martedì 18 settembre 2012

Verso l'esplorazione dell'Universo delle origini


La cosmologia è quella branca dell’astronomia che studia l’intero Universo. Attualmente, il modello cosmologico standard rappresenta il quadro migliore per descrivere l’evoluzione dell’Universo, ma non la sua origine, ed esistono alcuni scenari che ci forniscono delle indicazioni su quale sarà il suo destino. Nonostante ciò, ricostruire la storia cosmica non è così facile. Infatti, i cosmologi possono essere paragonati agli archeologi che andando ad analizzare i resti fossili tentano di ricostruire, seppure parzialmente, il passato della Terra spingendosi fino ad epoche dell’ordine di migliaia o milioni di anni fa.
E’ sorprendente il fatto che negli ultimi cinquant’anni, i cosmologi siano stati in grado di ricostruire la storia dell’Universo, dai primi secondi subito dopo il Big Bang avvenuto circa 13,7 miliardi di anni fa. Ma non si tratta di una ricostruzione grossolana perché di fatto sappiamo di che cosa è stato fatto l’Universo delle origini e come appariva durante quelle fasi evolutive. Nel numero di Ottobre Discover Magazine, Sean Carroll ci spiega come questo lavoro d’indagine, un pò da investigatori, sia alquanto affascinante e quante cose ci sono ancora da scoprire. Un passo fondamentale della ricerca di frontiera sarà quello di andare sempre più indietro nel tempo, fino ad una frazione piccolissima di secondo immediatamente dopo il Big Bang perché vogliamo capire come tutto è cominciato. Rimangono ancora delle domande aperte: il nostro Universo è soltanto l’unico che esiste? E se non è così, perché si è originato questo tipo di Universo e non un altro?
Studiare la storia passata dell’Universo rappresenta una sfida enorme perché, come nel caso dei geologi o degli archeologi che studiano la Terra, le cose cambiano. Ora, mentre per lo studio della Terra l’informazione ci viene data dai fossili, nel caso dell’Universo l’informazione è legata alle particelle che si sono originate dal Big Bang, come gli elettroni o i protoni, e che poi sono state processate nuovamente nei nuclei delle stelle. Dunque, per studiare il passato cosmico, il ‘trucco’ sta nel trovare degli artefatti che sono rimasti in gran parte invariati nel corso di un tempo molto lungo. In ciò, i cosmologi sono un pò più fortunati dei paleontologi perché l’Universo esistono particelle la cui identità è rimasta immutata nel corso di miliardi di anni. Tra queste particelle, le più comuni sono i fotoni. Quando osserviamo l’immagine di una galassia, stiamo effettivamente osservando il passato: ad esempio, se una galassia si trova a due milioni di anni-luce, come nel caso di Andromeda, ciò vuol dire che la stiamo osservando come era due milioni di anni fa dato che la luce, viaggiando nello spazio con una velocità finita, impiegherà un tempo finito per propagarsi e raggiungere i nostri telescopi. Il telescopio spaziale Hubble, ha catturato la luce di galassie molto antiche, formatesi circa 500 milioni di anni dopo il Big Bang, e ciò ha permesso di capire con quanta rapidità si sono formate le strutture cosmiche prima di formare le prime stelle e galassie. I fotoni sono ancora più vecchi: infatti, grazie alla missione del satellite WMAP gli astronomi hanno ottenuto l’immagine più antica dell’Universo che risale ad appena 380 mila anni dopo il Big Bang. Prima di quel periodo, l’Universo appare così opaco, caldo e denso che i fotoni non riescono a viaggiare per lunghe distanze senza interagire con altre particelle e cambiare direzione tante volte. Man mano che lo spazio si espande e si è sufficientemente raffreddato, gli elettroni si aggregano ai nuclei atomici per formare atomi più stabili, principalmente idrogeno ed elio. Questo gas composto dai due elementi più abbondati è trasparente e fa sì che i fotoni si muovano liberamente nello spazio. Da allora, la maggior parte di essi hanno viaggiato senza essere disturbati finchè nel 1964 una manciata di fotoni è arrivata sull’antenna di Arno Penzias e Robert Wilson scoprendo, inavvertitamente, la radiazione cosmica di fondo. Negli anni successivi, il satellite WMAP ha mappato questi fotoni realizzando una mappa del cielo del ‘baby’ Universo. Dallo studio delle fluttuazioni di temperatura, i cosmologi hanno determinato la quantità totale di energia presente nell’Universo e come essa è mutata nel corso del tempo cosmico. La materia ordinaria e quella scura una volta dominavano lo spazio ma oggi esse costituiscono il 23% del contenuto materia-energia dell’Universo. Il resto è qualcosa di misterioso, una forma di energia antigravitazionale a cui è stato attribuito il termine energia scura.
