggi siamo arrivati al punto di
comprenderlo e di identificare cosa sia la materia scura. La vecchia
generazione di scienziati ha concepito l’ipotesi delle WIMPs e noi vogliamo
verificarla. La nuova generazione di scienziati vuole, invece, avere l’emozione
di risolvere il mistero.<o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="line-height: 115%;"><i><br /></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Istituto Kavli</span></b><span style="line-height: 115%;">: Qualcuno di Voi vorrebbe scambiare questo momento
della storia della fisica con un altro?<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b><span style="line-height: 115%;">Edward Kolb</span></b><span style="line-height: 115%;">: <i>No, no. Per la
materia scura credo che questo sia il momento giusto. Non vedo niente che possa
convergere ad un altro momento storico come questo ora.<o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Michael Turner</span></span></b><span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">: <i>Per concludere
possiamo dire, in analogia al Cavaliere Oscuro,</i> <i>che</i> </span><i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">questo è il momento giusto
per essere un “cosmologo scuro”.</span><span style="font-size: 20pt;"><o:p></o:p></span></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">More info: <a href="http://www.kavlifoundation.org/science-spotlights/astrophysics-closing-in-dark-matter" target="_blank">Are We Closing In On Dark Matter?</a></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<object class="BLOGGER-youtube-video" classid="clsid:D27CDB6E-AE6D-11cf-96B8-444553540000" codebase="http://download.macromedia.com/pub/shockwave/cabs/flash/swflash.cab#version=6,0,40,0" data-thumbnail-src="http://2.gvt0.com/vi/tip_mqA4WhY/0.jpg" height="266" width="320"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/tip_mqA4WhY&fs=1&source=uds" /><param name="bgcolor" value="#FFFFFF" /><param name="allowFullScreen" value="true" /><embed width="320" height="266" src="http://www.youtube.com/v/tip_mqA4WhY&fs=1&source=uds" type="application/x-shockwave-flash" allowfullscreen="true"></embed></object></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;"><span style="line-height: 18px;">
</span></span><br />
<hr />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;"><span style="line-height: 18px;">
Per approfondire questo argomento: <a href="http://www.ibs.it/ebook/Ruscica-Corrado/Idee-sull-universo/9788878690264.html" target="_blank">Idee sull'Universo</a> e <a href="http://www.ibs.it/ebook/Ruscica-Corrado/Enigmi-astrofisici/9788878691100.html?" target="_blank">Enigmi Astrofisici</a></span></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/08305106977611057570noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7973467142325335034.post-22941515821859466762012-12-26T03:09:00.002-08:002012-12-26T03:17:44.263-08:00SUSY, idee alternative per una nuova fisica<br />
<div data-mce-style="text-align: justify;" style="color: #333333; line-height: 1.5; margin-bottom: 24px; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Dopo che gli ultimi esperimenti realizzati al <a data-mce-href="http://lhc.web.cern.ch/lhc/" href="http://lhc.web.cern.ch/lhc/" style="color: #743399; line-height: 1.5;">Large Hadron Collider (LHC)</a> non hanno portato alla scoperta di quelle particelle la cui esistenza è prevista dalla teoria, la fisica sembra ritornare ad uno “scenario da incubo”. <span style="line-height: 1.5;">Era il 1982 quando il fisico lettone </span><a data-mce-href="http://www.tpi.umn.edu/shifman/" href="http://www.tpi.umn.edu/shifman/" style="color: #743399; line-height: 1.5;">Mikhail Shifman</a><span style="line-height: 1.5;"> fu attratto da una teoria elegante, nota come </span><a data-mce-href="http://it.wikipedia.org/wiki/Supersimmetria" href="http://it.wikipedia.org/wiki/Supersimmetria" style="color: #743399; line-height: 1.5;">supersimmetria</a><span style="line-height: 1.5;">, che tentava di descrivere tutte le particelle elementari note in un nuovo e più completo quadro dell’Universo. “</span><i style="border: none; color: inherit; line-height: 1.5;">I miei articoli produssero un vero e proprio entusiamo all’epoca</i><span style="line-height: 1.5;">”, afferma </span><a data-mce-href="http://www.tpi.umn.edu/shifman/" href="http://www.tpi.umn.edu/shifman/" style="color: #743399; line-height: 1.5;">Shifman, oggi professore di fisica all’età di 63 anni presso l’Università del Minnesota</a><span style="line-height: 1.5;">. Nel corso degli anni, egli assieme ad altre migliaia di fisici hanno sviluppato tutta una serie di ipotesi e modelli consapevoli che gli esperimenti avrebbero confermato l’esistenza della supersimmetria. “</span><i style="border: none; color: inherit; line-height: 1.5;">Nonostante ciò, la natura non sembra mostrarsi favorevole, almeno non nella sua forma più semplice</i><span style="line-height: 1.5;">”, afferma Shifman. </span></span><br />
<a name='more'></a><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Anche se la teoria prevede l’esistenza delle particelle supersimmetriche, Shifman sta cercando la collaborazione di altri colleghi per trovare delle idee alternative. In un suo recente <a data-mce-href="http://arxiv.org/pdf/1211.0004v1.pdf" href="http://arxiv.org/pdf/1211.0004v1.pdf" style="color: #743399; line-height: 1.5;">articolo</a><span style="line-height: 1.5;"> apparso su arXiv, lo scienziato russo dichiara di voler abbandonare il percorso “dalle caratteristiche estetiche barocche” della supersimmetria per proseguire, invece, con un approccio alternativo al fine di superare quegli ostacoli che hanno portato al fallimento gli esperimenti realizzati allo scopo di dimostrare l’esistenza delle particelle supersimmetriche. “</span><i style="border: none; color: inherit; line-height: 1.5;">E’ arrivato il momento di pensare e sviluppare nuove idee</i><span style="line-height: 1.5;">”, spiega Shifman. Ma c’è ancora qualcosa da fare. Finora, dagli esperimenti realizzati da LHC non abbiamo ottenuto alcun indizio dell’esistenza di una “nuova fisica” che si estende al di là del </span><a data-mce-href="http://it.wikipedia.org/wiki/Modello_standard" href="http://it.wikipedia.org/wiki/Modello_standard" style="color: #743399; line-height: 1.5;">Modello Standard</a><span style="line-height: 1.5;">, il quadro teorico maggiormente accettato che descrive il mondo delle particelle elementari e le interazioni fondamentali. Ad esempio, l’esistenza del bosone di Higgs è prevista dal Modello Standard. Inoltre, gli ultimi risultati che sono stati presentati alla conferenza di Kyoto sembrano escludere un’altra ampia classe di modelli supersimmetrici così come altre teorie alternative che si basano su una nuova fisica, dato che non sono state osservate particelle che fossero inattese dai processi di decadimento (vedasi questo </span><a data-mce-href="http://astronomicamens.wordpress.com/2012/11/20/lhcb-evidenze-di-un-raro-processo-di-decadimento-b/" href="http://astronomicamens.wordpress.com/2012/11/20/lhcb-evidenze-di-un-raro-processo-di-decadimento-b/" style="color: #743399; line-height: 1.5;">post</a><span style="line-height: 1.5;">). “</span><i style="border: none; color: inherit; line-height: 1.5;">Tutto questo è imbarazzante, certo non siamo dei o profeti che possano prevedere ciò che ci riserva la natura”</i><span style="line-height: 1.5;">, continua Shifman. Dunque, oggi i fisici delle particelle si trovano di fronte ad un bivio: o si seguono le idee dei loro predecessori, magari utilizzando versioni più complesse della supersimmetria, oppure si cambia decisamente strada e si riparte con nuove idee.</span></span></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjDdudcn9-TX2o1Xwwik38djVcbufN4_esmZLqQXDRySq-4eOxan3kxnF5l-Qn1TFZn7Q1NZhqRSXcB4JQMmEbhGqGl-MTzFCmlNs2FsEwryT3HSQcKuo8BvmheRcyDseH-GuCp9QC6Qj7E/s1600/susy_particles.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="155" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjDdudcn9-TX2o1Xwwik38djVcbufN4_esmZLqQXDRySq-4eOxan3kxnF5l-Qn1TFZn7Q1NZhqRSXcB4JQMmEbhGqGl-MTzFCmlNs2FsEwryT3HSQcKuo8BvmheRcyDseH-GuCp9QC6Qj7E/s400/susy_particles.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Lo zoo delle particelle. Credit: New Scientist</span></td></tr>
</tbody></table>
<div data-mce-style="text-align: justify;" style="color: #333333; line-height: 1.5; margin-bottom: 24px; text-align: justify;">
<div style="font-family: Helvetica, Arial, 'Lucida Grande', Verdana, sans-serif; font-size: 16px;">
<br /></div>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La supersimmetria o SUSY, in breve, ha dominato il quadro teorico della fisica delle particelle elementari per decenni, escludendo quasi tutte le teorie fisiche alternative che vanno al di là del Modello Standard. Ma perché è importante la supersimmetria? Esistono tre motivi principali: intanto, essa prevede l’esistenza in natura di quelle particelle che potrebbero essere le costituenti della materia scura, quella componente invisibile di materia che permea lo spazio e circonda come uno scheletro le galassie e gli ammassi di galassie; poi, la supersimmetria permette di unificare tre forze fondamentali a energie elevate; infine, e ragione più importante, essa permette di risolvere un grosso dilemma teorico noto come <a data-mce-href="http://it.wikipedia.org/wiki/Problema_della_gerarchia" href="http://it.wikipedia.org/wiki/Problema_della_gerarchia" style="color: #743399; line-height: 1.5;">problema gerarchico</a>. Quest’ultimo problema sorge dalla enorme differenza in termini di intensità che esiste tra la forza di gravità e la forza nucleare debole che è circa 100 milioni di trilioni di trilioni di volte maggiore e agisce su scale molto più piccole mediando le interazioni all’interno dei nuclei atomici. Le particelle che trasportano la forza debole, ossia i bosoni W e Z, acquisiscono le loro masse interagendo con il campo di Higgs, cioè un campo di energia che permea tutto lo spazio. Tuttavia, non è ancora chiaro come mai l’energia del campo di Higgs, e perciò le masse dei bosoni W e Z, non sia di gran lunga molto più grande. Ora, dato che le altre particelle interagiscono con il campo di Higgs, le loro energie dovrebbero riversarsi, per così dire, nel campo di Higgs durante quegli eventi noti come fluttuazioni quantistiche. Questi processi potrebbero aumentare l’energia del campo di Higgs causando un incremento delle masse dei bosoni W e Z e riducendo di conseguenza l’intensità della forza nucleare debole rendendola simile alla forza di gravità. La supersimmetria risolve il problema gerarchico ammettendo l’esistenza di una particella supersimmetrica, detta anche superparticella, per ogni particella elementare. Secondo la teoria, i fermioni, cioè le particelle che compongono la materia ordinaria, hanno come particelle supersimmetriche i bosoni, che sono le particelle che trasportano le interazioni, e analogamente i bosoni hanno i fermioni come particelle supersimmetriche. Dato che le particelle e le rispettive superparticelle sono di tipo opposto, il loro contributo energetico al campo di Higgs è di segno opposto: le