La domanda se siamo soli
nell’Universo sta diventando ormai molto vecchia. Esistono delle storie su
questo argomento che risalgono persino agli antichi greci e sembra difficile
credere che anche i primi esseri umani comparsi sul nostro pianeta non abbiano mai volto lo sguardo verso il cielo chiedendosi se esistono altri esseri come loro da qualche parte nello spazio. Rispetto ai nostri antenati, oggi abbiamo una
tecnologia sufficientemente avanzata e adeguata che ci permette di affrontare
il problema secondo il metodo scientifico. Dunque, trovare che esistono intelligenze extraterrestri
potrebbe definire il nostro posto nello spazio cosmico. Inoltre, una tale
scoperta completerebbe la cosiddetta rivoluzione copernicana. Circa 470 anni
fa, le meticolose osservazioni del cielo ed il ragionamento scientifico ci
portarono a comprendere il nostro ruolo nell’Universo. Oggi, lo scopo della ricerca
SETI (Search for Extra Terrestrial Intelligence) è quello di comprendere in quale piano intellettivo noi esseri umani ci poniamo rispetto ad eventuali esseri intelligenti nell’Universo. Insomma, le
nostre capacità intellettive sono uniche o sono semplicemente le sole che
esistono tra tante altre?
Ad
oggi, non abbiamo una evidenza certa dell’esistenza di vita aliena al di fuori
della Terra. Nel 1996, nonostante la notizia dell’esistenza di microbi fossili presenti su un meteorite marziano generò un ampio clamore, oggi gli
astrobiologi ne sono poco convinti. Ma se viene chiesto agli stessi
astrobiologi cosa ne pensano della vita aliena, se essa sia comune o facilmente
esplorabile, la loro risposta è quasi inevitabilmente affermativa. Fino al
1995, sapevamo che non c’era alcun pianeta in orbita su altre stelle, sia esso abitabile
o meno, e ci furono una serie di argomentazioni che tali mondi potessero essere alquanto
comuni, anche se si trattava solo di speculazioni. Negli ultimi vent’anni, grazie
ai dati che ci ha fornito la missione Kepler della NASA, gli astronomi hanno
rivelato un esopianeta dopo l’altro. Oggi se ne conoscono oltre quattro mila di cui circa tre mila sono candidati che aspettano di essere analizzati. Le stime
indicano che almeno il 70% di tutte le stelle hanno un sistema di pianeti e
si stima che il loro numero sia dell’ordine di un trilione, cioè mille miliardi, almeno nella Via Lattea. Ma è importante
ricordare che la nostra Galassia è solo una delle 150 miliardi di galassie
visibili dai nostri telescopi, ognuna delle quali dotata di propri sistemi planetari. Insomma, si tratta di un numero che va al di là della nostra
comprensione. L’obiettivo principale della missione Kepler è quello di
determinare quale frazione di questi numerosi sistemi planetari alieni sia
costituita da corpi celesti che possano ospitare la vita. Di solito, il 'metro' che ci permette di distinguere se un pianeta sia abitabile o meno è dato dalla
presenza di acqua liquida sulla superficie. La maggior parte di questi
pianeti potranno essere o troppo freddi o troppo caldi o appartenenti ad una particolare classe,
come ad esempio Giove, dove non esiste una vera e propria superficie solida. Le recenti
osservazioni di Kepler suggeriscono che una stella su cinque può ospitare un pianeta di tipo terrestre, potenzialmente abitabile. Un tale numero potrebbe diventare
più grande di almeno un fattore due o tre e se così fosse vorrebbe dire che la
nostra Galassia ospiterebbe, in linea di principio, da 10 a 80 miliardi di corpi
celesti simili alla Terra. In altre parole, possiamo dire che esiste un vero e proprio 'ambiente
cosmico' adeguato per forme di vita extraterrestre, inclusa la vita intelligente. Un
ulteriore dato che è stato elaborato da uno studio recente suggerisce che i
mattoni chimici fondamentali della vita, cioè i vari composti del carbonio,
come ad esempio gli aminoacidi, che sono presenti in tutti gli organismi
terrestri, si formano in maniera naturale e sono abbondanti nel cosmo. I
requisiti biologici sono presenti ovunque nello spazio e se da un lato ciò non
garantisce che la vita possa evolvere in tutti quei pianeti dove le condizioni
fisiche sono simili a quelle presenti sul nostro pianeta, dall’altro ciò induce a pensare che questo processo avvenga in maniera frequente. Se solo su una ogni
mille ipotetiche terre si sviluppasse la vita, nella nostra Galassia potrebbero
essere presenti decine di milioni di mondi alieni dotati di flora e fauna. Ad