La radiazione cosmica di fondo costituisce uno strumento d’indagine molto potente. Tuttavia, i cosmologi possono utilizzare forme di radiazione fossile ancora più antiche, quelle cioè che sono in grado di penetrare quella ‘nebbia cosmica’ talmente opaca e guidarci fino ai primissimi istanti della storia dell’Universo. Queste forme antiche di radiazione sono costituite dai nuclei atomici che si sono formati in condizioni di alta temperatura subito dopo il Big Bang. Nel 1948, Ralph Alpher, uno studente all’epoca di George Gamow, ipotizzò che nel corso dei primi minuti l’Universo fu così caldo e denso da comportarsi come un reattore di fusione nucleare, producendo dalla ‘zuppa primordiale’ di protoni e neutroni elementi più pesanti: ad esempio, il deuterio detto anche idrogeno pesante (un protone + un neutrone), elio (due protoni + due neutroni) e litio (tre protoni + quattro neutroni). La loro teoria, nota come nucleosintesi, riassumeva tutta una serie di dettagli su come ogni elemento sarebbe stato prodotto nei primi tre minuti. In maniera quasi sorprendente, oggi possiamo verificare questo modello analizzando ciò che di questi elementi sopra citati rimane oggi. Dunque, sono proprio questi elementi che bisogna studiare essendo rimasti per molto tempo indisturbati nel corso della storia cosmica. Ma dove li troviamo? Un posto dove cercare è, ad esempio, la galassia I Zwicky 18 in cui le stelle sono rimaste inattive fino a poco tempo fa e perciò hanno lasciato ‘intatto’, per così dire, il materiale presente nella galassia. I nuclei di deuterio, di elio e litio assorbono ed emettono luce in un modo molto particolare che permette agli scienziati di determinare con grande accuratezza le abbondanze relative. Ciò che è stato trovato è che le quantità misurate sono proprio quelle previste dalla teoria di Gamow e Alpher: in altre parole, stiamo analizzando ciò che è accaduto all’Universo 13,7 miliardi di anni fa e lo stiamo facendo proprio qui seduti sulla Terra. Insomma, abbiamo usato quella teoria per fare previsioni e abbiamo avuto ragione. Possiamo anche non sapere che tempo farà domani, ma la cosa certa è che comprendiamo esattamente come si sono comportati protoni e neutroni nei primissimi secondi di tempo della storia cosmica, un risultato impressionante che rende onore all’intelletto umano. Ma non ci basta perché i cosmologi vogliono spingersi oltre e capire se c’è stata un’altra forma di radiazione fossile prima della nucleosintesi. Al momento, ciò non è possibile ma c’è un buon candidato: la materia scura, quell’altra componente enigmatica che fa da scheletro alle galassie e agli ammassi di galassie.
Prima di tutto, la materia scura potrebbe essere una scelta molto strana. Di fatto, non l’abbiamo mai rivelata, né sappiamo di cosa è fatta, però sappiamo che essa non interagisce con nient’altro e questo rappresenta per i cosmologi un buon punto di partenza. Secondo gli attuali scenari cosmologici, la materia scura ha smesso di interagire con il resto delle particelle primordiali molto preso, circa un decimillesimo di secondo dopo il Big Bang, quando la temperatura dell’Universo era dell’ordine di 100 trilioni di gradi Fahrenheit, mentre oggi è mediamente di -455°F. La particella miglior candidata per costituire la materia scura è denominata WIMP (WeaklyInteracting Massive Particle) a cui si dà la caccia in vari laboratori del mondo. Allo stesso tempo, i fisici stanno tentando di crearla direttamente negli acceleratori di particelle come il Large Hadron Collider (LHC). Se tali sforzi avranno successo, saremo in grado di misurare le proprietà di questa ipotetica particella e quindi applicare nuovamente il modello della nucleosintesi dove questa volta considereremo la materia scura. Così facendo, potremo prevedere esattamente quanta materia scura è stata prodotta nell’Universo primordiale e confrontarla con quella presente oggi. Abbiamo, però, due possibilità: entrambe le previsioni sono in accordo con la realtà, perciò possiamo capire cosa stava facendo l’Universo una piccolissima frazione di secondo dopo la sua origine; oppure le previsioni non sono in accordo, allora in questo caso avremo bisogno di nuove teorie e capire dove è l’errore. Anche se la materia scura soddisferà il sogno dei cosmologi, saremo ancora lontani dall’aver risolto il problema. Potrebbe sembrare abbastanza il fatto di arrivare a 1/10.000 di secondo dopo il Big Bang ma i teorici ritengono che sono accadute tante altre cose interessanti prima di questo istante, come ad esempio la rapida espansione esponenziale dovuta all’inflazione cosmica, e naturalmente lo stesso Big Bang. Più ci avvicineremo al quel punto singolare, meglio capiremo come si è originato l’Universo e se magari altri universi si sono formati nello stesso modo. Una cosa è certa, in un modo o nell’altro ci stiamo muovendo sempre più verso la comprensione dei primissimi istanti di vita dell’Universo.

Per un maggiore approfondimento di questo e altri argomenti: Idee sull'Universo

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