une incrementano la sua energia, le altre la diminuiscono. Le coppie di contributi si cancellano e ciò non ha conseguenze catastrofiche per il campo di Higgs. Il fatto interessante è che un tipo di superparticella, non ancora osservata, potrebbe essere una dei costituenti della materia scura. “<i style="border: none; color: inherit; line-height: 1.5;">La supersimmetria ha una struttura così bella ed elegante che noi fisici riteniamo che tutto ciò che abbia una qualità estetica ci conduca verso la verità” </i>afferma <a data-mce-href="http://www.briangreene.org/" href="http://www.briangreene.org/" style="color: #743399; line-height: 1.5;">Brian Greene</a>. Ma nel corso del tempo, poiché le superparticelle non sono state trovate, la teoria ha smesso di avere un ruolo da protagonista. Secondo gli attuali modelli, si ritiene che le superparticelle dovrebbero mostrarsi a valori più alti di energia, in altre parole dovrebbero possedere masse più elevate. In tal senso, i fisici hanno presentato tutta una serie di modelli per dimostrare come può avere origine la rottura della simmetria, analizzando una miriade di versioni della supersimmetria. Però, la rottura della supersimmetria può generare un nuovo problema: se ammettiamo che le superparticelle abbiano masse sempre più elevate rispetto alle rispettive particelle, la cancellazione dei loro effetti potrebbe non funzionare in maniera appropriata. Durante gli anni ’80, i fisici delle particelle ritennero che fosse possibile rivelare le superparticelle che sono leggermente più pesanti delle particelle note e a quell’epoca nemmeno il Tevatron, l’acceleratore di particelle del Fermilab ormai andato in pensione, fu in grado di trovare tracce della loro esistenza. Se poi nemmeno LHC, che è in grado di esplorare un intervallo di energie più elevate, non è stato in grado di rivelare alcuna evidenza dell’esistenza di superparticelle, la conclusione è che la teoria sembra ormai superata. Inoltre, le attuali versioni della supersimmetria prevedono l’esistenza di masse per le superparticelle così pesanti che dovrebbero superare gli effetti delle rispettive particelle più leggere al fine di sintonizzare, per così dire, quei processi che portano alle cancellazioni fra le varie superparticelle. Ma introdurre un processo di sintonizzazione per risolvere il problema gerarchico rende dubbiosi alcuni fisici. “<i style="border: none; color: inherit; line-height: 1.5;">Ciò dimostra come dovremmo fare un passo indietro e ripartire nuovamente da quei problemi per cui è stata introdotta una fenomenologia basata sulla SUSY”, </i> spiega Shifman. Alcuni teorici stanno andando oltre e affermano che, in contrasto alla bellezza originaria della teoria, la natura potrebbe essere una combinazione tutt’altro che elegante delle particelle supersimmetriche. In alcuni modelli meno popolari della supersimmetria, le superparticelle più leggere non sono quelle che hanno tentato di cercare gli esperimenti di LHC. In altri modelli, invece, le superparticelle non sono più pesanti delle particelle note ma sono meno stabili, una proprietà che le rende più difficili da rivelare.</span></div>
<div data-mce-style="text-align: justify;" style="color: #333333; line-height: 1.5; margin-bottom: 24px; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Insomma, se non salterà fuori nulla dal cilindro dei fisici, una situazione che è stata definita dagli addetti ai lavori come lo “scenario da incubo”, gli scienziati rimarranno ancora con un quadro dell’Universo che risale a circa trent’anni fa prima che fosse concepita la supersimmetria. E se poi non sarà costruito un acceleratore di particelle che possa esplorare un dominio di energie ancora più elevate, con ogni probabilità la fisica delle particelle andrà verso un periodo di decadenza e, in futuro, anche i posti di lavoro saranno sempre meno richiesti dai ricercatori. Ma, forse, non andrà in questo modo perché la Scienza è come una impresa in continua evoluzione e autocorrezione. Le idee che sono sbagliate vengono scartate subito con il passare del tempo e gli uomini continueranno a cercarne altre, nuove e affascinanti perché la strada della Scienza è e rimane sempre quella della verità.</span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/08305106977611057570noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7973467142325335034.post-11007206881139818312012-09-18T06:37:00.003-07:002012-09-18T06:48:51.590-07:00Verso l'esplorazione dell'Universo delle origini<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La cosmologia è quella branca dell’astronomia
che studia l’intero Universo. Attualmente, il modello cosmologico standard
rappresenta il quadro migliore per descrivere l’evoluzione dell’Universo, ma
non la sua origine, ed esistono alcuni scenari che ci forniscono delle
indicazioni su quale sarà il suo destino. Nonostante ciò, ricostruire la storia
cosmica non è così facile. Infatti, i cosmologi possono essere paragonati agli
archeologi che andando ad analizzare i resti fossili tentano di ricostruire,
seppure parzialmente, il passato della Terra spingendosi fino ad epoche dell’ordine
di migliaia o milioni di anni fa. </span></span></div>
<a name='more'></a><div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">E’ sorprendente il fatto che negli ultimi
cinquant’anni, i cosmologi siano stati in grado di ricostruire la storia dell’Universo,
dai primi secondi subito dopo il Big Bang avvenuto circa 13,7 miliardi di anni
fa. Ma non si tratta di una ricostruzione grossolana perché di fatto sappiamo
di che cosa è stato fatto l’Universo delle origini e come appariva durante
quelle fasi evolutive. Nel numero di Ottobre <a href="http://discovermagazine.com/" target="_blank">Discover Magazine</a>, <a href="http://preposterousuniverse.com/" target="_blank">Sean Carroll</a> ci
spiega come questo lavoro d’indagine, un pò da investigatori, sia alquanto
affascinante e quante cose ci sono ancora da scoprire. Un passo fondamentale della
ricerca di frontiera sarà quello di andare sempre più indietro nel tempo, fino
ad una frazione piccolissima di secondo immediatamente dopo il Big Bang perché vogliamo
capire come tutto è cominciato. Rimangono ancora delle domande aperte: il
nostro Universo è soltanto l’unico che esiste? E se non è così, perché si è
originato questo tipo di Universo e non un altro? <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Studiare la storia passata dell’Universo
rappresenta una sfida enorme perché, come nel caso dei geologi o degli
archeologi che studiano la Terra, le cose cambiano. Ora, mentre per lo studio
della Terra l’informazione ci viene data dai fossili, nel caso dell’Universo l’informazione
è legata alle particelle che si sono originate dal Big Bang, come gli elettroni
o i protoni, e che poi sono state processate nuovamente nei nuclei delle
stelle. Dunque, per studiare il passato cosmico, il ‘trucco’ sta nel trovare
degli artefatti che sono rimasti in gran parte invariati nel corso di un tempo
molto lungo. In ciò, i cosmologi sono un pò più fortunati dei paleontologi perché
l’Universo esistono particelle la cui identità è rimasta immutata nel corso di
miliardi di anni. Tra queste particelle, le più comuni sono i fotoni. Quando
osserviamo l’immagine di una galassia, stiamo effettivamente osservando il
passato: ad esempio, se una galassia si trova a due milioni di anni-luce, come nel
caso di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Galassia_di_Andromeda" target="_blank">Andromeda</a>, ciò vuol dire che la stiamo osservando come era due milioni
di anni fa dato che la luce, viaggiando nello spazio con una velocità finita,
impiegherà un tempo finito per propagarsi e raggiungere i nostri telescopi. Il
<a href="http://hubblesite.org/" target="_blank">telescopio spaziale Hubble</a>, ha catturato la luce di galassie molto antiche,
formatesi circa 500 milioni di anni dopo il Big Bang, e ciò ha permesso di
capire con quanta rapidità si sono formate le strutture cosmiche prima di formare
le prime stelle e galassie. I fotoni sono ancora più vecchi: infatti, grazie
alla missione del <a href="http://map.gsfc.nasa.gov/" target="_blank">satellite WMAP</a> gli astronomi hanno ottenuto l’immagine più
antica dell’Universo che risale ad appena 380 mila anni dopo il Big Bang. Prima
di quel periodo, l’Universo appare così opaco, caldo e denso che i fotoni non
riescono a viaggiare per lunghe distanze senza interagire con altre particelle
e cambiare direzione tante volte. Man mano che lo spazio si espande e si è
sufficientemente raffreddato, gli elettroni si aggregano ai nuclei atomici per
formare atomi più stabili, principalmente idrogeno ed elio. Questo gas composto
dai due elementi più abbondati è trasparente e fa sì che i fotoni si muovano
liberamente nello spazio. Da allora, la maggior parte di essi hanno viaggiato
senza essere disturbati finchè nel 1964 una manciata di fotoni è arrivata sull’antenna
di Arno Penzias e Robert Wilson scoprendo, inavvertitamente, la radiazione
cosmica di fondo. Negli anni successivi, il satellite WMAP ha mappato questi
fotoni realizzando una mappa del cielo del ‘baby’ Universo. Dallo studio delle
fluttuazioni di temperatura, i cosmologi hanno determinato la quantità totale
di energia presente nell’Universo e come essa è mutata nel corso del tempo
cosmico. La materia ordinaria e quella scura una volta dominavano lo spazio ma
oggi esse costituiscono il 23% del contenuto materia-energia dell’Universo. Il
resto è qualcosa di misterioso, una forma di energia antigravitazionale a cui è
stato attribuito il termine energia scura. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/4/4a/I_Zwicky_18a.jpg/300px-I_Zwicky_18a.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" border="0" height="320" src="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/4/4a/I_Zwicky_18a.jpg/300px-I_Zwicky_18a.jpg" title="I Zwicky 18" width="286" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La radiazione cosmica di fondo
costituisce uno strumento d’indagine molto potente. Tuttavia, i cosmologi
possono utilizzare forme di radiazione fossile ancora più antiche, quelle cioè
che sono in grado di penetrare quella ‘nebbia cosmica’ talmente opaca e
guidarci fino ai primissimi istanti della storia dell’Universo. Queste forme
antiche di radiazione sono costituite dai nuclei atomici che si sono formati in
condizioni di alta temperatura subito dopo il Big Bang. Nel 1948, <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Ralph_Alpher" target="_blank">Ralph Alpher</a>,
uno studente all’epoca di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/George_Gamow" target="_blank">George Gamow</a>, ipotizzò che nel corso dei primi minuti
l’Universo fu così caldo e denso da comportarsi come un reattore di fusione
nucleare, producendo dalla ‘zuppa primordiale’ di protoni e neutroni elementi
più pesanti: ad esempio, il deuterio detto anche idrogeno pesante (un protone +
un neutrone), elio (due protoni + due neutroni) e litio (tre protoni + quattro
neutroni). La loro teoria, nota come nucleosintesi, riassumeva tutta una serie
di dettagli su come ogni elemento sarebbe stato prodotto nei primi tre minuti.