ogni modo, il programma SETI rappresenta un insieme di esperimenti che sono
stati concepiti per trovare non proprio la vita ma esseri tecnologicamente
sviluppati, ossia delle civiltà il cui livello di intelligenza e di sviluppo
sia almeno uguale al nostro. A questo punto è spontaneo chiedersi, assumendo
che esistano molti mondi alieni che ospitano forme di vita, qual sarà la frazione
di questi che potrà evolversi acquisendo le capacità intellettive dell’Homo
Sapiens? Certamente è una domanda controversa e allo stesso tempo difficile da
rispondere. Così come è stato sottolineato da qualche famoso biologo
evoluzionista, tra cui Ernst Mayr e Stephen Jay Gould, la strada che parte da
forme di vita pluricellulari, come i trilobiti, per arrivare a noi è
estremamente incerta. Per esempio, se l’asteroide che causò l’estinzione dei
dinosauri, e di almeno due terzi di tutte le specie terrestri, circa 65 milioni
di anni fa, fosse arrivato con 15 minuti di ritardo avrebbe mancato la Terra,
implicando così che il percorso evoluzionistico dai mammiferi a noi esseri
umani non sarebbe mai stato spiegato. Questo semplice argomento ci fa capire
che mentre la vita può essere un fenomeno comune, la vita intelligente può
essere molto rara. Tuttavia, alcuni ricercatori hanno dimostrato che molte
specie diverse di animali, tra cui i delfini, le balene, gli octopus, alcune
specie di uccelli, si sono evolute diventando più intelligenti negli ultimi 50
milioni di anni. Una spiegazione plausibile può essere data dal fatto che l’intelligenza possiede un
elevato grado di sopravvivenza che potrà svilupparsi in qualsiasi mondo alieno assumendo che esistano delle condizioni biologiche complesse e
il giusto intervallo di tempo. Certo è che
non sappiamo nulla su ciò che riguarda l’emergere delle capacità cognitive. Ma
trovare un altro esempio di civiltà intelligente vorrà dire che l’Homo Sapiens
non è in definitiva un fenomeno singolare. La possibilità di rispondere a questa domanda è, di fatto, una delle motivazioni fondamentali per cui sono stati concepiti gli esperimenti
del SETI.
Nonostante
gli 'incontri ravvicinati' con esseri alieni siano argomento di fantascienza,
l’idea di verificare l’esistenza di tali esseri rimane ancora molto lontana. I
pianeti che orbitano attorno al Sole potrebbero ospitare qualche forma di vita
aliena, come ad esempio Marte o alcune lune di Giove e Saturno, ma di sicuro
sono privi di vita intelligente, almeno come noi la intendiamo. Esseri
intelligenti, assumendo che esistano, devono vivere sui pianeti, o possibilmente
su lune molto grandi. Questi corpi celesti sono al momento irraggiungibili e persino
utilizzando i nostri vettori più veloci impiegheremmo almeno 100 mila anni
prima di arrivare su Alfa Centauri, il sistema stellare più vicino. L’idea che esseri di altri
mondi siano venuti sulla Terra, i cosiddetti UFO, non è considerata attendibile
dalla maggior parte della comunità scientifica, nonostante circa un terzo della
popolazione terrestre crede al fenomeno. La ricerca che viene condotta al SETI
non si basa sul concetto delle 'visite spaziali'. Il SETI cerca un segnale, una
portante, che arrivi ai radiotelescopi alla velocità della luce. Il primo esperimento del SETI fu condotto negli anni ’60 quando l’astronomo Frank Drake
utilizzò il vecchio radiotelescopio del National Radio Astronomy Observatory nella West Virginia allo scopo di catturare un segnale radio che fosse trasmesso
volontariamente o per caso da una civiltà intelligente distante decine di
anni-luce dalla Terra. Drake utilizzò un ricevitore molto semplice ed esaminò
due sistemi stellari vicini. Gli esperimenti SETI successivi hanno fatto uso di
un sistema più sensibile e hanno permesso di espandere l’area di cielo da
esplorare. Il progetto Phoenix, una survey di circa un migliaio di stelle,
utilizzava una serie di antenne dotate di ricevitori di segnali deboli e
permetteva di analizzare contemporaneamente 10 milioni di canali radio. Oggi,
il SETI utilizza un insieme di 42 antenne, noto come Allen Telescope Array(ATA), che sono situate nella California del Nord. Il vantaggio di un tale
strumento è che può essere utilizzato per un maggiore intervallo di tempo
rispetto ai precedenti esperimenti dove il tempo di utilizzo dei vari radiotelescopi veniva
suddiviso con quello dedicato per fare la consueta ricerca astronomica. L’altro
gruppo del SETI è localizzato presso l’Università della California a Berkeley.