In maniera quasi sorprendente, oggi possiamo verificare questo modello
analizzando ciò che di questi elementi sopra citati rimane oggi. Dunque, sono
proprio questi elementi che bisogna studiare essendo rimasti per molto tempo
indisturbati nel corso della storia cosmica. Ma dove li troviamo? Un posto dove
cercare è, ad esempio, la galassia I Zwicky 18 in cui le stelle sono rimaste
inattive fino a poco tempo fa e perciò hanno lasciato ‘intatto’, per così dire,
il materiale presente nella galassia. I nuclei di deuterio, di elio e litio
assorbono ed emettono luce in un modo molto particolare che permette agli
scienziati di determinare con grande accuratezza le abbondanze relative. Ciò
che è stato trovato è che le quantità misurate sono proprio quelle previste dalla
teoria di Gamow e Alpher: in altre parole, stiamo analizzando ciò che è
accaduto all’Universo 13,7 miliardi di anni fa e lo stiamo facendo proprio qui
seduti sulla Terra. Insomma, abbiamo usato quella teoria per fare previsioni e
abbiamo avuto ragione. Possiamo anche non sapere che tempo farà domani, ma la cosa
certa è che comprendiamo esattamente come si sono comportati protoni e neutroni
nei primissimi secondi di tempo della storia cosmica, un risultato
impressionante che rende onore all’intelletto umano. Ma non ci basta perché i
cosmologi vogliono spingersi oltre e capire se c’è stata un’altra forma di
radiazione fossile prima della nucleosintesi. Al momento, ciò non è possibile
ma c’è un buon candidato: la materia scura, quell’altra componente enigmatica
che fa da scheletro alle galassie e agli ammassi di galassie.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Prima di tutto, la materia scura
potrebbe essere una scelta molto strana. Di fatto, non l’abbiamo mai rivelata, né
sappiamo di cosa è fatta, però sappiamo che essa non interagisce con nient’altro
e questo rappresenta per i cosmologi un buon punto di partenza. Secondo gli
attuali scenari cosmologici, la materia scura ha smesso di interagire con il
resto delle particelle primordiali molto preso, circa un decimillesimo di
secondo dopo il Big Bang, quando la temperatura dell’Universo era dell’ordine
di 100 trilioni di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Grado_Fahrenheit" target="_blank">gradi Fahrenheit</a>, mentre oggi è mediamente di -455°F. La
particella miglior candidata per costituire la materia scura è denominata <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Wimp_(fisica)" target="_blank">WIMP (WeaklyInteracting Massive Particle)</a> a cui si dà la caccia in vari laboratori del
mondo. Allo stesso tempo, i fisici stanno tentando di crearla direttamente
negli acceleratori di particelle come il <a href="http://lhc.web.cern.ch/lhc/" target="_blank">Large Hadron Collider (LHC)</a>. Se tali
sforzi avranno successo, saremo in grado di misurare le proprietà di questa
ipotetica particella e quindi applicare nuovamente il modello della nucleosintesi
dove questa volta considereremo la materia scura. Così facendo, potremo
prevedere esattamente quanta materia scura è stata prodotta nell’Universo
primordiale e confrontarla con quella presente oggi. Abbiamo, però, due possibilità:
entrambe le previsioni sono in accordo con la realtà, perciò possiamo capire
cosa stava facendo l’Universo una piccolissima frazione di secondo dopo la sua
origine; oppure le previsioni non sono in accordo, allora in questo caso avremo
bisogno di nuove teorie e capire dove è l’errore. Anche se la materia scura
soddisferà il sogno dei cosmologi, saremo ancora lontani dall’aver risolto il
problema. Potrebbe sembrare abbastanza il fatto di arrivare a 1/10.000 di
secondo dopo il Big Bang ma i teorici ritengono che sono accadute tante altre
cose interessanti prima di questo istante, come ad esempio la rapida espansione
esponenziale dovuta all’inflazione cosmica, e naturalmente lo stesso Big Bang.
Più ci avvicineremo al quel punto singolare, meglio capiremo come si è
originato l’Universo e se magari altri universi si sono formati nello stesso
modo. Una cosa è certa, in un modo o nell’altro ci stiamo muovendo sempre più
verso la comprensione dei primissimi istanti di vita dell’Universo.</span><span style="font-size: 16pt;"><o:p></o:p></span></span><br />
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span>
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;">Per un maggiore approfondimento di questo e altri argomenti: <a href="http://www.ibs.it/ebook/Ruscica-Corrado/Idee-sull-universo/9788878690264.html" target="_blank">Idee sull'Universo</a></span></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/08305106977611057570noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7973467142325335034.post-70384239057858570862012-09-05T09:18:00.001-07:002012-09-08T06:43:50.088-07:00SETI, quell'oscuro silenzio<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="background-color: white; color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">Da oltre cinquant’anni, la ricerca di</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> civiltà extraterrestri </span><span style="background-color: white; color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">non ha ancora fornito una prova scientifica della loro esistenza. Per questo motivo, non sappiamo neanche se la</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> vita</span><span style="background-color: white; color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">, a qualsiasi livello, esista effettivamente al di là del nostro pianeta. La ricerca di civiltà aliene, anche se esse sono là fuori da qualche parte nella nostra </span><span style="background-color: white; border: 1pt none windowtext; font-family: Arial, sans-serif; padding: 0cm;"> </span><span style="background-color: white; color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">galassia o magari in altre</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> galassie</span><span style="background-color: white; color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">, è un progetto a lungo termine che richiederà ancora anni se non addirittura secoli. Tuttavia, le nuove strategie di ricerca, accompagnate dal progresso tecnologico e dalla costruzione di nuovi e più sofisticati strumenti di indagine, indicano che ci sono buone ragioni per ritenere che il successo di un “primo contatto” possa avverarsi entro qualche decennio.</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><br />
<a name='more'></a><span style="font-family: 'Times New Roman', serif; font-weight: bold;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="background-color: white; color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">Il </span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"><a href="http://www.seti.org/" target="_blank"><span style="color: #024d92;">SETI</span></a> </span><span style="background-color: white; color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">è stato da sempre considerato un progetto scientifico a parte nell’ambito della ricerca astronomica. Nonostante le ardue imprese degli ultimi cinquant’anni, il “silenzio radio” potrebbe implicare che gli extraterrestri non utilizzino la banda radio dello spettro elettromagnetico per effettuare comunicazioni interstellari. Oggi, la speranza è quella di credere che qualcuno là fuori stia già trasmettendo e che i segnali siano diretti proprio verso il Sistema Solare. C’è da dire, però, che il programma SETI</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="background-color: white; color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">è legato al concetto di </span><span style="background-color: white; border: 1pt none windowtext; font-family: Arial, sans-serif; padding: 0cm;">antropocentrismo</span><span style="background-color: white; color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">, cioè la tendenza di considerare la nostra civiltà del 21° secolo come modello di riferimento a cui una eventuale civiltà extraterrestre potrebbe assomigliare. Infatti, partendo dal concetto che un possibile fascio di segnali artificiali sia diretto verso la Terra e considerando che una civiltà aliena si trovi, ad esempio, a circa 500 anni-luce, diciamo vicina per gli standard SETI, i segnali sarebbero già arrivati sulla la Terra nel 1500 cioè molto tempo prima che la nostra civiltà fosse in grado di realizzare opportuni ricevitori elettromagnetici. Insomma, dai primi esperimenti condotti da </span><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;"><a href="http://www.seti.org/Page.aspx?pid=418" target="_blank"><span style="color: #024d92; font-family: "Arial","sans-serif";">Frank Drake</span></a></span><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;"> </span><span style="background-color: white; color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">le attività di ricerca del SETI si sono concentrate e si concentrano tutt'ora nella banda radio, come i recenti progetti <a href="http://www.seti.org/ata" target="_blank">ATA</a>, <a href="http://www.lofar.org/" target="_blank">LOFAR </a>e <a href="http://www.skatelescope.org/" target="_blank">SKA</a>, dove gli astronomi hanno registrato, per così dire, solo un lugubre silenzio. E’ forse giunto il momento di ampliare la ricerca e prendere in considerazione altri metodi? </span><span style="font-family: 'Times New Roman', serif; font-weight: bold;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEictifpor7fvS0uu-7KSQK_vKQtmPyCm6n8t4wLzOvQcknQ8Lp99NVVxvgEwowJRy2pMdUQ7za7UoyymudtbxmkfAUG74AElajBq9vQqk2e0P8eDJBd3w9JlmJDxymKLhTtGo5knUaIYJj6/s1600/laser-from-telescope.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEictifpor7fvS0uu-7KSQK_vKQtmPyCm6n8t4wLzOvQcknQ8Lp99NVVxvgEwowJRy2pMdUQ7za7UoyymudtbxmkfAUG74AElajBq9vQqk2e0P8eDJBd3w9JlmJDxymKLhTtGo5knUaIYJj6/s200/laser-from-telescope.jpg" width="166" /></a></div>
<span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">Uno degli interrogativi riguarda la possibilità che esseri tecnologicamente avanzati possano inviare nello spazio segnali laser ad impulsi. Questo tipo di approccio potrebbe sembrare arcaico, un pò come quando gli uomini del 18° secolo utilizzavano per comunicare, si fa per dire, la riflessione della luce solare mediante gli specchi oppure i telegrafi apparsi nel 19° secolo per comunicare da una nave ad un’altra. Di fatto, l’idea di utilizzare i segnali luminosi per stabilire un contatto cosmico non è molto vecchia.</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">Verso la metà del 19° secolo, sia il matematico e astronomo tedesco <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Carl_Friedrich_Gauss" target="_blank"><span style="color: #024d92;">Carl Gauss</span></a> che l’inventore francese <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Charles_Cros" target="_blank"><span style="color: #024d92;">Charles Cros</span></a> suggerirono l’utilizzo di lanterne e specchi per attirare l’attenzione dei marziani. Oggi, con le tecniche più moderne, diventa affascinante l’idea di utilizzare impulsi laser di estrema intensità che possono essere inviati nello spazio. Di recente, alcuni scienziati del <a href="http://www.google.it/url?sa=t&source=web&cd=1&ved=0CB8QFjAA&url=http%3A%2F%2Fwww.llnl.gov%2F&ei=9Z22TenZNZD5sgbtsZneDQ&usg=AFQjCNEEDrwlL5zc-peDis1UuJF75XtwNw" target="_blank"><span style="color: #024d92;">Lawrence Livermore National Laboratory</span></a> hanno costruito un laser capace di inviare impulsi con una potenza pari a 1000 trilioni di Watt, nonostante gli impulsi siano di breve durata. Lo strumento si chiama <a href="https://www.llnl.gov/str/Remington.html" target="_blank"><span style="color: #024d92;">Nova</span></a> e non è certo il puntatore laser che usiamo per le presentazioni in power point. Immaginiamo di installare Nova su uno specchio di 10m e di focalizzare il suo fascio inviandolo nello spazio verso una stella che si trovi ad una distanza di circa 50 anni-luce. Si può calcolare, facilmente, che ogni impulso rilascerà circa 10 fotoni per metro quadrato che arriveranno sulla superficie di una terra aliena. Se confrontiamo questo valore con la luminosità emessa dal Sole in tutte le direzioni, si trova che anche la luce solare può raggiungere la superficie di un esopianeta, seppur distante, con una frequenza di circa 250 milioni di fotoni per secondo. Quest’ultimo valore sembrerebbe sminuire la portata del nostro super laser ma certamente non è così se consideriamo un intervallo di tempo dell’ordine del trilionesimo di secondo quando arriva l’impulso. In altre parole, quel breve impulso laser fornisce 8 fotoni per metro quadrato contro un valore di 0.00025 fotoni per metro quadrato dovuti alla luce solare. Questo vuol dire che per un brevissimo intervallo di tempo, l’impulso laser supera la luminosità del Sole di circa un fattore 30.000. Dunque, cosa fanno i ricercatori del <a href="http://www.seti.org/page.aspx?pid=330" target="_blank"><span style="color: #024d92;">SETI ottico</span></a>? Essi puntano i loro strumenti verso stelle vicine, in termini di distanza, e contano i fotoni che arrivano durante brevissimi intervalli di tempo, che sono dell’ordine del miliardesimo di secondo. La “pioggia di fotoni” che arriva dalla stella, precedentemente selezionata, causerà un picco, o due, nel conteggio dei fotoni, non più di questo. Se, però, qualche civiltà aliena ha costruito uno strumento simile al nostro e decide di puntarlo nello spazio, potrebbe accadere di registrare dei picchi di intensità nel segnale che stiamo analizzando. Insomma, potremmo avere a che fare con dei veri e propri “<i>space cowboys</i>” che stanno trasmettendo impulsi laser proprio come noi ce li immaginiamo. Sarebbe un modo fantastico di stabilire un contatto cosmico.</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">Questo tipo di esperimenti sono attualmente condotti da diversi ricercatori del SETI e da alcune università. Essi hanno già analizzato alcune centinaia di stelle alla ricerca di impulsi luminosi alieni e i dati sono in corso di elaborazione. Si spera, così, di avere un risultato significativo nei prossimi anni che dia credito a questa tecnica in modo da poterla ottimizzare per i futuri esperimenti.<span style="background-color: white;"> </span></span><span style="font-family: 'Times New Roman', serif; font-weight: bold;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif; font-weight: bold;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhied77x3dFpGkHzCegz-SpqLojbCbgP8qAEkHs2VY48FibaznwbjdEf-VdIW-e1SH1pT9bYpUwHI-XAV1qoJIxTUfWs4hVJ1R1o69JFx8vcYuqJiTzgLC_c3ljeuGyqDVPMpgV_KDHs-eA/s1600/citylights.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhied77x3dFpGkHzCegz-SpqLojbCbgP8qAEkHs2VY48FibaznwbjdEf-VdIW-e1SH1pT9bYpUwHI-XAV1qoJIxTUfWs4hVJ1R1o69JFx8vcYuqJiTzgLC_c3ljeuGyqDVPMpgV_KDHs-eA/s200/citylights.jpg" width="200" /></a></div>
<span style="background-color: white; color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">Ma</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">nella corsa alla ricerca di ET, c’è anche chi suggerisce metodi alternativi. Secondo lo scienziato</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"><a href="https://www.cfa.harvard.edu/~loeb/" target="_blank"><span style="color: #024d92;">Avi Loeb</span></a> è possibile che eventuali esseri intelligenti siano evoluti al punto tale da aver costruito una rete di illuminazione come quella delle nostre città. Naturalmente, per rivelare una tale luce artificiale è necessario osservare in dettaglio ogni variazione di luminosità proveniente dalla superficie del</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">pianeta man mano che orbita attorno alla sua stella ed in particolare quando si trova durante la fase di ombra. Per fare ciò occorreranno telescopi di futura generazione che abbiano un grande potere esplorativo. Intanto questa tecnica può essere verificata osservando, ad esempio, le luci artificiali del nostro pianeta da un satellite che si trova nelle regioni più estreme del Sistema Solare. E’ stato calcolato che</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">i telescopi attualmente disponibili sono in grado di rivelare la luce di una metropoli come Tokyo dalla distanza a cui si trova la cosiddetta <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Fascia_di_Kuiper" target="_blank"><span style="color: #024d92;">fascia di Kuiper</span></a></span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">cioè quella regione dello spazio interplanetario in cui si trovano Plutone e altri corpi minori del Sistema Solare. Senza dubbio si tratta di una tecnica molto difficile ma il principio della scienza è quello di trovare un metodo che ci permetta di applicarlo per avere un risultato scientifico. Forse un giorno saremo in grado di rivelare le luci di una città aliena che si trova su un altro mondo? Chi lo sa, non ci resta che essere ottimisti. </span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="background-color: white; color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">E' anche vero che da circa 70 anni i nostri segnali radio e televisivi si stanno propagando nello spazio alla velocità della luce</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">, non solo ma </span><span style="background-color: white; color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">non abbiamo provato ad inviare tanti messaggi radio verso determinati sistemi stellari. Il tentativo iniziale di Drake basato sul </span><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;"><a href="http://www.seti.org/Page.aspx?pid=687" target="_blank"><span style="color: #024d92; font-family: "Arial","sans-serif";">Progetto Ozma</span></a></span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="background-color: white; color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">era limitato su una scala di distanze molto piccola e il suo geniale messaggio inviato nel 1974 dal </span><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;"><a href="http://www.naic.edu/" target="_blank"><span style="color: #024d92; font-family: "Arial","sans-serif";">radiotelescopio di Arecibo</span></a></span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="background-color: white; color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">verso l'ammasso stellare M13</span><span style="background-color: white; color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">, che contiene circa 300.000 stelle, causò una serie di polemiche dato che, così facendo, avremmo “avvisato”, per così dire, gli alieni della nostra presenza indicandogli la strada per una eventuale invasione. Ciò risulta alquanto improbabile dato che M13 si trova a circa 25.000 anni-luce e prima che l’eventuale flotta aliena arrivi sulla Terra sarà passato abbastanza tempo che quasi certamente saremo andati via dal pianeta o avremo sviluppato una tecnologia tale da difenderci in maniera adeguata. Ma di quante civiltà aliene dobbiamo preoccuparci? La famosa</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="background-color: white; color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Equazione_di_Drake"><span style="color: blue;">equazione di Drake </span></a>ci dà una stima dell’eventuale numero di civiltà extraterrestri nella Via Lattea. Secondo Drake esistono almeno</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> 10 milioni di stelle </span><span style="background-color: white; color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">che possiedono</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> pianeti potenzialmente abitabili, </span><span style="background-color: white; color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">anche se è ancora presto per pensare che abbiamo effettuato una statistica appropriata. Nonostante ciò, le possibilità di trovare tante civiltà aliene nel futuro prossimo sono tali che la necessità di fondare una sorta di “Federazione Unita dei Pianeti”, come nella serie televisiva Star Trek, appare alquanto remota. Nonostante ciò, lo scienziato </span><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;"><a href="http://www.hawking.org.uk/" target="_blank"><span style="color: #024d92; font-family: "Arial","sans-serif";">Stephen Hawking</span></a></span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="background-color: white; color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">sostiene che “matematicamente” gli alieni esistono ma è meglio evitarli perché sono mostri terribili affamati di esseri umani. Tuttavia,</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">secondo quanto ha dichiarato</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"><a href="http://www.seti.org/seti-institute/staff/jill-tarter" target="_blank"><span style="color: #024d92;">Jill Tarter</span></a>, che ha recentemente lasciato la carica di direttore dell'<a href="http://www.seti.org/" target="_blank"><span style="color: #024d92;">Istituto SETI</span></a>, gli esseri umani non sono affatto un pasto gradito dagli alieni anche se Hollywood ci mostra il contrario nei film di fantascienza. In una recente conferenza stampa in cui è stata annunciata l’apertura di un sito denominato </span><u><span style="color: #024d92; font-family: Arial, sans-serif;"><a href="http://setilive.org/"><span style="color: blue;">SETI Live</span></a></span></u><u><span style="color: #024d92; font-family: Arial, sans-serif;"> </span></u><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">dove, per la prima volta, il pubblico potrà vedere i dati raccolti dai radiotelescopi e aiutare così gli scienziati nella la ricerca di segnali intelligenti provenienti da altri mondi, Tarter, che è stata l’ispiratrice del film "<i>Contact</i>" con Jodie Foster, non è d'accordo con quanto affermato da Hawking. Secondo Tarter,</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">se qualche civiltà intelligente fosse in grado di visitare il nostro pianeta questo vorrebbe dire che gli ET sono dotati di una tecnologia alquanto sofisticata tale da non avere la necessità di fare schiavi, di avere cibo o di colonizzare altri pianeti. Se arrivassero sulla Terra per loro sarebbe una missione atta all’esplorazione di un altro mondo a loro sconosciuto. Inoltre, considerando anche l’età dell'Universo, con ogni probabilità noi non saremo i primi ad essere visitati perciò le nostre paure ci possono arrivare solo guardando, ad esempio, alcuni film come Men in Black, Battleship o Visitors. Insomma, se ci pensiamo un attimo qualora</span><i><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span></i><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">un giorno saremo fortunati perché avremo ricevuto un segnale artificiale dallo spazio, allora potremo imparare tante cose non solo sul loro passato, dato che il segnale impiega un certo tempo per propagarsi, ma anche sul nostro futuro e sulle tecnologie che saremo in grado di sviluppare.