Il loro progetto a lungo termine denominato SERENDIP utilizza il grande paraboloide di Arecibo, in Porto Rico. In questo caso il ricevitore esplora il cielo in
maniera casuale seguendo il puntamento del radiotelescopio che è dedicato alla
ricerca convenzionale. Nonostante ciò, nel corso di diversi anni, questo metodo del tutto casuale ha permesso finora di esplorare un terzo del cielo osservabile. Il ricevitore può
monitorare simultaneamente più di 100 milioni di canali radio e data l’enorme
mole di dati che esso produce, alcuni di essi sono stati resi pubblici per
essere analizzati da singoli utenti con il proprio computer da casa
(SETI@home). Approssimativamente, ad oggi sono circa 10 milioni gli utenti che
hanno scaricato il programma che utilizza il salva schermo del PC per elaborare l’analisi
dei dati. L’altro programma SETI a tempo pieno viene condotto da un gruppo
dell’Università di Bologna presso l’Osservatorio Radioastronomico di Medicina.
Storicamente, la ricerca dei segnali radio del programma SETI ha preceduto un
altro esperimento che cerca, invece, brevi impulsi di luce (laser) ed è noto
come SETI ottico. Ad ogni modo, le onde radio rappresentano la tecnica
migliore per stabilire un eventuale contatto con qualche civiltà intelligente
dato che l’energia richiesta per inviare un bit di informazione verso un altro
sistema stellare è inferiore rispetto a quella richiesta da altri metodi e perciò sembra
plausibile a prescindere da qualsiasi altra tecnica che eventuali intelligenze possano utilizzare per le comunicazioni interstellari. Per fare una analogia, la ruota è una antica
invenzione ma l’uso che ne facciamo vale ancora oggi e lo sarà per sempre. Gli
esperimenti radio del SETI non hanno ancora rivelato un segnale che sia
effettivamente di origine extraterrestre. Alcuni, sia appartenenti alla
comunità scientifica e non, ritengono che la mancanza di un contatto sia il
frutto del fatto che non esistano altri esseri intelligenti là fuori, un concetto noto come paradosso di Fermi. Ora,
mentre ciò potrebbe essere confortante per quelli che preferiscono pensare che
la nostra specie sia l’unica, certamente non è una conclusione soddisfacente. È
anche vero che la nostra esplorazione pluridecennale dello spazio rimane un
tentativo e di fatto finora abbiamo potuto analizzare poco più di un migliaio
di sistemi stellari. Nella Via Lattea ci sono centinaia di miliardi di stelle e
di conseguenza è un po’ come esplorare la mega fauna africana quando invece
siamo ancora al livello di un quartiere di città. Sebbene non sappiamo che tipo
di segnale potrà produrre una civiltà aliena, le stime più conservative
suggeriscono che per trovare una trasmissione che provi l’esistenza di
intelligenze extraterrestri occorrerà esplorare almeno, se non più, un milione
di sistemi stellari. Ciò si potrà nel futuro immediato grazie anche allo
sviluppo dell’elettronica digitale. E non è nemmeno irragionevole pensare che gli
scienziati potranno rivelare un segnale di origine extraterrestre nel giro di
un ventennio o forse meno, assumendo che esisteranno le risorse per portare
avanti la ricerca. Trovare fondi per il SETI è sempre stato problematico. Il
programma più ambizioso, quello pianificato dalla NASA negli anni ’80 e ’90,
iniziò a stento le osservazioni per poi essere cancellato dal Congresso americano verso la fine del 1993. Da allora, il SETI negli Stati Uniti è andato avanti
tramite fondi di privati o è stato in parte incluso per caso in qualche
programma di ricerca universitario. In più, se contiamo quante persone sono
dedicate oggi alla ricerca SETI, almeno negli Stati Uniti, si trova un numero pari a poco più di una dozzina.