</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="background-color: white; color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">S</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">e, invece, ci preoccupiamo del fatto che cercare qualche segnale di origine extraterrestre o mandare nello spazio un segnale di origine terrestre possa richiamare qualche civiltà aliena ostile verso la conquista della Terra, allora forse è meglio mantenere il silenzio e stare tranquilli. Ma stare in silenzio e tapparsi le orecchie non sarebbe di grande aiuto alla ricerca.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="background-color: white; margin-bottom: 12pt; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiwcOgCw6Go2mKBVLhLFsHGjQDRcixNABdJkhtgssrQSOz8-rTkyOGF6uwz4lV6uKn92HnZQTkT1sYE52A635BiLpTox53Wy_HNEBtzn6169IVGR_0OZxMY_ihoOD8S1IRofC1F4NnsoHoT/s1600/ocean_glint.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="195" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiwcOgCw6Go2mKBVLhLFsHGjQDRcixNABdJkhtgssrQSOz8-rTkyOGF6uwz4lV6uKn92HnZQTkT1sYE52A635BiLpTox53Wy_HNEBtzn6169IVGR_0OZxMY_ihoOD8S1IRofC1F4NnsoHoT/s200/ocean_glint.jpg" width="200" /></a></div>
<span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">Una delle principali missioni del SETI, e cioè quella di trovare altre terre, è diventata una realtà. Ben presto, forse entro cinque o dieci anni, gli astronomi avranno trovato una 'nuova Terra' e il passo successivo sarà quello di studiare la sua atmosfera allo scopo di trovare qualche traccia di vita analizzando lo spettro e le sue componenti, come l’ossigeno o il</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">metano. Quanto sarà la durata del giorno? Esisteranno oceani e continenti? A tal proposito, rivelare l’acqua sulla superficie di un pianeta extrasolare sta diventando una priorità dato che, almeno per quanto ne sappiamo, essa rappresenta un elemento essenziale per l’abitabilità di un pianeta. Uno studio recente ha esaminato la possibilità che la riflettività della superficie di un mondo alieno possa essere interpretata come una chiara evidenza della presenza di oceani. Gli scienziati che si occupano di scienze planetarie stanno sviluppando tutta una serie di metodi per rivelare la presenza di acqua sulla superficie di un esopianeta, visto ormai il grande numero di oggetti che orbitano nella cosiddetta “zona abitabile” dove si ritiene che l’acqua possa esistere allo stato liquido. Uno di questi metodi si basa, appunto, sulla riflessione speculare, nota anche come “luccichio” (<i>glint</i>), simile a quello dovuto alla riflessione della luce solare sulla superficie di un lago o di un mare. Ora, la presenza di oceani sulla superficie di un pianeta alieno potrebbe determinare una riflettività apparente, nota come albedo. Secondo questo metodo, non è necessario osservare l’intero disco del pianeta, cioè quando esso riflette la luce in maniera simile a quella che viene riflessa dal nostro satellite naturale durante la fase di Luna piena, bensì è possibile rivelare la riflettività della superficie anche durante una fase parziale della sua orbita, per esempio durante la fase crescente. In questo caso ci si aspetta, secondo alcuni calcoli eseguiti da <a href="http://nickcowan.com/"><span style="color: blue;">Nicolas Cowan della Northwestern University</span></a>, che l’albedo aumenti, un segnale che potrebbe indicare la reale presenza di acqua liquida sulla superficie del pianeta. Ora, sebbene l’esistenza di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Pianeta_extrasolare" target="_blank"><span style="color: #333333; text-decoration: none;">pianeti extrasolari</span></a> e sistemi planetari extraterrestri sia ormai un fenomeno comune nella Via Lattea mentre invece l’evoluzione della vita intelligente è un fenomeno raro, almeno nella nostra galassia, la probabilità di ascoltare un segnale proveniente da qualche civiltà aliena sarà così bassa che il Sole avrà tutto il tempo di diventare una <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Gigante_rossa" target="_blank"><span style="color: #333333; text-decoration: none;">gigante rossa</span></a>, cioè tra circa cinque miliardi di anni, quando avrà distrutto il nostro pianeta. Questa è la conclusione di uno studio sulla ipotesi di <a href="http://www.springer.com/astronomy/popular+astronomy/book/978-0-387-95289-5"><span style="color: blue;">Ward and Brownlee's Rare Earth </span></a>ad opera di <a href="http://www.roe.ac.uk/ifa/people/dhf.html"><span style="color: blue;">Duncan Forgan </span></a>e <a href="http://www.roe.ac.uk/~wkmr/"><span style="color: blue;">Ken Rice </span></a>per cui essi hanno costruito il modello di una galassia virtuale che simula quella reale in cui viviamo. Nel loro modello, la vita intelligente si forma solo nei pianeti di tipo terrestre, così come accade nell’ipotesi Rare Earth. Se le simulazioni di Forgan e Rice sembrano limitate e in un certo modo non sembrano realistiche, esse comunque danno delle speranze per la <a href="http://www.seti-inst.edu/" target="_blank"><span style="color: #333333; text-decoration: none;">ricerca SETI</span></a></span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">rispetto ai calcoli che derivano dall’<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Equazione_di_Drake" target="_blank"><span style="color: #333333; text-decoration: none;">equazione di Drake</span></a> o dal <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Paradosso_di_Fermi"><span style="color: blue;">paradosso di Fermi</span></a>. Secondo Forgan, l’equazione di Drake non soddisfa alcuni parametri perché dipende da una stima media di alcune variabili, come il tasso di formazione stellare, non tiene conto degli effetti fisico-chimici della storia evolutiva della galassia o della dipendenza temporale dei suoi termini. L’equazione è soggetta ad una serie di critiche per le stime numeriche relative al numero di civiltà intelligenti che possono comunicare con la Terra, considerando le ipotesi ottimistiche e pessimistiche, che vanno da qualche centinaio di migliaia a qualche milione. Forgan ha sviluppato una simulazione numerica della nostra galassia che, basandosi sulla migliore stima di alcuni parametri astrofisici, come il tasso di formazione stellare, la funzione di massa iniziale, l’intervallo di tempo di una stella in sequenza principale, porta effettivamente ad una galassia formata da qualche miliardo di stelle, ognuna con le rispettive proprietà (massa, luminosità, etc.) selezionate in maniera statistica. Vengono quindi generati i sistemi planetari e quei pianeti dove la stessa vita evolve in accordo alle ipotesi sulla sua origine. Il modello genera una galassia che è statisticamente rappresentativa della Via Lattea. Nel modello di Forgan è permessa la vita animale, l’unica da cui si possono sviluppare esseri intelligenti, che può esistere sui pianeti che hanno masse comprese tra 0,5-2 volte la massa terrestre, se la massa della stella è compresa tra 0,5-1,5 volte la massa del Sole, se il pianeta ha almeno una luna, in modo tale da permettere la stabilità dell’asse di rotazione del pianeta, e se la stella possiede almeno un pianeta massiccio che ha una massa di circa dieci volte la massa terrestre e si trova in una orbita esterna. La buona notizia, almeno per il SETI, è che una galassia come la nostra può ospitare centinaia di civiltà intelligenti mentre la cattiva notizia è che durante l’intervallo di tempo in cui una civiltà aliena può comunicare, cioè tra quando essa diviene tecnologicamente avanzata e quando il pianeta finisce per evaporare in seguito all’<a href="http://astrocultura.uai.it/astrofisica/evoluzionestellare1.htm" target="_blank"><span style="color: #333333; text-decoration: none;">evoluzione stellare</span></a> della stella, si osserva che non esistono, almeno in gran parte delle simulazioni, altre civiltà intelligenti, o se esistono sono troppo distanti. Dunque la conclusione è che noi stessi, o qualche altra civiltà aliena, potremmo essere davvero soli nell’Universo. Man mano che il <a href="http://kepler.nasa.gov/" target="_blank"><span style="color: #024d92;">telescopio spaziale Kepler</span></a> scopre sempre più pianeti simili alla Terra, sembra quasi naturale che gli astronomi del SETI comincino a dare un'occhiata a questo primo catalogo di candidati in modo da sintonizzare i radiotelescopi verso questi sistemi planetari. Ecco i primi <a href="http://seti.berkeley.edu/kepler-seti-interference" target="_blank"><span style="color: #024d92;">risultati preliminari</span></a>. Finora sono stati trovati alcuni segnali interessanti che vengono denominati con la sigla <a href="http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=kepler%20object%20of%20interest&source=web&cd=1&sqi=2&ved=0CCEQFjAA&url=http%3A%2F%2Fen.wikipedia.org%2Fwiki%2FKepler_Object_of_Interest&ei=s1EMT7zMCY3U4QTzoMSGBg&usg=AFQjCNGGCN6XH7ct8mf5XSXD8CAGrf396Q" target="_blank"><span style="color: #024d92;">Kepler Object of Interest (KOI)</span></a>. Nonostante ciò, spesso questi segnali vengono spiegati in termini di interferenze terrestri altri, però, presentano delle caratteristiche tali da poter essere associati a segnali artificiali di origine extraterrestre: è il caso di KOI 817 e KOI 812. Si tratta di due segnali a banda stretta, così come ci si aspetta se un segnale è di tipo artificiale, la cui frequenza varia periodicamente, a causa dell’</span><u><span style="color: #024d92; font-family: Arial, sans-serif;">effetto </span></u><span style="color: #024d92; font-family: Arial, sans-serif;"><u>Doppler</u> </span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">dovuto al moto della sorgente rispetto alla posizione del</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">radiotelescopio</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">terrestre. Dunque, se si trova un segnale con queste proprietà e si è certi che non si tratti d’interferenza, possiamo dire di avere a che fare con un segnale artificiale di origine extraterrestre, almeno si parla di un buon candidato. Comunque sia, si tratta dei primi risultati di una lunga lista di osservazioni e molti altri ancora saranno elaborati nel corso dei prossimi mesi. Tutti i segnali elaborati finora si possono scaricare da questo <a href="http://seti.berkeley.edu/sites/default/files/first_cands.pdf" target="_blank"><span style="color: #024d92;">link</span></a>.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiFAwH3rBz-fd4Je8wCB8QXoqy9jS9OSHfZGriwUTHyO5rudEnXQae6_hJQua7X36lj7qpFwOVQT76Zs1d0qTzUhusSFRfne_nPYGygtSC_jnFLdxA2uKATNPO9n060TQfddnCK-AvbMZtx/s1600/golden_record_cover_sm.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiFAwH3rBz-fd4Je8wCB8QXoqy9jS9OSHfZGriwUTHyO5rudEnXQae6_hJQua7X36lj7qpFwOVQT76Zs1d0qTzUhusSFRfne_nPYGygtSC_jnFLdxA2uKATNPO9n060TQfddnCK-AvbMZtx/s200/golden_record_cover_sm.jpg" width="195" /></a></div>
<span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">Siamo, dunque, soli nell’Universo? Per rispondere ad una delle grandi domande della scienza, forse dovremmo cominciare ad esplorare meglio il Sistema Solare per verificare se esistono forme di vita aliena sottoforma di microrganismi dalle forme più bizzarre, come ad esempio gli estremofili. Certamente, il Sistema Solare è stato interessato da almeno un centinaio di missioni spaziali sin dagli anni ’60, la maggior parte realizzate dalla NASA, dall’ex Unione Sovietica e dall’ESA a cui si stanno unendo di recente altri paesi come la Cina e il Giappone. Intanto, se dal <a href="http://www.nasa.gov/mission_pages/msl/index.html" target="_blank">rover Curiosity</a> non arriveranno evidenze di forme di vita elementari, passate o presenti, consistenti con la vita sulla Terra, questo sarà senza dubbio un risultato molto interessante. La domanda è: E’ probabile che un meteorite abbia portato la vita sulla Terra da Marte, o viceversa? Ma se troveremo una seconda forma di vita su Marte, allora questa sarà la notizia di tutti i tempi. In realtà non sappiamo come è nata la vita sulla Terra né possiamo pensare di calcolare la probabilità che la vita si sviluppi da qualche altra parte nel cosmo. Ciò vuol dire che la vita sul nostro pianeta potrebbe essere un caso meraviglioso ed improbabile allo stesso tempo e perciò la nostra civiltà potrebbe essere l’unica nell’Universo. Se, al contrario, scopriremo che la vita è iniziata rapidamente ed in maniera naturale allora dovranno esistere le giuste condizioni perché essa si sviluppi in qualche altra parte dell’Universo. Naturalmente non lo sappiamo ma vogliamo scoprirlo. Infatti, la scoperta di una seconda forma di vita potrebbe aprire la possibilità straordinaria che la vita esista in tutti quei pianeti extrasolari che stiamo man mano identificando. Infine, secondo alcuni scienziati, Marte non sarà la giusta scommessa né ci si aspetta una probabilità superiore al 1% di trovare forme di vita elementari. Comunque sia, gli scienziati ritengono di avere buone probabilità di scoprire qualcosa entro la fine di questo secolo. Nel frattempo non ci resta che comportarsi come il naufrago che scrive il suo messaggio in una bottiglia lanciata alla deriva nell’oceano sperando che qualcuno la trovi. E proprio una cosa simile è stata fatta 35 anni fa dalla NASA quando vennero lanciate le sonde</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"><a href="http://voyager.jpl.nasa.gov/index.html"><span style="color: blue;">Voyager 2</span></a></span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">e 16 giorni dopo la sua gemella</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"><a href="http://voyager.jpl.nasa.gov/index.html"><span style="color: blue;">Voyager 1</span></a></span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">verso l’esplorazione dei pianeti esterni del Sistema Solare. Ancora oggi le due sonde stanno viaggiando verso lo spazio interstellare e si trovano al momento ad una distanza di 15 miliardi di chilometri (Voyager 2) e 18 miliardi di chilometri (Voyager 1). Gli scienziati ritengono che le due sonde avranno ancora abbastanza potenza elettrica per continuare ad inviare dati sulla Terra almeno fino al 2020-2025. Ricordiamo che a bordo di ogni sonda è stata posta una <a href="http://voyager.jpl.nasa.gov/spacecraft/goldenrec_more.html" target="_blank">placca in oro</a> che riporta alcuni simboli allo scopo di comunicare un messaggio della storia del nostro pianeta ad eventuali civiltà extraterrestri.</span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;"> </span><br />
<span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif; line-height: 18pt;"><br /></span>
<br />
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhU0SyL-aoa8bHgtXy03l1l7gnJ0wvXbMVWAKnnQ4XVjWXYpw4px2yVL9vSo775CbnfJTJ2TeihGPC8s684CnxoHCiXu-RgI6VosSWm_voWFCUUl_5yDMs4juYnMcU85wnySoxPBE07noKB/s1600/multiverso.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="156" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhU0SyL-aoa8bHgtXy03l1l7gnJ0wvXbMVWAKnnQ4XVjWXYpw4px2yVL9vSo775CbnfJTJ2TeihGPC8s684CnxoHCiXu-RgI6VosSWm_voWFCUUl_5yDMs4juYnMcU85wnySoxPBE07noKB/s200/multiverso.jpg" width="200" /></a></div>
<span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">Ma ora<span class="apple-converted-space"> </span>spingiamo oltre e chiediamoci se
l’esistenza di altre civiltà intelligenti si possa estendere al di fuori del
nostro Universo e cioè se la vita può esistere, in qualche modo, nel
multiverso. La necessità di rispondere a questa domanda nasce dal problema di
capire il significato più intrinseco della <span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;">costante cosmologica</span><span class="apple-converted-space"> </span>per cui alcuni scienziati, come <em style="outline: 0px;"><span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;"><a href="http://www.ph.utexas.edu/~weintech/weinberg.html" style="outline: 0px;" target="_blank"><span class="apple-style-span"><span style="outline: 0px;"><span style="color: #024d92; font-style: normal;">Steven Weinberg</span></span></span></a> </span></em>e <a href="http://www.ast.cam.ac.uk/~mjr/" style="outline: 0px;" target="_blank"><span style="border: 1pt none windowtext; color: #024d92; padding: 0cm;">Martin Rees</span></a>, hanno preso in considerazione il
cosiddetto <span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;">principio antropico</span>. Infatti, se consideriamo che il nostro
Universo è<span class="apple-converted-space"> </span><strong style="outline: 0px;"><span style="border: 1pt none windowtext; font-weight: normal; padding: 0cm;">uno dei
tanti infiniti</span></strong><span class="apple-converted-space"><b> </b></span><strong style="outline: 0px;"><span style="border: 1pt none windowtext; font-weight: normal; padding: 0cm;">universi</span></strong></span><span style="background-color: white;"> </span><span style="color: #333333; font-family: Arial, sans-serif;">che
sono disconnessi dal nostro, ognuno dei quali è caratterizzato da proprie<span class="apple-converted-space"> </span><strong style="outline: 0px;"><span style="border: 1pt none windowtext; font-weight: normal; padding: 0cm;">costanti
della natura</span></strong><span class="apple-converted-space"> </span>e
dove l’energia del vuoto assume valori diversi, ci si chiede quale dovrebbe
essere il valore della costante cosmologica affinchè in uno dei tanti universi
evolva la vita. Di recente, <a href="http://www.mit.edu/~ajv/" style="outline: 0px;" target="_blank"><span style="border: 1pt none windowtext; color: #024d92; padding: 0cm;">Alejandro Jenkins</span></a><span class="apple-converted-space"> </span>dell'<a href="http://www.fsu.edu/" style="outline: 0px;" target="_blank"><span style="border: none windowtext 1.0pt; color: #024d92; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">Università Statale della
Florida</span></a><span class="apple-converted-space"> </span>e <a href="http://physics.aps.org/authors/gilad_perez" style="outline: 0px;" target="_blank"><span style="border: none windowtext 1.0pt; color: #024d92; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">Gilad Perez</span></a><span class="apple-converted-space"> </span>del <a href="http://www.weizmann.ac.il/" style="outline: 0px;" target="_blank"><span style="border: 1pt none windowtext; color: #024d92; padding: 0cm;">Weizmann Institute of Science</span></a><span class="apple-converted-space"> </span>in Israele, hanno introdotto una
ipotesi provocativa in base alla quale l’esistenza di forme di vita
intelligenti, cioè capaci di studiare i fenomeni naturali, dipenda da un
preciso insieme di condizioni fisiche adatte alla vita stessa. Alcune
conseguenze del <span style="border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;">modello inflazionistico</span><span class="apple-converted-space"> </span>suggeriscono che il nostro Universo è
uno dei tanti che è emerso dal<span class="apple-converted-space"> </span><strong style="outline: 0px;"><span style="border: 1pt none windowtext; font-weight: normal; padding: 0cm;">vuoto
primordiale</span></strong>. Anche se non abbiamo modo di vedere gli altri
universi è plausibile ritenere che in essi esistano proprie leggi fisiche.
Dunque non sarebbe un mistero il fatto che noi viviamo in un universo, diciamo,
“raro” dove le condizioni fisiche sono quelle ideali per permettere l’esistenza
della vita. E’ un pò come cercare la vita su altri<span class="apple-converted-space"> </span><strong style="outline: 0px;"><span style="border: 1pt none windowtext; font-weight: normal; padding: 0cm;">mondi alieni</span></strong><span class="apple-converted-space"> </span>e chiedersi come mai sul nostro
pianeta esistano le condizioni giuste per lo sviluppo di forme organiche. In
questo senso, Jenkins e Perez hanno provato a modificare le<span class="apple-converted-space"> </span><strong style="outline: 0px;"><span style="border: 1pt none windowtext; font-weight: normal; padding: 0cm;">leggi
fondamentali della fisica</span></strong><span class="apple-converted-space"> </span>“togliendo”,
per così dire,<span class="apple-converted-space"> </span>l’<strong><span style="border: 1pt none windowtext; font-weight: normal; padding: 0cm;">elettromagnetismo</span></strong><span class="apple-converted-space"> </span>o la<span class="apple-converted-space"> </span><strong style="outline: 0px;"><span style="border: 1pt none windowtext; font-weight: normal; padding: 0cm;">gravità</span></strong><span class="apple-converted-space"> </span>per vedere cosa succede. In alcuni
casi i risultati permettono, sia pure ipoteticamente e con condizioni
decisamente differenti da quelle presenti nel nostro Universo, la possibilità
che la vita possa esistere in altri universi e con complicate e differenti
strutture fisiche. Il fatto poi di capire che tipo di vita ci dobbiamo
aspettare è un’altra storia. Questo ci porta ad un altro problema che riguarda
l’utilità del principio antropico quando pensiamo a come potrebbero essere le
eventuali forme di vita nel multiverso. Naturalmente si tratta di idee
speculative che i cosmologi cercano di sviluppare per avere una visione più
grande così come l’idea, in particolare, dell’esistenza di universi
paralleli<span class="apple-converted-space"><b> </b></span>risulta a molti
scienziati alquanto affascinante. Dunque, ritornando alla costante cosmologica,
possiamo concludere dicendo che gli universi in cui l’energia del
vuoto è molto grande sono comuni ma si espandono troppo rapidamente per
formare stelle, pianeti e la stessa vita, mentre invece gli
universi il cui valore dell’energia del vuoto è troppo piccolo sarebbero rari.