Oggi,
gli esperimenti del programma SETI radio sono circa 100 trilioni di volte più
efficienti rispetto ai primi esperimenti che furono realizzati negli anni ’60,
grazie soprattutto alla velocità, alla sensibilità e all’intervallo di
frequenze radio analizzate. Lo sviluppo sempre più rapido sia dell’elettronica
analogica che di quella digitale ha permesso di accelerare le capacità
esplorative del SETI. Per dare un esempio, nel 1980 i ricevitori erano in grado
di monitorare 10 mila canali radio simultaneamente mentre oggi vengono
analizzati fino a 10-100 milioni di canali con un incremento di un fattore
mille in termini di velocità. Questo parametro è essenziale per ottenere
risultati positivi. Come detto in precedenza, stime molto conservative
suggeriscono che sia necessario “ascoltare” almeno un milione di sistemi stellari per riuscire
a catturare un segnale di tipo intelligente. Una tecnologia digitale a basso
costo, che può essere tradotta in termini di una migliore potenza di calcolo,
porta immediatamente a ricevitori con più canali il che vuol dire che si
richiede meno tempo per esplorare tutte le frequenze interessanti per un dato sistema
che analizza il SETI. Nel caso di un insieme di antenne, un sistema di calcolo di
basso costo può aumentare la velocità delle osservazioni incrementando il
numero di sistemi stellari analizzati simultaneamente. Un esempio, attualmente
ATA è in grado di esaminare tre sistemi stellari alla volta. Ma questo numero
potrebbe essere portato a qualche centinaia o migliaia utilizzando una maggiore potenza di
calcolo e contestualmente aumentando la velocità esplorativa.
L’idea dell’esistenza di civiltà extraterrestri ha un enorme impatto mediatico nel pubblico come nessun altro programma di ricerca della scienza moderna.
Ricordiamo ad esempio i due grandi enigmi della cosmologia, la materia scura e
l’energia scura, di cui non sappiamo ancora nulla sulla loro origine e natura (vedasi Enigmi Astrofisici). Nel
2012, la scoperta di una particella che tanto “assomiglia” al bosone di Higgs
fu un po’ difficile da comprendere, se non per coloro che hanno un livello
avanzato di conoscenze nel campo della fisica. L’idea della vita nello spazio
“contamina”, per così dire, il senso comune attraverso la rappresentazione di creature e mostri che
piovono dai cieli come li vediamo spesso nei film di fantascienza. In più,
c’è da dire che la tecnica del SETI, anche se complessa, è semplice in linea di
principio. Il romanzo di Carl Sagan, “Contact”, ebbe una notevole popolarità e
trasmise bene il concetto scientifico che sta alla base della ricerca SETI. In
altre parole, SETI è una avventura dove tutti sono coinvolti,
in particolare gli studenti più giovani che si avvicinano all’astronomia, alla biologia
o alle scienze planetarie. Anche se il SETI fallirà nei prossimi anni,
rappresenterà comunque un grande bene che avrà lo scopo di stimolare le nuove
generazioni al fine di sviluppare nuovi metodi e tecniche di ricerca. Il nostro
interesse per gli “alieni”, che potremmo paragonare a quello che i giovani
hanno per i dinosauri, potrebbe derivare dal punto di vista della
sopravvivenza. In altre parole, potremmo immaginare gli extraterrestri come quella tribù
sconosciuta che sta oltre la collina, potenziali concorrenti o compagni, ma in
ogni caso qualcuno che avremmo il piacere di conoscere per saperne di più. È
anche vero, però, che a volte il programma SETI genera delle provocazioni dato
che il suo obiettivo, cioè trovare “gli alieni”, viene deriso e spesso
ridicolizzato, una conseguenza del fatto che si confonde scienza e
fantascienza. Quello che è certo è che man mano che i nostri telescopi
continuano ad esplorare il cosmo, diveniamo sempre più consapevoli che la Terra
è solo uno tra 100 mila miliardi di miliardi di pianeti che si muovono nelle
immense vastità dello spazio. Alla fine, non sarebbe logico non domandarsi chi
c’è là fuori.