L’Universo in cui viviamo potrebbe essere quello ottimale dove la costante cosmologica
assume un valore compatibile con quello attuale anche se le considerazioni
teoriche di Jenkins e Perez suggeriscono che il nostro Universo non sia
abbastanza “regolato” da permettere l’esistenza di tante forme di vita
intelligenti come invece si è creduto in precedenza.</span><span style="color: #333333; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 13.5pt;"> </span><span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span><br />
<span style="color: #333333; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 13.5pt;"><br /></span>
<span style="color: #333333; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 13.5pt;"><br /></span>
<span style="color: #333333; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 13.5pt;"><br /></span>
<br />
<hr />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: xx-small;"><span style="font-family: Verdana, sans-serif; line-height: 115%;">Questo post parteciperà <a href="http://www.tutto-scienze.org/2012/08/partecipate-alledizione-unificata-dei.html">all’edizione
unificata dei Carnevali Scientifici di Chimica e Fisica del 25 settembre 2012</a>, avente per tema "Cercando
tracce di vita nell'Universo", che è anche il titolo del<span class="apple-converted-space"> </span>4° Congresso IAA<span class="apple-converted-space"> </span>(<i>International Academy of
Astronautics</i>).</span><span style="line-height: 115%;"> </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif; line-height: 115%;">Troverete tutte le informazioni e le modalità per partecipare
al simposio internazionale, 25-28 settembre 2012,<span class="apple-converted-space"> </span>sul sito web dedicato di <a href="http://www.sanmarinoscienza.org/">San
Marino Scienza</a>.</span><span style="line-height: 115%;"> </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif; line-height: 115%;">L’edizione
unificata dei Carnevali Scientifici<span class="apple-converted-space"> </span>sarà
presentata, all’interno del Congresso, dal presidente<span class="apple-converted-space"> </span>Franco Rosso<span class="apple-converted-space"> </span>dell’<a href="http://www.chimicare.org/">Associazione Culturale Chimicare </a>nel
pomeriggio del 25 settembre</span>.</span><o:p></o:p></div>
</div>
<u1:p></u1:p></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/08305106977611057570noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7973467142325335034.post-91417064832814188612012-08-31T10:30:00.000-07:002012-09-08T06:46:11.387-07:00LHC, che cosa hanno osservato ATLAS e CMS?<br />
<div align="justify" style="border: 0px; color: #333333; font-family: Helvetica, Arial, 'Lucida Grande', Verdana, sans-serif; line-height: 1.6em; margin-bottom: 1em; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
<span style="border: 0px; color: black; font-family: inherit; font-style: inherit; margin: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"><span style="border: 0px; font-family: inherit; font-style: inherit; margin: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">Lo stesso giorno in cui è stato tenuto il seminario del 4 luglio al </span><a href="http://public.web.cern.ch/public/" style="border-bottom-color: rgb(238, 238, 238); border-bottom-style: solid; border-width: 0px 0px 1px; color: #3a6999; font-family: inherit; font-style: inherit; margin: 0px; outline: none; padding: 0px; text-decoration: none; vertical-align: baseline;"><span style="border: 0px; font-family: inherit; font-style: inherit; margin: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">CERN di Ginevra</span></a><span style="border: 0px; font-family: inherit; font-style: inherit; margin: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"> sulla presentazione degli ultimi dati raccolti tra il 2011 e il primo semestre del 2012 dagli esperimenti </span><a href="http://atlas.ch/" style="border-bottom-color: rgb(238, 238, 238); border-bottom-style: solid; border-width: 0px 0px 1px; color: #3a6999; font-family: inherit; font-style: inherit; margin: 0px; outline: none; padding: 0px; text-decoration: none; vertical-align: baseline;"><span style="border: 0px; font-family: inherit; font-style: inherit; margin: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">ATLAS</span></a><span style="border: 0px; font-family: inherit; font-style: inherit; margin: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"> e </span><a href="http://cms.web.cern.ch/" style="border-bottom-color: rgb(238, 238, 238); border-bottom-style: solid; border-width: 0px 0px 1px; color: #3a6999; font-family: inherit; font-style: inherit; margin: 0px; outline: none; padding: 0px; text-decoration: none; vertical-align: baseline;"><span style="border: 0px; font-family: inherit; font-style: inherit; margin: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">CMS</span></a><span style="border: 0px; font-family: inherit; font-style: inherit; margin: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">, i media si sono veramente scatenati riportando la “scoperta della particella di dio”, ovvero del bosone di Higgs. C’è da dire che è stata fatta tanta confusione soprattutto tra i non addetti ai lavori e molti siti web e blog si sono, come dire, fregiati della notizia senza badare molto a ciò che è stato effettivamente detto o rivelato, fatta eccezione per qualche blog. Dunque, facciamo un pò d’ordine a distanza, ormai, di qualche settimana. </span></span><br />
<a name='more'></a></div>
<div align="justify" style="border: 0px; color: #333333; font-family: Helvetica, Arial, 'Lucida Grande', Verdana, sans-serif; line-height: 1.6em; margin-bottom: 1em; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
<span id="more-1418" style="border: 0px; font-family: inherit; font-style: inherit; margin: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"></span></div>
<div align="justify" style="border: 0px; color: #333333; font-family: Helvetica, Arial, 'Lucida Grande', Verdana, sans-serif; line-height: 1.6em; margin-bottom: 1em; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
<span style="border: 0px; color: black; font-family: inherit; font-style: inherit; margin: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">Prima di tutto, il risultato più importante che è stato ottenuto dai due rivelatori è che la nuova particella è un bosone scalare, osservato per la prima volta, che ‘sembra essere consistente’ nell’ambito del modello standard con quanto ci si aspetta per il bosone di Higgs. Sin dal 1964, Peter Higgs aveva proposto una idea in base alla quale il vuoto è davvero una entità fisica che possiede determinate proprietà fisiche e in cui le particelle elementari possono interagire. I risultati ottenuti da ATLAS e CMS rappresentano la prima evidenza sperimentale che questa idea del vuoto è corretta. I fisici del CERN lo hanno dimostrato creando un’onda nel vuoto che si mostra come una nuova particella. Dunque, le onde si propagano nel vuoto, anche se a prima vista questa affermazione potrebbe suonare alquanto strana. Per capire meglio questo concetto, introduciamo la seguente analogia dove le particelle elementari sono sostituite da pesci. Facciamo conto di essere biologi marini e vogliamo studiare le proprietà dei pesci, come e quanto velocemente si muovono, quanto sono grandi, e così via. Certo, per fare questo, dobbiamo capire l’ambiente in cui essi vivono, in altre parole dobbiamo sapere che cos’è l’acqua. Ora, per studiare i pesci, i biologi non mettono in dubbio l’esistenza dell’acqua perciò se fossimo i primi a proporre il concetto di acqua sarebbe una impresa difficile da comunicare dato che chiunque non dubiterebbe della sua esistenza. Ad esempio, il test dell’acido potrebbe causare la formazione di un’onda e dimostrare così che c’è “qualcosa” che si muove nell’acqua al di là dei pesci. Da un punto di vista teorico, ciò vuol dire che ci stiamo muovendo in un mezzo e che le proprietà di questo mezzo controllano, per così dire, il comportamento delle particelle elementari. In maniera analoga, quello che è stato fatto al CERN per la prima volta è il nostro “test dell’acido” che perturba il vuoto e causa la formazione di un’onda. La miglior teoria che descrive le proprietà ed il comportamento delle particelle elementari e delle interazioni fondamentali, il modello standard, ci permette di descrivere anche le proprietà del vuoto. Ma ci sono altre teorie che differiscono tra loro sul concetto di definizione di vuoto e quindi sulla tipologia di onde, o di bosoni di Higgs, che possono propagarsi. Grazie ai risultati di questi esperimenti, oggi abbiamo la possibilità di studiare le loro proprietà e di discriminare quale teoria sia più adatta a descriverne il loro comportamento. </span></div>
<div align="justify" style="border: 0px; color: #333333; font-family: Helvetica, Arial, 'Lucida Grande', Verdana, sans-serif; line-height: 1.6em; margin-bottom: 1em; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