Nel seguente video, Seth Shostak e Dan Werthimer del SETI spiegano i metodi scientifici e le tecniche utilizzate per la ricerca di civiltà intelligenti.
Astrobiology Web: Using Radio in the Search for Extraterrestrial Intelligence
SETI: A new hope for life in space
SETI: Seth Shostak testified before the Science, Space and Technology Subcommittee
Next Big Future: SETI will likely find intelligent life in the next twenty years
Daily Mail: We will find alien life in 20 years
Così
come verso la fine del XV secolo le grandi navi e l’invenzione del compasso segnarono
l’inizio della grande era delle esplorazioni terrestri, analogamente l’era
della tecnologia moderna, unita ad una maggiore comprensione della struttura dell’Universo su larga scala che capivamo qualche decennio fa, ci
fornisce la possibilità di scoprire la vita altrove nello spazio. Il programma
SETI è sinonimo di esplorazione e le conseguenze dell’esplorazione sono spesso
profondamente illuminanti e di una utilità inaspettata. Sappiamo
che noi esseri umani siamo speciali, ma siamo unici? Questa è la domanda a cui il SETI
spera di rispondere.
Perchè pensiamo che la vita esista altrove
![]() |
Particolare struttura biologica del meteorite ALH 84001 |
La ricerca di intelligenze extraterrestri
![]() |
Illustrazione grafica di una luna aliena |
Evoluzione del SETI radio
![]() |
Allen Telescope Array. Credit: SETI Institute |
Risorse attuali e future
Abbiamo
detto in precedenza che oggi le risorse del SETI radio sono minime, basti
pensare che gli scienziati e gli ingegneri dedicati a tempo pieno alla ricerca sono poco più di una dozzina. Nel 1992, quando la NASA lanciò il
programma SETI, l’investimento annuale fu di 10 milioni di dollari, equivalente
ad un millesimo dell’investimento dell’agenzia spaziale americana. Questo
finanziamento iniziale permise di supportare una serie di esperimenti per due
tipi di osservazioni, ossia due survey del cielo, una a bassa e l’altra ad
elevata sensibilità, che ebbero lo scopo di analizzare un migliaio di stelle
più vicine alla Terra. Il numero di ricercatori coinvolti nel
programma fu all’epoca cinque volte maggiore rispetto a quello attuale. I fondi
dedicati a tutti gli esperimenti SETI negli Stati Uniti sono ora circa il 20
percento rispetto a quelli iniziali della NASA e provengono sia da donazioni
private o da attività di ricerca presso l’Università della California. Ciò
rappresenta un livello inadeguato per mantenere in essere il programma di
ricerca. È probabile che senza investimenti, la ricerca SETI americana possa
essere sorpassata da altri progetti che stanno emergendo in Asia e in Europa,
come ad esempio SKA (Square Kilometer Array) che sarà operativo a pieno regime
tra qualche decennio. Ribadiamo ancora che SETI è sinonimo di esplorazione e come tutte le
esplorazioni non sappiamo cosa troveremo, anche se sarà altrettanto possibile
che non troveremo nulla. Ma se non cercheremo, le possibilità di successo saranno di altri. Se arriverà quel giorno, la prima evidenza di non
essere soli nell’Universo sarà ricordata dai nostri discendenti come la più
profonda e la più significativa di tutta la storia del genere umano, come un
punto di svolta, insomma come un evento epocale.
L’interesse del pubblico
![]() |
Una scena dal film "Contact" di Robert Zemeckis |
Nel seguente video, Seth Shostak e Dan Werthimer del SETI spiegano i metodi scientifici e le tecniche utilizzate per la ricerca di civiltà intelligenti.
Astrobiology Web: Using Radio in the Search for Extraterrestrial Intelligence
SETI: A new hope for life in space
SETI: Seth Shostak testified before the Science, Space and Technology Subcommittee
Next Big Future: SETI will likely find intelligent life in the next twenty years
Daily Mail: We will find alien life in 20 years
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