<span style="border: 0px; color: black; font-family: inherit; font-style: inherit; margin: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"><span style="border: 0px; font-family: inherit; font-style: inherit; margin: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">Ma la grande domanda è: questa nuova particella è davvero il bosone di Higgs? Questa particella è stata creata facendo scontrare due fasci di protoni, un processo che ha generato qualcosa come mezzo miliardo di collisioni protoni-protoni al secondo, ognuna delle quali libera una quantità di energia pari a 3500 miliardi di elettonVolt (eV) da cui può emergere un bosone di Higgs. Ad esempio, il rivelatore ATLAS ha analizzato circa 800 trilioni di collisioni tra il 2010 e Giugno 2012: di queste solo 8 interazioni sembrano aver prodotto un bosone di Higgs che decade producendo una coppia di bosoni Z, mentre in altre 200 interazioni è stato osservato un decadimento con la formazione di due fotoni. Ora la probabilità di non trovare alcun segnale è di 1 su 3.500.000 il che vuol dire, in termini dei fisici delle particelle, che è stata “scoperta” una nuova particella. Risultati analoghi sono stati ottenuti dal rivelatore CMS. Inoltre, i due valori della massa della particella sono molto vicini e si trovano nell’intervallo di energie 125-126 GeV: ciò vuol dire che entrambi i valori cadono nell’intervallo atteso per la massa del bosone di Higgs, anche se dobbiamo dire che si estende fino a 700 GeV. Il passo successivo sarà quello di misurare le proprietà della particella ed in particolare lo <em style="border: 0px; font-family: inherit; margin: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">spin</em>, ossia il suo momento angolare intrinseco che nel caso del bosone di Higgs è zero. Insomma, da un punto di vista sperimentale bisogna verificare se le proprietà della particella siano consistenti nell’ambito del modello standard anche se qualcuno spera il contrario in modo che tali risultati rappresentino, invece, l’inizio di una serie di nuove scoperte e di tante soprese per il mondo della fisica. Il fatto è che il modello standard presenta alcuni problemi. Per eliminarli, i fisici hanno proposto delle alternative che si basano su un concetto di bosone di Higgs composito, cioè costituito da altre particelle di materia, dotato di dimensioni spaziali extra e di qualcosa d’altro chiamato supersimmetria. L’estensione del modello standard, la supersimmetria, prevede non uno bensì cinque bosoni di Higgs che, si spera, potranno essere rivelati non appena </span><a href="http://lhc.web.cern.ch/lhc/" style="border-bottom-color: rgb(238, 238, 238); border-bottom-style: solid; border-width: 0px 0px 1px; color: #3a6999; font-family: inherit; font-style: inherit; margin: 0px; outline: none; padding: 0px; text-decoration: none; vertical-align: baseline;"><span style="border: 0px; font-family: inherit; font-style: inherit; margin: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">LHC</span></a><span style="border: 0px; font-family: inherit; font-style: inherit; margin: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"> sarà nuovamente operativo nel 2014, dopo un lungo periodo di arresto dovuto ad una serie di manutenzioni e di aggiornamenti hardware/software, e la sua energia di collisione sarà raddoppiata. Le implicazioni che può avere la scoperta del bosone di Higgs, se si tratta veramente del bosone di Higgs, è che i teorici devono confrontarsi con i problemi che sorgono dal modello standard e far quadrare il cerchio. In altre parole, qualcuno ritiene che la nuova particella possa essere un “bosone di Higgs supersimmetrico” perchè la teoria prevede che la massa del bosone di Higgs non sia più grande di 135 GeV. In definitiva, tutto torna o si tratta di una nuova fisica? Ancora non lo sappiamo e perciò non ci resta che aspettare nuovi dati.</span></span></div>
<div align="justify" style="border: 0px; color: #333333; font-family: Helvetica, Arial, 'Lucida Grande', Verdana, sans-serif; line-height: 1.6em; margin-bottom: 1em; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
<span style="border: 0px; color: black; font-family: inherit; font-style: inherit; margin: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"><span style="border: 0px; font-family: inherit; font-style: inherit; margin: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">Per riassumere, devo ancora una volta sottolineare il fatto che la scoperta di questa nuova particella è di fondamentale importanza perchè conferma un’idea radicale in base alla quale il vuoto è caratterizzato da proprietà fisiche: ecco, questa sarebbe stata la vera notizia che i media avrebbero dovuto riportare. Concludo, riportando una affermazione del fisico teorico </span><a href="http://www.physics.berkeley.edu/research/faculty/hall.html" style="border-bottom-color: rgb(238, 238, 238); border-bottom-style: solid; border-width: 0px 0px 1px; color: #3a6999; font-family: inherit; font-style: inherit; margin: 0px; outline: none; padding: 0px; text-decoration: none; vertical-align: baseline;"><span style="border: 0px; font-family: inherit; font-style: inherit; margin: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">Lawrence Hall della Università della California a Berkeley</span></a><span style="border: 0px; font-family: inherit; font-style: inherit; margin: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">: “<em style="border: 0px; font-family: inherit; margin: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">Il bosone di Higgs è un mostro, è una cosa orribile. Non è come la bellezza che si trova nelle particelle elementari e nelle forze connesse da una elegante simmetria. Si tratta di un oggetto orribile che dobbiamo forzare a metterlo nel modello standard in modo da avere una sua complessità”.</em> </span></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/08305106977611057570noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7973467142325335034.post-2716564386670965322012-07-09T09:00:00.000-07:002012-09-08T06:46:42.139-07:00L'importanza di essere, o non essere, il bosone di Higgs<br />
<div style="color: #555555; font-family: Arial, Tahoma, Verdana; font-size: 12.222222328186035px; line-height: 20px; padding: 0px 0px 15px; text-align: justify;">
A distanza di qualche giorno dal seminario tenutosi il 4 luglio al <a href="http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=cern%20di%20ginevra&source=web&cd=5&ved=0CGgQFjAE&url=http%3A%2F%2Fwww.cern.ch%2F&ei=gGH4T5DxIMHQ-ga614HvBg&usg=AFQjCNH2ifeWAgK7w0t_SlAiQzvAZu4kAQ" style="color: #008dcf; text-decoration: none;">Cern di Ginevra</a> sulla presentazione dei dati raccolti tra il 2011 e il 2012 dagli esperimenti <a href="http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=atlas%20lhc&source=web&cd=1&ved=0CGUQFjAA&url=http%3A%2F%2Fatlas.ch%2F&ei=pGH4T9btLIWY-wb2xOXNBg&usg=AFQjCNFZlYO580gUlVIOARUGR63aDufmtQ" style="color: #008dcf; text-decoration: none;">ATLAS</a> e <a href="http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=cms%20lhc&source=web&cd=1&ved=0CFwQFjAA&url=http%3A%2F%2Fcms.cern.ch%2F&ei=tmH4T6yEOYKe-wbx6uDTBg&usg=AFQjCNEykGMclxqv1hporSANyiltUTN9NA" style="color: #008dcf; text-decoration: none;">CMS</a> presso <a href="http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=lhc&source=web&cd=3&ved=0CGgQFjAC&url=http%3A%2F%2Flhc.web.cern.ch%2F&ei=0GH4T-7CGsOZ-wb3tbHdBg&usg=AFQjCNEFXB14Lj2dLlfUPJs7_5U5P-GGwQ" style="color: #008dcf; text-decoration: none;">LHC</a> e che hanno portato alla scoperta di una nuova particella (vedasi questo <a href="http://astronomicamens.wordpress.com/2012/07/04/lhc-osservata-una-nuova-particella-consistente-con-il-bosone-di-higgs/" style="color: #008dcf; text-decoration: none;">post</a>), ci si interroga sulla possibilità che si tratti, o meno, proprio del bosone di Higgs oppure di una particella più esotica che appartiene, invece, ad una fisica che ancora non conosciamo.<br />
<a name='more'></a></div>
<div style="color: #555555; font-family: Arial, Tahoma, Verdana; font-size: 12.222222328186035px; line-height: 20px; padding: 0px 0px 15px; text-align: justify;">
Intanto, bisogna dire che la particella è un bosone scalare, osservato per la prima volta, e che i due valori della massa ottenuti dai rivelatori sono molto vicini. Inoltre, e fatto più importante, i dati sembrano essere consistenti proprio con il bosone di Higgs così come previsto dal modello standard ma prima di arrivare ad una conclusione definitiva occorrerà eseguire tutta una serie di analisi per studiare in dettaglio le proprietà di questo bosone e chiarire la sua identità. Per usare un paragone, possiamo dire che i fisici sono un pò come i poliziotti che stanno dando la caccia ad un ricercato (il bosone di Higgs), di cui hanno solo l’identikit. Anche se l’abbiamo intravisto (i risultati degli esperimenti) e nonostante i suoi tratti sono molto simili a quelli dell’identikit, ad oggi la situazione (i dati) non ci permette di essere certi sul fatto che si tratti proprio del nostro ricercato o se, invece, si tratti di uno o più sosia. La difficoltà del processo di identificazione di questa nuova particella è legata al fatto che non è possibile osservare direttamente il bosone di Higgs. Il bosone di Higgs viene creato nelle collisioni tra protoni e decade in varie componenti in una frazione di secondo. Ora, secondo la teoria delle particelle, ci aspettiamo che il processo di decadimento avvenga in diversi modi e che i tassi di decadimento dipendano dalla massa che assume il bosone di Higgs. Un altro problema è che la massa del bosone di Higgs non è univocamente determinata dalla teoria ma oggi possiamo dire che abbiamo un valore approssimato della sua massa, tra 125 e 126 GeV, che diventerà ancora più preciso man mano che raccoglieremo sempre più dati. Lo stesso Peter Higgs, che ha partecipato al seminario del Cern, ha dichiarato, con un velo di timidezza e qualche lacrima agli occhi, senza tralasciare il senso di humour britannico: “<em>Sono molto felice che tutto ciò accada mentre sono ancora in vita</em>“. Ora la domanda è: se non si tratta del bosone di Higgs, che cosa è questa particella? L’idea che circola è che, forse, potrebbe trattarsi di una sorta di “messaggero” di una nuova fisica che va oltre il modello standard. Si parla di particelle supersimmetriche e perciò potrebbe trattarsi di un bosone di Higgs supersimmetrico. Comunque sia, con i dati che abbiamo attualmente a disposizione è assolutamente impossibile affermarlo. Dunque, per cercare di capire di che cosa stiamo parlando, i fisici dovranno affrontare una serie di calcoli. Prima di tutto, oltre alla massa, bisognerà misurare lo <em>spin</em> della particella, cioè il suo momento angolare intrinseco o, in maniera più semplice, la rotazione della particella. Il modello standard prevede per il bosone di Higgs un valore nullo. La misura di questo e di altri parametri sarà di fondamentale importanza per verificare se entrano, o meno, nel quadro previsto dal modello standard. Tuttavia, per eseguire queste misure occorreranno certamente dei mesi se non addirittura anni. Assumendo che questa particella verrà confermata essere il bosone di Higgs, il passo successivo che dovranno affrontare i fisici sarà quello di spingersi verso regioni inesplorate in termini di energia. Di fatto, gli scienziati sono convinti che al di sopra di un determinato valore di energia ci deve essere qualcosa di nuovo, insomma una nuova fisica che supera lo stesso modello standard: ad esempio, la supersimmetria è una sua estensione. La supersimmetria, che prevede l’esistenza delle cosiddette particelle supersimmetriche, non ancora osservate, potrebbe spiegarci perché esistono in natura due tipi differenti di particelle, cioè i fermioni e i bosoni. LHC ha le caratteristiche giuste per dare la caccia a queste superparticelle la più leggera delle quali si ritiene sia la candidata ideale per formare la materia scura.</div>
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